Intervista
a Mela Mondì Sanò, autore del romanzo Alla corte del nonno masticando liquirizia,
edito da Agemina.
Questo romanzo è una ricerca della
verità nella storia di una famiglia nel passaggio da un'epoca in cui sostanzialmente
nulla mutava a un'altra dove invece i cambiamenti sono repentini, con un
rimescolamento delle classi sociali tale da dare vita a dei veri e propri
ibridi. Per certi aspetti mi ricorda un po' Il Gattopardo, mentre per altri ha
una sua spiccata autonomia, soprattutto per quanto concerne un'analisi, anche
impietosa, di una realtà che si va evolvendo non in modo incruento, anzi con
veri e propri sconvolgimenti che porteranno a una progressiva involuzione, così
che il passato apparirà oscuro, o addirittura ignoto, con tutte le nefaste
conseguenze che ne derivano.
Ci vuoi descrivere la genesi di
quest'opera?
Quest'opera
è stata concepita nell'ambito di un interesse particolare che ho sempre avuto
nei confronti del territorio Nebroideo, un interesse
non soltanto ambientalistico ma, anche e soprattutto, antropologico e storico.
Il
solo interesse però non basta per scrivere un romanzo in cui si mettono in
gioco i sentimenti e le emozioni, ci vuole la forza del cuore che traduca in
parole l'amore che senti pulsare dentro tutte le volte che vedi le ginestre
fiorire o le mimose crescere spontanee nel giardino di casa tua: lucide
evidenze di luoghi trasformate in entità mentali e sensibili allo stesso tempo!
E'
difficile, allora, capire dove finisce la realtà e inizia il mito, ma capisci
che se non ti confronti con te stessa e con i sentimenti antichi essi
potrebbero diventare ossessione.
Sono
sensazioni, emozioni personali che non ci si sente, per pudore, di dichiarare e
gridare alle masse, che bisogna dire e non dire…ma con quale linguaggio? Ecco
allora la metafora (o l'allegoria o la metonimia...) ossia la possibilità di
rendersi inaccessibile a chi possiede la forma mentis del linguaggio oggettuale
e non può cogliere quel che si esprime nello stile linguistico concettuale e
quindi non ti può scalfire con i suoi giudizi.
Questa
operazione ti permette di dire quel che senti e come senti conservando la
propria integrità anche se questo riserva soltanto ad
alcuni la possibilità di penetrare il significato della scrittura (e ciò
potrebbe sembrare classismo) la quale, attraverso questo tessuto tropico, non
perde il suo carattere pedagogico, che a differenza dell'immagine, è
tacitamente finalizzata ad aiutare a capire, a conoscere e ad esplorare
l'universo dell'anima propria.
Penso
che oggi scrivere sia un modo di uscire dal mondo della pletorica banalità ed
aiutare gli altri a provarci.
Mi
sento onorata dai "certi aspetti" per i quali accosti il mio libro al
Gattopardo che per me resta la pagina insuperabile della letteratura sicula-italiana attraverso cui sembra realizzarsi il sogno
di Federico II di Svevia.
Comunque
nel mio romanzo il tempo datato è diverso. E' quello in cui al vossia subentra il lei ed al lei subentra il tu attraverso
cui voglio segnalare tre passaggi: dal potere della nobiltà a quello della
borghesia e da questo a quello delle masse anonime. Si tratta di rapidi
passaggi (di ibridismi) dal mondo della razionalità a quello della complessità,
dall'ordine dei totalitarismi al disordine delle democrazie e da queste
all'arbitrio delle plutocrazie: punto limite per un ritorno all'inizio, come ci
ricorda Gianbattista Vico e Popper ci fa intuire con la sua teoria della
falsificazione storica.
E' esatto dire che questo romanzo è
in parte autobiografico?
Oggi
è il tempo delle autobiografie. Ciascuno di noi aspira ad entrare nella storia.
Vediamo persone che vomitano in televisione i loro fatti privati, le loro
assurde vicende personali. Si sta consolidando la convinzione che la verità è
quella che io, senza contraddittorio, racconto di me.
Poveri
posteri quando dovranno decodificare il passato!
Detto
questo devo ammettere che non esiste opera alcuna in cui non sia presente il
soggetto umano che la produce.
Nel
romanzo ALLA CORTE DEL NONNO MASTICANDO LIQUIRIZIA ci sono i miei pensieri, le
mie idee, il mio modo di vedere le cose, le mie emozioni, che liberamente
circolano nella relazione con il mondo vero o fantastico che sia, ma la vicenda
non mi appartiene. Essa è esclusivamente di Isabella.
E'
una storia che il relatore al festival internazionale di Siena 2008 ha presentato “come il
racconto di una Verità costruita nelle ere geologiche prima
e nei millenni di storia dopo
Che
ha portato al delinearsi di configurazioni storiche di destini che sono il
frutto dell'interazione dell'uomo con i luoghi per i quali ciascun membro della
famiglia Borgognone-Gonfalonieri è disposto a
giocarsi affetti, denaro, valori pur di non perdere i luoghi dell'anima.”
