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  Libri e interviste  »  L'intervista di Renzo Montagnoli a Gabriele Oselini, autore di “Piove”, edito da Fara 12/02/2012
 

Intervista di Renzo Montagnoli a Gabriele Oselini, autore della silloge poetica Piove, edita da Fara.

 

 

 

In questa raccolta è sempre presente la natura, una natura vista poeticamente, una proiezione quasi metafisica che fa da cornice a stati d'animo, venati, peraltro soffusamente, da una dolce malinconia. Potrebbe essere definita, ma nel senso più ampio del termine, una poesia bucolica, una deliziosa serie di acquarelli dai colori tenui e sfumati. Quale è il suo rapporto con la natura e, nel caso specifico, si avvale della stessa per portare avanti un suo discorso poetico, oppure rappresenta la fonte d'ispirazione dei suoi versi?

 

Definire i versi di PIOVE come poesia “bucolica”, è, per me, oltremodo impegnativo, in quanto la grandezza della poetica virgiliana supera ampiamente i confini di una semplice descrizione della natura con una serie di acquarelli dai colori tenui e sfumati: vi è comunque in Virgilio la concezione dello spazio come rifugio metafisico da una realtà terribile fatta di violenze, ingiustizie, orrori quotidiani; l'Arcadia, frutto della sua coltissima fantasia, è stata definita un “non luogo”, dove vivere metaforicamente quella bellezza e quella pace che le soldataglie scatenate delle guerre civili e delle conseguenti successive lotte impedivano di vivere nella realtà.

Amo molto indugiare nella descrizione, con cenni, di aspetti essenziali. Amo cogliere le sfumature, i colori, soprattutto i colori. Amo evidenziare i suoni, i profumi, senza nascondermi i rumori dolorosi della sofferenza. Poesia della natura, ma anche poesia della vita, in cui la memoria ha un ruolo fondamentale. Oltre i ricordi, oltre la nostalgia, la memoria è, direi, recupero del presente. 

Il mio rapporto con la natura è, assai più modestamente che in Virgilio, reale. Non simbolo di pace ma pace essa stessa, la natura nei suoi aspetti anche più semplici ed umili disegna in certi momenti un universo che l'uomo invade e tende a deteriorare, deteriorando se stesso.

La natura è lo spazio che prende il sopravvento sull'esistenza e quindi sul tempo, donando sicurezza ed equilibrio, anche nei momenti più difficili.

Da questo punto di vista mi sento vicino all'impressionismo pascoliano, al suo amore per le cose e gli esseri più umili, al suo seguire lo scandire dell'esistenza al di sopra delle meschinità umane.

Al di sopra ma non al di fuori: i miei versi tendono ad essere attivi, impegnati, a volte con funzione, più o meno nascostamente, civile, e qui si cela l'influenza subita dalla mia passione per la poesia latinoamericana, specialmente peruviana, del primo Novecento.

 

 

Ma anche in Virgilio il rifugio in un'isola felice è frutto della memoria, dei tempi in cui, nella dimora paterna, poteva cogliere quell'armonia della natura che così incisivamente si era impressa nel suo animo. Esiste un silenzio nelle ecloghe virgiliane che è quello proprio dell'eterno e che nel far sentire all'uomo la sua caducità, la brevità del suo tempo, infonde uno stupore attonito che lo porta a servirsi del paesaggio per uscire momentaneamente dalla sua infinetisima esistenza. Certo, nella sua poesia, e per sua intendo questa raccolta intitolata “Piove”, la natura, più che protagonista principale, è un catalizzatore di sentimenti, di emozioni, ma anche qui è, in altro modo, strettamente connessa al ricordo, come nel caso di Compagno Bruno.  C'è sicuramente un riferimento all'impressionismo pascoliano, anche se là la vena malinconica è più marcata e rasenta una rassegnata tristezza. Il Pascoli, i cui ricordi solastici tendono un po' a svilrne la grandezza, a causa dell'insana mania, almeno ai miei tempi, degli insegnanti di far apprendere a memoria le sue liriche, è in effetti un poeta della memoria, una memoria fatta anche di gesti quotidiani, di rimpianto di un tempo più idealizzato che reale. Premetto che è un poeta che ammiro, uno che nei suoi versi ha fermato il tempo ed è anche per quello che ancor oggi è grande. Passiamo però ad altro autore, a lei, e alla sua passione per il colore (dietro al ponte verde marcio, giallo / dentro la mia vecchia maglia / a righe, righe verdi / terra bruna, rosso prugna, sul fiume azzurro, riflessi gialli e viola / di platani grigioverdi); indubbiamente è una policromia, ma al di là del senso estetico, che pure è utile al verso, c'è altro, che penso d'aver intuito, ma che chiedo a lei di spiegare. In parole povere, qual è il significato dei suoi colori?

