Intervista
di Renzo Montagnoli a Luigi Panzardi, autore della
silloge poetica “Finestre e balconi”,
pubblicata tramite Unibook.com
“Finestre e balconi”, un altro libro che hai portato alla luce
nonostante le notorie difficoltà a trovare editori disposti a pubblicare
poesia. La tua è una produzione abbastanza costante e di opere stampate ne puoi
già contare un discreto numero. Che cosa spinge un uomo a scrivere un libro le
cui difficoltà non consistono solo nella stesura, ma soprattutto nella
possibilità di pubblicazione? Sì, potresti rispondermi che è per lasciare una
traccia per il “dopo” e in fin dei conti potrebbe anche essere vero, ma secondo me questa non è l'unica e nemmeno la
principale motivazione. Quindi ti esorto a svelare ciò che sta dietro a questa
lotta, quasi titanica, per pubblicare.
La ragione della forza "titanica",
come dici tu, sta nell'essere padre, nel mio caso, dato che sono un maschio.
Se la poesia fosse intesa
come via per arrivare al successo sarebbe follia, sarebbe come per un
pellegrino fare a ritroso il "cammino" e sperare di arrivare a Santiago di Campostela.
Schizofrenico di sicuro
poi chi sperasse di far quattrini con i versi.
In Italia lo sanno tutti,
in particolar modo gli editori che ci marciano, che in nome di questa
convinzione generale
chiedono soldi agli autori offrendo loro in cambio centinaia di copie, come se
non ne avessero già abbastanza in manoscritti, dattiloscritti e fogli
computerizzati.
Che differenza fa
regalare ai cari amici una bella copia in formato PDF della propria opera o una
stampata, magari in fretta e con scarsa attenzione tipografica?
Io rispondo
tranquillamente: Nessuna.
Lo scopo del regalo al
mio amico è quello di fargli leggere cose scritte da me.
Gli editori italiani
hanno un problema: sono incapaci di vendere poesie e ne demandano il compito
all'autore. Affermano con mercantesca sicumera che le odi non hanno pubblico, o
peggio, che agli Italiani non piacciono le evoluzioni fantastiche dei voli
pindarici.
Se questo fosse vero
quante trasmissioni televisive fallirebbero.
A mio avviso la soluzione
sta nell'essere convinti della validità del prodotto
che si vuol cedere ad altri dietro un compenso e siccome che è innanzitutto
agli editori che non piace la poesia, o che essi per primi non ritengono che
sia prodotto seriamente commerciabile, è chiaro che il millantato pubblico si
rivolge alle raccolte delle vecchie barzellette, appena lustrate a nuovo, e da
cui sono attratte grazie al martellamento pubblicitario.
Il poeta, anche Il meno
ispirato, non viene neanche solleticato da tutto questo. Egli scrive per
soddisfare esigenze tanto prepotenti quanto indefinibili.
Quando poi è convinto di
aver dato corpo ad una creatura, ecco che gli prende la smania di farla vivere
nella collettività. Del resto sa che non ha scritto per sé soltanto e per gli
amici, la sua creatura ha bisogno di comunicare all'umanità i sentimenti e i
pensieri che la rendono viva e dove, se non in una vetrina di libraio, sul
banco del supermercato e persino sulla bancarella dell'ambulante tra i libri
invenduti può testimoniare la sua esistenza?
Ma per far questo le
occorre una forma, quella usuale del rettangolo di pagine da sfogliare.
Immagino il lettore
avvicinarsi allo scaffale, scrutare tra i vari dorsi quello, allungare la mano
attratta istintivamente dal titolo, sfogliare il volume, leggere un rigo, una
parola e immagino poi che lo riponga e vada via. Che importa! L'esistenza della
creatura è stata testimoniata. e la vanità genitoriale
soddisfatta.
Il "dopo" da te
citato non è del padre ma del figlio che chiede di vivere per sé, per il suo
contenuto, per le sue bellezze interiori, per il suo amore verso l'umanità.
E' la poesia più che la
narrativa ad amare il genere umano.
Non credo che un autore
seriamente convinto di ciò che ha scritto possa esimersi dall'obbligo piacere
di renderlo pubblico.