Letto
in questo senso il romanzo potrebbe essere autobiografico.
Mi riallaccio alla risposta alla
prima domanda. In sintesi sembrerebbe trovare nuovamente conferma
l'affermazione del principe di Salina laddove dice che tutto cambia per poi
restare uguale. Quindi la storia è un cerchio, meglio un circolo infinito, in cui
le epoche evolutive poi tracollano in involuzioni che danno luogo ad altri
periodi sostanzialmente uguali. Quello che ti chiedo ora può sembrare strano:
ci stiamo avviando verso un nuovo Medioevo, inteso come quel periodo di
regresso immediatamente successivo alla caduta dell'impero romano? E se è cosi,
potremo aspettarci una rinascita delle monarchie e magari a una disgregazione
del concetto di stato come ora è concepito?
Questa
domanda meriterebbe come risposta una trattazione ma voglio cominciare dicendo
che mi viene difficile condividere l'idea che "le epoche evolutive poi
tracollano in involuzioni che danno luogo ad altri periodi sostanzialmente
uguali."
Secondo
me non ci sono epoche involute ed epoche evolute, né ci sono epoche tutte
uguali ( la storia non è una notte fonda in cui tutte le vacche sono nere), ci
sono epoche storiche con i loro caratteri peculiari. In esse non è mai
riscontrabile una rottura radicale con il passato né con il futuro.
La
storia è un continuum qualsiasi siano nelle varie
epoche le sue forme politico-culturali.
La
paura della vita, la negazione della felicità, l'isolamento della vecchiaia,
l'ossessione della malattia, il ribrezzo della morte, l'elogio del cavaliere, l'onore
del vassallaggio,la ricerca di un mondo fittizio e
convenzionale, il laicismo politico sono motivi
del primo e tardo medioevo eppure convivono con una cultura
estetizzante, con la concezione individualistica dell'uomo faber
fortunae suae che sono motivi
prettamente rinascimentali,così come l'empirismo convive con il razionalismo ed
il relativismo con il dogmatismo pur svincolate dalle forme convenzionali della
periodicizzazione storica.
Ma
cos'è che permette loro di convivere dialetticamente? Io mi rispondo che è
"il volto dell'uomo" che cede alla passione d'amore (Abelardo ed Eloisa come metafora) e lotta per superare contrasti e
contraddizioni.
Secondo
me anche la post-modernità è tutto questo+high-teach che ha preso il posto, tra
virgolette ,dell'arte rinascimentale.
In
essa c'è il mondo medioevale, un mondo cattivo, di odio di violenza, di
ingiustizia sociale, ma c'è anche la ricerca romantica del senso della vita,
della relazione umana significativa.
E'
comunque artificioso definire un'epoca su modelli passati sperimentati un altre situazioni.
Noi
abbiamo presenti tanti elementi fortemente medioevali: la globalizzazione come
sostituto dell'universalismo medievale, l'impero americano, la Chiesa, la Cina (vista come gli Unni) i
mussulmani ecc.. ma quel che sappiamo di certo è che
il mondo attuale è in crisi, una crisi che si allunga malinconicamente nella
richiesta di ordine e di regole, di pane e lavoro antiche divinità che vediamo
quotidianamente morire nel ventre della globalizzazione.
Viviamo
in compresenza le tragedie passate, riesumate come vessilli di vincitori, e le
tragedie del mondo nuovo che con la sua mannaia abbatte credenze e sicurezze,
istituzioni e riforme che la velocità del cambiamento rende illusorie e
precarie.
In
questo bailam non so come la Polis possa evolversi o
involversi. Non so se ci sarà un Cincinnato o un
Cesare, una Monarchia, o un triunvirato, ma so di certo che bisogna giocare
senza maschera ai G8, così come smettere di esportare una democrazia che non è,
e non perdere tempo con riforme e procedure giudiziarie che servono soltanto
alla casta, non trasformare il mandato politico- istituzionale in idola tribus perché consacrato
dalla maggioranza.
Urge
in sostanza dare un volto all'uomo del nostro tempo.
L'impressione è che la storia si
ripeta, magari con forme diverse, ma nella sostanza nulla cambia. Quindi
sembrerebbe esserci un contrasto con la teoria dell'evoluzionismo, nella misura
che l'uomo, rizzatosi sui piedi, in seguito non è mutato granché. Al riguardo
qual è la tua opinione?
Questa
domanda mi pone davanti alle leggi che presiedono allo svolgimento della
storia. Si tratterebbe di entrare nell'ambito della filosofia della Storia ed
il discorso si farebbe lungo e complesso, per cui sinteticamente cercherò di
chiarire alcune cose.
Ci
sono tante teorie della storia. Quella che chiamiamo ciclica e che esprime
l'idea dell'eterno ritorno mi sembra una teoria dominata dal fato per cui essa
mi risulta inceppata nella natura.