 

Vorrei citare due brevi versi del poeta messicano Octavio Paz :

los caballos color de sol / los burros color de nube”

i cavalli color sole / gli asini color nuvola”.

La relazione colore-emozioni è il frutto di esperienze del tutto personali e risulta alla fine assolutamente individuale. Non so quali impressioni possano aver avuto gli eventuali lettori dei miei brevi versi, certamente ognuno avrà vissuto dentro di sé in modo diverso l'approccio cromatico con paesaggi, persone, immagini evocate o reali.

Definirei espressionismo, come nel caso della pittura o della musica, segnare sulla carta emozioni che i colori possono esprimere; e questa, penso, sia stata la mia operazione creativa, il più delle volte senza volerlo. 

Secondo il pittore/poeta russo Kandiskij, il colore è un mezzo per dare “impulsi all'anima”; ritiene che ogni colore sia dotato di un proprio patrimonio espressivo e, quindi, attraverso di essi sia possibile rappresentare in modo diverso la spiritualità che si annida in ognuno di noi. Penso che abbia ragione. Certo che il rapporto col colore è relativo al tempo e allo spazio considerati e determina gli stati d'animo e la psicologia degli individui in modo unico e irripetibile.

Per me il colore è determinante per inseguire parole, ricordi, emozioni e fermarli sulla carta: il colore diventa suono, profumo, sapore in una continua sinestesia e contaminazione dei sensi.

Il rosso è forza, vita, battaglia, vino, allegria , il giallo  è fiducia, polenta, rifugio, l'azzurro è silenzio, incanto, nero è amore, passione, occhi, certezza, ma altri numerosi colori sono testimoni di situazioni che sottintendono relazioni umane, sociali e culturali, o semplicemente, il cogliere la visione, interiorizzata, di fenomeni naturali, quasi a consacrare l'immanenza dello spirito con la natura.

 

 

Certo il colore influenza gli stati d'animo e un giorno grigio di novembre muove più facilmente alla malinconia. Peraltro tendiamo sempre ad associare una tonalità a un nostro stato emotivo e ci sono tinte generalizzate, cioè di riferimento per tutti, e altre invece che riflettono una condizione del tutto individuale. Resta però il fatto che i colori sono una componente essenziale della nostra vita e risultano determinanti anche come messaggio, sia in pittura che in poesia.

Poiché ognuno, pur cogliendo la natura soggettivamente, finisce sempre con il partire da una base reale, soprattutto in un'epoca come la nostra che impone una visione massificata di ciò che ci circonda, una sorta di Arcadia al contrario, ho rilevato che nelle sue poesie lo sfondo è quello tipicamente padano (il salice, la barchessa, il bugno, gli aironi, le anatre, il fiume Po).

Questa natura non è presentata con distacco, il che sarebbe tipico di un osservatore del tutto materialista, ma come partecipe della nostra esistenza, in quanto noi parte della stessa.

Il rapporto con il mondo che ci circonda è volto alla sua comprensione, un sistema indispensabile per conoscere noi stessi.

Quanto ha influito questo modo di vedere, da partecipe, la natura sul suo percorso di cognizione interiore?

 

La natura esprime percezioni sensoriali e, nello stesso tempo, stati d'animo. Gli aspetti più significativi per me, nel momento in cui sono colti, hanno una dimensione reale e valgono per quello che sono, non per quello che rappresentano o rappresenterebbero. Certamente materia e cultura, natura e sentimenti, spazio e tempo si intersecano e si condizionano, per cui il mio universo padano, ad esempio, descrive quello che sono e che penso e che sento. Altri casi letterari particolarmente significativi, di grande valenza letteraria, hanno avuto una evoluzione creativa assai simile: penso alla produzione poetica   di Umberto Bellintani o a quella, più limitata, di Cesare Zavattini.

Ho scoperto che la profondità dell'essere si innerva della percezione fisica di ciò che ci circonda. Nel mio caso la Valle del Po è parte prevalente della mia esistenza, ma anche altri paesaggi ( Mediterraneo, Atlantico ) constato che hanno influito.

C'è qualcosa di antico, o meglio,  di primitivo, nell'approccio con la natura che ti rivela consonanze con l'universo e che, grazie alla poesia, ti fa rivivere l'esistenza, dalla nascita fino alla percezione della morte.

