Intervista
a Filippo Tuena, autore di Michelangelo La grande ombra, edito da Fazi.
Il romanzo è in pratica
un'indagine svolta dall'autore, cioè da te, per appurare per quale motivo Michelangelo
non sia voluto ritornare a Firenze negli ultimi anni della sua vita, nonostante
gli inviti ripetuti di Cosimo de' Medici. Sei andato a ritroso nel tempo
interrogando tanti personaggi, alcuni noti, altri meno e altri ancora del tutto
sconosciuti, una serie di ritratti di notevole efficacia. Allora, secondo te,
per quale motivo Michelangelo è rimasto a Roma dov'è morto, e non è rientrato in
patria?
Mah, guarda, non è detto che sia l'autore a formulare le domande.
Tu sai di quanto sia convinto del ruolo autoriale del
lettore, di quanto una lettura coinvolta determini il piacere e persino la
passione che può scaturire da un libro. Quindi sì, la persona che formula la
domanda, (perché il libro ruota tutto attorno a una domanda) che ascolta i
monologhi, potrei anche essere io ma senza sovraccaricare l'identificazione.
Qui ci sono persone che parlano, identificabili, e qualcuno che ascolta, meno
riconoscibile. Questo è il gioco, il meccanismo.
Quanto al dato storico, Michelangelo morì a Roma e fu trasportato
a Firenze poche settimane dopo, secondo quanto aveva chiesto. Non c'era però
mai voluto tornare dal 1534 e quindi per quasi trent'anni. Alla base di questo
rifiuto vi sono molte motivazioni anche di carattere personale ma soprattutto
c'era la situazione politica di Firenze, la fine della repubblica, il ritorno
del ducato e la figura di Cosimo I, monarca assoluto col quale Michelangelo non
aveva intenzione di entrare in rapporti anche se finì
poi per fornire consigli su alcune fabbriche fiorentine come Palazzo Vecchio o la Biblioteca Laurenziana.
Michelangelo sentiva fortemente il conflitto tra artista e committente, non
poteva sopportare che il suo lavoro venisse utilizzato per giustificare in
qualche modo la presa di potere da parte di Cosimo. Non voleva lavorare per un
sovrano assoluto. Questa decisione comportò grandissime rinunce, quali sono
quelle che deve sostenere un esiliato, ancorché rispettato, come Michelangelo.
Come nei tuoi precedenti
lavori il personaggio è un pretesto per costruire un'opera la cui portata e la
cui valenza va oltre lo stesso. Anche in questo caso la figura di un
Michelangelo, ormai vecchio e solo, è in funzione di un discorso più ampio che
gradirei che tu riassumessi di seguito, magari anche riferendo della genesi di questo
romanzo che penso ti avrà impegnato non poco, soprattutto per le indispensabili
ricerche di carattere storico.
Michelangelo anziano è certamente molto legato a Léon Reinach e a Robert Scott – i
protagonisti dei miei più recenti libri. L'argomento è sempre la devastazione
del corpo umano o desideri che non si realizzano o il
senso del destino a cui tutti siamo sottomessi. Avendo scelto di ripercorrere
gli ultimi anni di Michelangelo era inevitabile che il libro prendesse questa
piega desolata, anche se penso che sia una mia cifra abbastanza riconoscibile.
Tieni conto che ho scritto il libro dopo un mio personale e volontario esilio
da Roma a Milano e certe pagine sono piuttosto autobiografiche. Tra l'altro
l'ho scritto in un tempo relativamente breve, meno di un anno, perché la
formula dei monologhi mi consentiva grande libertà di azione e io stesso
concedevo ai personaggi grande libertà. Non sempre, ti sarai accorto,
rispondono a tono, spesso deviano dall'assunto, vanno per loro conto, persi nei
loro pensieri, innamorati delle loro malinconie.
Alla base c'è un grande lavoro di ricerca, perché è dal 1985 che
m'interesso di Michelangelo e soltanto nel 2000 ho pensato di scrivere un
romanzo. In quei 15 anni ho letto tutto quello che Michelangelo aveva scritto,
un immenso epistolario, una corposa raccolta di versi, persino i conti della
spesa e una quantità spaventosa di testimonianze dirette. Meno m'interessava la
critica mia contemporanea perché avevo l'impressione che potesse allontanarmi
dalla ricostruzione di un ambiente e di un'epoca.
Tra l'altro Michelangelo anziano è in qualche modo il modello per
tutti quelli che amano ciò che non è perfetto, ciò che viene abbandonato, è
l'ideale argomento per coloro che ritengono che l'opera d'arte sia semplicemente
l'ombra di qualcos'altro, irrecuperabile. Una visione del mondo neoplatonica –
Michelangelo era un grande neoplatonico – tutta diretta a recuperare quel che
si è perduto e che riaffiora per frammenti. Immagina i relitti galleggianti di
una nave. Conoscendo i miei libri capirai come mi muovo tra questi
relitti.
Oltre la proprietà
intellettuale dell'opera d'arte, che penso sia una giusta rivendicazione di
ogni autentico artista, in Michelangelo quindi c'era anche forte il desiderio
che i frutti del suo genio non venissero utilizzati per giustificare l'ascesa
al potere di Cosimo. In effetti lui era stato un
sostenitore della repubblica, tanto da dover andarsene con la caduta di questa.
Questo concetto penso sia
riproponibile in tutte le epoche, nel senso che l'autentico artista non
dovrebbe essere al servizio del potere. Tuttavia, di coerenza intellettuale
come quella di Michelangelo se ne trova pochina, scorrendo la storia.
Al riguardo, la tua
opinione qual è, cioè l'artista deve mettersi a disposizione del potere, deve
con le sue opere glorificarlo, o invece deve essere avulso dalla realtà
politica del momento, onde esprime in completa libertà il suo genio?
Michelangelo pone, a metà del cinquecento, uno dei quesiti più
complessi del fare artistico: la proprietà dell'opera d'arte. Considerandola
più il prodotto di un'idea che della manualità è evidente che se ne sentiva
proprietario anche una volta che l'aveva terminata e che questa, materialmente,
non gli apparteneva più. Michelangelo è l'unico artista del cinquecento – e il
primo – che scolpisce statue importanti per se stesso. Il Bruto, la Pietà Bandini
e la Pietà Rondanini sono opere personali,
realizzate senza la spinta di una commissione ma solo rispondendo a un'intima
necessità.
Volendo fare un paragone con la letteratura odierna, o del secolo
appena trascorso, il suo atteggiamento non è diverso da quello di Kafka, di
Joyce, di Proust, ma con quattro secoli di anticipo.
Da ultimo, una tuo giudizio personale, ma di competente in materia,
sull'arte di Michelangelo.
Guarda, io più che dall'arte, sono rimasto
travolto dall'umanità di quest'uomo, dal suo desiderio di onestà intellettuale.
La sua arte è il prodotto di questo pensiero, ed è
grande e continua a commuoverci perché risponde a domande etiche piuttosto che
estetiche, perché mette in discussione questioni che esulano dal fare artistico
e coinvolgono la sfera esistenziale. Come mi scrisse una volta Romeo De Maio, “Michelangelo dà un senso alla vita.”
Grazie, Filippo, per la
tua cortesia e disponibilità. L'augurio che ti faccio è che questo libro, che
per me è un capolavoro, abbia il successo che merita.
Michelangelo La grande
ombra
di Filippo Tuena
Fazi Editore
www.fazieditore.it
Narrativa romanzo
Pagg. 313
ISBN: 9788881129737
Prezzo: € 12,00