Ma
l'uomo è anche cultura ed allora la teoria lineare che vede le vicende umane
come una successione di novità relative, mi sembra più adatta ad esprimere la
storia come processo evolutivo attraverso cui l'umanità cresce e migliora. In
essa vedo l'idea di "progresso" di avanzamento morale (basti pensare
che fino ad un secolo fa l'uomo della strada non sapeva cosa fossero i
diritti!)senza il quale la vita mi sembra non avere senso. Anche quando
pensiamo che un'epoca sia decadente, cosa che ci fa pensare alla ciclicità,
secondo me è un momento di riflessione perché il processo si evolva
positivamente.
Se
pensiamo all'età in cui l'uomo si è rizzato in piedi come l'età mitica dell'oro
di cui parla Esiodo, allora tutta la storia è decadenza e se cambiamento c'è
stato esso è soltanto negativo.
Ma
io non voglio pensare così.
La
mia idea personalissima, ma non tanto, della Storia è quella del tipo
provvidenziale.
Io
ragiono così: la creazione non è un sic et nunc.
Il
Genesi è un progetto che Dio ha affidato all'uomo il quale deve impegnarsi a
realizzarlo. L'uomo è l'artista che deve trasformare l'esistente in opera
d'arte. La creazione è opera affidata all'uomo e ne costituisce il fine che dà
senso a tutto. Come l'artista l'uomo e la materia gemono per realizzare l'opera
( il dolore per me si spiega in questo senso), per dare un volto alla informe materia sia essa organica sia essa psichica o
spirituale.
Ma
l'uomo da solo non ce la farebbe, Dio nell'ombra lavora con lui e per lui.
Senza
un fine, che poi può essere anche escatologico per chi crede, non avrebbe senso
venire su questa terra per combattere contro i mulini a vento.
Nella
mia vita sono stata sorretta sempre da questa idea della storia e forse per
questo non conosco la depressione come malattia esistenziale ed ancora oggi alla mia rispettabile
età vivo una vita attiva cercando di tradurre in atto le mie potenzialità e
sperando sempre anche quando gli eventi sembrano congiurare contro di me.
E' un'intervista molto interessante e
abbiamo anche un po' divagato, ma penso sia ora di tornare al tuo romanzo. Mi incuriosisce
sapere il perché del titolo. Alla corte del nonno è più che comprensibile, ma
perché “masticando liquirizia”?
Il
titolo alla CORTE : perché la corte era quella dei
sovrani di coloro che comandavano, ma la corte è anche la sagrestia dei rabbini
ed il nonno non ha mai rinnegato le sue origini ebraiche. Essa però è una corte
del tempo perso dove con le parole si vorrebbe cambiare l'Italia ed il mondo,
dove quel che si dice è un pour parler, pettegolezzo,
giudizi senza un minimo di verifica.
Si
conduce una vita fuori dal tempo: si mastica liquirizia e si storpia la verità
così come avviene oggi nella società contemporanea sotto il profilo politico
culturale.
Hai realizzato il romanzo a cui
tenevi tanto e che ti ha occupato – credo – non poco.
Al di là di quelli che possono essere
i risultati, e che ti auguro di cuore che siano del tutto soddisfacenti, come
ti senti ora che questa tua creatura è venuta alla luce? E già che ci sono ti
formulo un ultima domanda: stai lavorando a un altro
romanzo?
Mi
sento come coloro che dopo aver fatto il proprio dovere sono in pace con se
stessi. Per dovere , in questo caso intendo, avere
risposto e messo in atto il mio talento anche se nella quotazione da uno a
dieci, esso vale poco più di zero.
In
sostanza ho fatto la mia parte e questo per me rappresenta il successo. Se poi
per successo si intende far quattrini non penso che il mio libro avrà un
successo di questo genere. Si sa che la cultura è il dominio di pochi (es: dei Vespa che volando possono portare i loro scritti di
canale in canale), sempre degli stessi e finché ci sono loro non si ha da
sperare. Non credo ai colpi di fortuna.
Adesso
sto lavorando a Don Milani, il maestro della mia
giovinezza, ma contemporaneamente lavoro ad un saggio sui problemi del
Mezzogiorno.
Forse
la mia fatica storico letteraria servirà ai miei
posteri.
Io
mi sono appassionata alla Storia di Sicilia attraverso un libro che ho
sottratto al falò che la mia famiglia ha fatto dei manoscritti di un mio zio.
Grazie, Mela, per la piacevole
conversazione. Ti saluto con gli auguri non solo di Natale, ma anche di
successo per questo tuo romanzo.
Alla corte del nonno masticando liquirizia
di Mela Mondì
Sanò
Prefazione di Salvatore G. Vicario
Edizioni Agemina
www.edizioniagemina.it
Narrativa romanzo
Pagg. 328
ISBN: 978-88-95555-10-2
Prezzo: € 19,00