Immersi nel paesaggio, fra colori, sfumature, assalti di immagini, ti senti al sicuro, è qualcosa di tuo che hai ritrovato, è un ritorno a casa, che appaga e da sicurezza, anche nei momenti di sconforto. Nel mio caso, certamente ogni angolo della “bassa” influisce , così come gli oggetti o gli animali, alla pari dei ricordi o delle relazioni umane. Non ritrovare spazi cari alla memoria, come un albero  o un fossato  o una vecchia casa, provoca un senso di smarrimento, così come scoprirne ancora una volta di apparentemente eterni ti rassicura. A volte sei colpito da particolari che sembrano insignificanti che comunque ti danno la sensazione di essere ad un tempo soggetto ed oggetto di un'esistenza che è tutta in te e fuori di te: percepisci di essere parte di un tutto.

 

 

Se l'uomo si rendesse conto che la natura è la sua naturale abitazione, con ogni probabilità la rispetterebbe maggiormente. E giusta è la puntualizzazione dello smarrimento che si prova a non ritrovare un vecchio albero, o un fossato, o una vecchia casa, tutti elementi che concorrono a quel grande patrimonio individuale che è la memoria. Al riguardo, in questa raccolta entra uno dei grandi temi della poesia, il ricordo, a volte velatamente, altre più in evidenza, come per esempio in Compagno Bruno. Che cosa rappresenta per lei in effetti  la memoria?   Quale significato darle nell'ambito  di quell'ampia esperienza che è la vita?

 

Per me il ricordo è parte fondamentale dell'esistenza, e quindi della poesia, in senso forse proustiano, o forse semplicemente, come presenza perenne di sensazioni che sopravvivono alla loro occasionalità.

Proust distingue memoria volontaria da memoria involontaria, riservando alla prima una funzione razionale di reminiscenza di persone,  episodi, cose, che rimane  limitata e senza grande respiro; la memoria involontaria invece è quella istintiva delle sensazioni, che fa rivivere il passato, trattenendolo, proprio perché vissuto continuamente, quasi abolendo la nozione di tempo. Forse è proprio questo recupero casuale di ciò che è accaduto che fa rivivere un passato altrimenti perduto per sempre.

La memoria avvicina un vissuto fatto di sensazioni a momenti presenti, in cui sopravvivono le stesse sensazioni. Il recupero del passato è carico di felicità o di malinconia ma l'angoscia che ne può nascere viene rimossa proprio esternandolo.

Per questo c'è bisogno di rivivere il passato: è un'esigenza di infinito, che è presente e fortemente condizionante.

La frequente meschinità della vita quotidiana trova la via d'uscita in questo continuo gioco di rivivere le sensazioni più forti attraverso percorsi apparentemente banali o insignificanti.

La semplicità della consolazione in cui prevale il senso della pietas, è per me sempre presente, specialmente in casi di morte di personaggi amati o conosciuti. Una pietas che la memoria lascia in eredità a chi è vivente.

Il recupero continuo delle sensazioni riporta allo scoperto dalla profondità dell'oblio, momenti e, soprattutto, persone che rendono vivo il passato.

La sensazione di paura, sempre uguale nel vivere il presente, di attraversare una strada sterrata ove, in fondo, offuscata dalla nebbia del mattino, si intravvedeva una sagoma informe che evocava streghe, orchi, fantasmi dell'infanzia,  veniva   annullata dall'abbraccio rassicurante di mia madre che, ancora odorosa di erbe e prezzemolo della cucina, mi stringeva forte al petto, e quel ricordo rimuove, incredibilmente, l'insicurezza di oggi, superando il tempo. Questa la definirei memoria involontaria.

In Alsazia, ho incontrato un vecchio contadino che mostrava con i suoi strumenti di vetro e fornelli e altro, come si fa la grappa, e  udendo di lontano il mio accento nord-italiano ha subito avuto la sensazione di trovarsi di fronte a un suo compaesano. In dialetto, non conosceva quasi più la lingua italiana, mi ha confidato che era originario di Parma, stabilitosi a Colmar da bambino con i genitori, e mai più tornato nella sua città natale. Avrebbe voluto tornare in Piazza Duomo  nel becco di una cicogna, una di quelle numerose cicogne che nidificano in quella terra sui tetti delle case ad angolo acuto, e ho dovuto fermare quel momento sulla carta, come memoria, che definirei volontaria.

Il nostro pensiero è alla continua ricerca di ciò che non muore, come l'istinto delle specie viventi tende alla continuità perenne, e vincere il tempo è comunque foriero di felicità.       