Quindi si ritorna al
concetto antico di poesia come mezzo di comunicazione, come monologo che con la
dizione e la pubblicazione apre a un dialogo non tanto a voce, quanto
interiore. E' insomma l'esigenza di far conoscere ad altri una parte di
quell'IO che attraverso la poesia l'autore va scoprendo.
Ma vediamo di tornare ad
argomenti più specifici e quindi a questo tuo ultimo lavoro “Finestre e
balconi” che, dal titolo, evocherebbe aperture nella facciata immobile
dell'esistenza e che invece è tutto l'opposto, nel senso che dalle poesie
emerge una posizione netta di chiusura nella tua visione del mondo.
E' quasi il frutto di una
consapevolezza, lentamente maturata, che non potrà mai accadere un radicale
cambiamento e che i sogni al riguardo tipici della gioventù sono ormai
inesorabilmente declinati.
Da dove deriva questo
accentuato pessimismo?
Monologo corale.
Mi preme a questo punto porre delle precisazioni,
sia pur brevi, circa il valore che ha per me la poesia, data la presunzione di
scriverne.
Eccoti intanto la mia definizione: La
poesia è la sincrasi di tutte le sensazioni umane rivelata
con un canto corale emesso da un singolo individuo.
Ritengo che sia finito il tempo dei
balbettamenti e delle tergiversazioni.
Versificare è lo stesso che dipingere
o musicare, nasce da un bisogno artistico e si manifesta come arte.
Questa dovrebbe essere una nozione
ovvia, non mi pare invece che sia da tutti condivisa purtroppo: in genere si ha
quasi vergogna di esibire in pubblico un volume di poesie, come se mostrandolo
si desse di sé un'immagine molle, effimera. Al contrario, nessuno teme di
essere scoperto davanti al botteghino per acquistare il biglietto di un
concerto.
Restituiamo allora ai versi tutto il
fascino della vera arte, ne seguirà subito l'amore e l'ammirazione di un
pubblico orgoglioso di fruirne.
La poesia è un dipinto verbale su
carta (o tutt'al più su supporto magnetico). Come ogni forma d'arte, è
l'espressione del sincretismo umano, cioè delle concrezioni che sedimentano
nell'organismo dell'uomo, costruendone attimo dopo attimo la storia individuale
e da cui deriva l'affinamento sempre più sensibile e complesso del suo modo di
rapportarsi con l'esterno.
L'artista-poeta è l'interprete
dell'immensa mutevole congerie: sente in sé e racconta la storia dell'uomo, con
stili diversi formalmente, tutti però miranti a rivelare allo spettatore il
valore della sua esistenza.
Per tornare a questa mia raccolta di
poesie, ed evitare di diventar preda dei contorcimenti di un breviario di
estetica, essa è da intendersi come se fosse una galleria d'arte in cui si
svolge una mostra non monotematica.
Le poesie scritte in tempi diversi
riflettono i momenti specifici di accumulo psicologico, tuttavia credo abbiano
un afflato unico in comune: il mio modo fondamentale di percepire il dramma
umano.
Al titolo, pur nella sua quotidianità
lessicale, ho affidato una delle chiavi di lettura: quella del viandante, del commesso
che vive nelle città, le percorre, guarda il labirinto delle case, ne sente
traboccare l'umanità, la molteplicità degli eventi impregnati d'affetti felici
e tragici; violando con la fantasia l'area privata, vi immagina scene d'amore,
spesso guerre spietate, fantasticherie che trascolorano insieme al variare
delle prospettive e della luce col trascorrere del tempo.
Ma si vede bene come da questa
posizione il pessimismo sia inevitabile. Riguarda l'individuo, il singolo,
circoscritto nella sua limitatezza, nella sua fisiologica estraneità, di cui ha
la netta consapevolezza, tuttavia frustrato dall'invincibile anelito ad entrare
nella comunità, che invece è chiusa, intabarrata nel cemento. Smarrito, nelle
strade deserte gli vien la voglia di urlare, di gridare aiuto, quasi stuprato
dalla paura, alzando gli occhi però non vede che balconi e finestre ben
sigillati.