 

 

Concordo. Del resto la memoria, cioè il ricordo di ciò che è stato è l'unica misura valida per avere la certezza di aver vissuto; il dramma è che la generazione attuale sembra avere ricordi del tutto disallineati da quelli dei genitori, come se fosse intervenuta una cesura netta a separare marcatamente un'epoca dall'altra e come se la precedente non fosse mai esistita. Se non sappiamo da dove veniamo, abbiamo un'incapacità non solo di vivere il presente, ma di fare anche qualche timido progetto per il futuro.

Restano degli individui che trascinano la giornata in preda a questa o quella chimera, facilmente influenzabili da chi detiene le leve del potere.

Al riguardo, qual'è la sua opinione?

 

Le nuove generazioni, sin da adolescenti, si chiedono subito cosa esigere dalla vita e cosa fare per raggiungere la loro meta, o perlomeno, una meta, che molte volte è un sogno, o solamente un desiderio di avere un sogno.

I giovani sono sempre liberi nell'anima, soprattutto dai genitori e, in genere, dagli adulti, i quali non possono seguirli, anche volendo, rincorrendo il futuro.

La vita evolve, diviene continuamente e non può attardarsi sul passato. Certamente la memoria del passato è vitale per evitare disastri e fallimenti, per non commettere gli stessi errori, ammesso che si abbia lo stesso concetto di errore.

Il poeta Gibran Kahil Gibran, poeta arabo libanese, vissuto negli USA e punto di riferimento della cultura “ribelle” del “68, rivolgendosi ai genitori  in una sua poesia afferma: “Voi siete gli archi da cui i figli, le vostre frecce vive,/ sono scoccati lontano”. Sia i genitori che i figli hanno un ruolo complementare nella vita, diverso ma intrinsecamente legato, per cui da una parte i genitori debbono amare i loro figli ma non costringerli alla loro volontà, al loro pensiero.

Ciò non toglie che si debba scrupolosamente agire come seminatori di valori; poi, una volta fatta la semina, la pianta non potrà che crescere da sola, e sarà più sana e robusta, più avrà modo di proiettare i propri rami verso spazi aperti, inesplorati.

Il problema è se le generazioni più anziane hanno realmente seminato valori, o se si sono attardate nel proprio particolare, coprendo, almeno nella nostra civiltà occidentale, i figli di benessere, di oggetti, a scapito di autentiche relazioni.

Una generosità degli oggetti e non degli affetti. Così ogni vero scambio di idee e di esperienze tende a finire in un vuoto rituale di baratto e si perde l'occasione di comprendersi.

Ovviamente si deve pretendere corrispondenza dai giovani, ma l'artefice vero della trasmissione di valori e dell'insegnamento non può che essere l'adulto, dando, dando e ancora dando, senza stancarsi e senza pretendere di ricevere, perché non c'è nulla da ricevere se non la gioia di vedere la luce di un nuovo mondo, ancora migliore.

Chi detiene le leve del potere per interessi propri o di una parte rispetto al tutto, alimenta chimere e disvalori per poter meglio raggiungere i propri scopi, ma la democrazia implica un potere che incrementa la libertà nell'ambito di confini  valoriali ben identificabili, che io ritengo riassumibili in due concetti fondamentali del pensiero moderno: giustizia e libertà.

Ognuno, a suo modo, dovrebbe seminare il proprio campo, e i frutti non potranno non nascere copiosi. I giovani sono lo strumento di crescita di questi frutti e sono frutti essi stessi; dipende dalla semina.

 

 

Certamente l'educazione è basilare e se i genitori, che sono preposti a quella dei figli, non la mettono in atto, non ci si deve meravigliare se ci troviamo in un mondo simile, travolto da una crisi più etica che economica. Nelle generazioni dovrebbe essere presente un filo conduttore, che unisce l'una all'altra; ora, purtroppo, questo filo si è spezzato.

Ma veniamo alle domande e fra queste una classica, se rivolta a un poeta: secondo lei, che cos'è la poesia?

 

Non saprei dare una definizione di poesia, se non quella che si legge sulle antologie scolastiche o sui manuali, ma so che per me è come un ritorno a casa, mi rassicura e mi rende felice, proprio come entrare dalla porta che chiude dietro di sé ansie e contrasti.  La poesia è uno scrigno che si apre e permette di conoscere e apprezzare i valori in esso contenuto.

La poesia unisce solitudine e socialità, descrizione e creazione, coglie i particolari e gli insiemi.

La poesia vince il silenzio, l'oblio, il tempo.

La poesia  è un'espressione dell'animo che comunica all'esterno ciò che siamo veramente dentro, e nello stesso tempo, permette a ciò che è all'esterno di comunicare la sua realtà.