Concludendo, la raccolta
può non avere valore artistico, è certo però che vi ho profuso tutta l'energia
possibile perché piaccia al lettore.
Dunque questo accentuato
pessimismo si fonda sul contrasto tipico dell'uomo fra l'egoismo innato e il
desiderio invece di comunicare con gli altri della sua specie. In buona parte
concordo, ma mi pongo una semplice domanda: questa discrasia è insanabile, in
quanto propria della natura dell'essere umano, oppure ci sono soluzioni
possibili, e fra queste ci può stare la poesia?
Quanto la morte sia necessaria, sono
in tanti ad affermarlo, sembra con assoluta convinzione. Il dove però si possa
trovare almeno una minuta traccia di questa necessità nessuno è in grado di
indicarlo.
Sta di fatto che già la sola
immaginazione della morte suscita orrore. E quindi il desiderio, razionale ed
istintivo insieme, dell'uomo è di vivere, senza limiti, magari in buona salute.
La potenza di questo desiderio, che
attraversa l'esistenza umana dalle origini, si misura con la persistenza delle
religioni nelle quali viene postulata sempre l'esistenza di un altro universo,
un surrogato fantastico dove l'individuo trasmigra dopo la vita e dove si
alloga più o meno comodamente in eterno.
Chi ha la fede nell'esistenza di
questo surrogato solitamente non ha motivo di essere pessimista, gode della
convinzione che il suo essere è eterno, mitiga l'asprezza delle sventure con
l'illusione del premio di felicità da riscuotere in quell'altra splendida
dimensione.
Al contrario, chi ha l'immaginazione
carente, tarpata e non riesce a volare più in alto dell'universo atomico e
materiale, soffre la condizione di effimero precario: una condizione che ferisce
l'orgoglio, offende l'intelligenza e genera nero pessimismo; chi è incapace di
immaginare territori eterei, dai quali sono sempre espunti i benché minimi
segni di sofferenze e delusioni, s'arrovella nella spinosa certezza della fine
di sé eterna e nella riflessione amara che il ritmo frenetico della vita, che è
costretto ad eseguire per la sopravvivenza, è folle, perché innanzitutto privo
d'ogni scopo, non avendo al fine dell'esecuzione neanche la parvenza d'un
seguito.
Allora l'unica terapia efficace per
guarire dal pessimismo è la fede nel mito, l'idolatria del totem.
La poesia non è una religione. E'
semplice arte che fornisce il liquore in cui l'uomo intride il dolore
mitigandolo, l'astrazione dall'irruenza delle percosse del quotidiano, la pace
provvisoria dopo la virulenza delle nuove battaglie.
Il rifugiarsi in un Notturno di
Chopin dona piacere puro alla carne e alla mente, i sensi smettono di raspare
nella roccia del divenire, inebriati dal fluire dei suoni; oppure dai colori se
si approda alla contemplazione di un dipinto e dai suoni delle parole e dalle
parole se è nella lettura che accade di inserire la pausa del giorno. Come lo
scrittore, il pittore, il musicista, il poeta è semplicemente un artista la cui
sensibilità raffinata e acuita dallo studio e dall'esercizio infonde nelle sue
opere le meravigliose emozioni dell'erosione dell'essere. Nulla di più. Non
metafisiche alienanti, mirabolanti speculazioni sopra la sostanza pura senza
eguale, portentosi unguenti lenitivi d'ogni piaga.
La poesia è fatta di versi che anche
dopo sette secoli titillano emozioni, come questi di Dante:
“Udir mi parve un mormorar di fiume /
che scende chiaro giù di pietra in pietra / mostrando l'ubertà del suo cacume”.
Il veramente bello è che
in essa si ritrovano pessimisti e soddisfatti credenti. E' importante però che
il lettore sia convinto, sfogliando una raccolta di poesie, di maneggiare
un'opera d'arte.
La morte non è
necessaria, ma è un dato di fatto, come il passaggio giornaliero dalla luce del
mattino alle tenebre della sera. Poiché è ineluttabile, si è sempre cercato di
darle un senso che andasse oltre la cessazione di tutto, arrivando a ipotizzare
una trasformazione dell'esistenza, una traslazione in un mondo diverso.