A volte mi chiedo se ciò che scrivo, o che ho scritto, anche poche righe o poche parole, sia veramente vissuto o solo pensato, ma non ha importanza, perché il confine della realtà sfuma fino a scomparire, nel senso che tutto è reale in quanto suscita sensazioni che vincono il tempo e lo spazio.

Le persone o le cose che ho incontrato a sedici anni, o a venti o a cinquanta, dentro il mio cortile della mia casa o oltre oceano, mi hanno indotto a prendere nota di quanto mi comunicavano, permettendomi di cogliere qualche sprazzo di quell'immensa sinfonia di vita in cui siamo, spesso inconsapevolmente, immersi.

Ecco, se vogliamo dare un senso alla poesia è quello di saper cogliere l'attimo fuggente, che altrimenti si perderebbe come una meteora nello spazio infinito.

La poesia è anche ricerca, rifinitura, perfezionismo della forma, è ritmo, immagine, ma questi non produrrebbero nulla, se non ci fosse la volontà di comunicare la tenerezza dei sogni o la durezza del pianto, la gioia dell'affetto, la ferita dell'odio, lo stupore della bellezza, la verità degli uomini e il loro approccio con la vita in ogni sua espressione, compresa la morte, la loro lotta e la loro speranza.

Il valore della poesia è nella parola del poeta ma anche nel lettore che trova in essa uno strumento di comprensione e di miglior uso dell'esistenza.

La poesia serve ad ogni individuo che vuole vincere la sua subalternità.

Parafrasando Neruda mi sento di affermare che “ così la poesia non avrà cantato invano”.

 

 

Posso essere d'accordo, in quanto una definizione univoca di “poesia” non esiste, ma varia secondo il sentimento di ognuno e può cambiare nel tempo anche per lo stesso individuo. Ma passiamo all'ultima domanda ed è attinente la poesia che dà il titolo all'intera raccolta. “Piove”, si chiama, e mi sembra paradigmatica riassumendo in sé i temi caratteristici delle altre. Come acquarello i toni sono ancora più soffusi e nell'insieme l'ombra dell'inciso sfoca in una nota malinconica, quasi una remora, un dubbio, un oscuro presagio. E nel gioco dei colori questo tratto scuro mi ricorda che la vita è bella, ma non infinita.

E' una bella poesia che, a mio parere, necessiterebbe di un'interpretazione autentica dell'autore. Che significato vi è ricompreso, cos'è quell'ombra?

 

La delicatezza dello sguardo di mia madre, la sua pensosa innocenza, la musicalità generosa di mio padre, il suo canto,  rivivono in me ogni istante: la loro poesia di vita pervade ogni attimo della mia esistenza e si sublima in tutto ciò che amo, dalla mia famiglia, alle mie amicizie, alle mie conoscenze. 

L'ombra di PIOVE è la nostra precarietà, nella bellezza dell'immenso universo, che ci sfiora e ci rende consapevoli: la via d'uscita ? Il superamento della solitudine: la solidarietà, senza illusioni trascendenti, ma con ragionevole serenità; il godere nel sentirsi soggetti fra gli oggetti, in una pulsazione di vita che tutto pervade.

Leopardi. Ecco Leopardi è entrato in me, sin dalle prime letture, disperate, della giovinezza. Poi è subentrato il segreto della “Ginestra”, che, lavorando come una corrente di un fiume sul suo letto, ha aperto in me orizzonti inesplorati, fino ad incontrare la poesia ispano americana, che mi ha colorato l'anima.

Indugiare nello sconforto della fine, che non è fine, mi libera dall'angoscia; assaporare fino in fondo il gusto della vita, nel senso del dare e del ricevere, mi rende felice; amare ciò che è amabile e ciò che difficilmente può sembrarlo, mi appaga e mi profuma ogni attimo dell'esistenza, nonostante tutto.

 

 

È un peccato che questa piacevole conversazione sia giunta al termine, ma spero che ci siano altre occasioni per riprendere il discorso. E nel mio saluto di commiato ricomprendo anche il sincero augurio che questa Piove trovi il consenso dei lettori, almeno di quelli che pensano che un mondo senza poesia non possa essere a misura d'uomo, ma solo una landa deserta e senza speranza.

 

 

Piove

di Gabriele Oselini

Prefazione di Fabrizio Azzali

Copertina di Elvira Pagliuca (studio Kaleidon)

Fara Editore

www.faraeditore.it

Poesia silloge

Collana Sia cosa che

Pagg. 64

ISBN 978 8897441 014

Prezzo € 11,00

 

    

 

 

 

 
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