Certamente la poesia non è una religione perché nulla promette, ma
eventualmente ha uno scopo ben diverso, più terreno e concreto, esprimibile
nell'appagamento sensitivo che può fornire un'opera d'arte, non disgiunto sovente da un velato dialogo filosofico attraverso
il quale l'autore comunica la sua opinione, se non perfino una teoria, sui
quesiti essenziali dell'esistenza. In questo senso “Finestre e balconi” si pone come un urlo muto che non cerca
risposte, oppure è un'invocazione attraverso la quale intendi dare un senso
alla tua esistenza?
Felicità e tristezze, tormenti ed
estasi sono eventi che si susseguono in modo assolutamente
casuale ed indipendenti fra loro.
I “Sonetti d'amore” e i “Sonetti di
guerra” della raccolta si avvicendano allo stesso modo.
C'è però una parentesi graffa che unisce
le due sezioni, al cui apice si situa uno stato di guerra: guerra psicologica
nella prima, armata e cruenta nella seconda.
Al fondo degli scoppi di gelosia fra
innamorati vermicola l'inclinazione alla violenza, la
stessa che tracima allo scoppio di una guerra fra popoli. Ci sarà una
differenza di dimensioni ma la sostanza è identica. E che genera l'utopia
mentale: ciò che è impossibile ottenere per amore è possibile conquistarlo con
la violenza. E' grazie a questa utopia che armiamo gli eserciti per difendere
la pace.
L' “Urlo
muto”, come lo chiami tu, è il mio tentativo di ritrarre la nostra condizione
di esseri viventi: il dolore che in esso si manifesta dovrebbe indurre il
lettore a cercare gli strumenti idonei a risolverlo. O almeno a mitigarlo.
La poesia, l'arte in genere, può
offrire solo un aiuto per liberarci dai vizi intellettuali, i più pericolosi,
ma gli strumenti efficaci l'uomo li deve trovare in sé stesso. Non si
migliorano granché le condizioni di vita ascoltando la Turandot o leggendo Pasolini,
però è certo che queste azioni aprono stati d'animo alla comprensione e alla
tolleranza.
E' da questo contesto,
appena abbozzato, che nasce la raccolta di poesie: non vuole cambiare la
realtà, ambisce però ad ammorbidirla sciogliendone, o tentando di scioglierne, i dogma.
D'accordo. E ora veniamo
all'ultima domanda, quella che non ti ho ancora rivolto e che tu desidereresti
tanto che ti facessi. Insomma, c'è qualche cosa che non ti ho chiesto e a cui
tu tieni in modo particolare? Se sì, ti prego di formulare domanda e risposta.
Quanto ti costa scrivere poesie?
La tua proposta ha generato una ridda
di domande, questa però ha alzato di più la voce.
Perché contiene anche la risposta. La poesia non solo non paga, ma per esprimersi chiede
sacrifici, studio, rinunzia ad una vita normale, non nelle apparenze, bensì
nell'intimo, nel privato più profondo, là dove si forma la tessitura del
rapporto con il mondo esterno, dove si macerano i sentimenti con le sensazioni.
Dall'amalgama corrosivo dovrebbe sgorgare la visione poetica o artistica, la
sofferenza sublimante.
Spesso il soggetto afflitto da questa
grave patologia si chiede che pro gli venga da tanto doloroso bitume e non sa
trovare una risposta, annichilito dalla passione.
Eccola, la risposta: la passione
corrompe la bilancia rendendo incalcolabile il prezzo.
Doverosamente debbo
ringraziarti, Renzo, per la possibilità che mi hanno dato le tue domande di
chiarire a me stesso riflessioni ed intuizioni che
spesso hanno attraversato la mia coscienza, senza però vestirsi di parole.
Grazie a te Luigi. Questa
intervista, piacevolissima, credo possa essere di sicuro interesse per i
lettori, come lo è stata per me. Auguri per Finestre e balconi e arrivederci alla tua prossima pubblicazione.
Finestre e balconi
di
Luigi Panzardi
Pubblicato
tramite Unibook.com
Poesia
Pagg.
115
Prezzo
€ 14,56
Per
acquisti: http://www.unibook.com/it/Luigi-Panzardi/Finestre-e-balconi