Fausto Vitaliano. Era solo una promessa
Gli anni '90 in un romanzo totale
Intervista all'autore
A
cura di Giuseppe Iannozzi
1. Era solo una promessa, questo il tuo primo romanzo, Fausto Vitaliano. Un romanzo complesso, di grandi ambizioni. Come
e perché ti è saltato in testa di passare da Topolino a un romanzo totale che
racconta (anche) un tragico capitolo della storia italiana?
In realtà, ho cominciato a scrivere narrativa – o, almeno, ci ho
provato – ben prima di fare lo sceneggiatore di fumetto. Parlo di più di
vent'anni fa, ormai. Prima di “Era solo una promessa”
avevo messo insieme cinque altri romanzi, una decina di short stories e una quantità imbarazzante di racconti. Ogni volta
che mi proponevo a qualche editore, però, i manoscritti mi venivano
rifiutati (in retrospettiva, posso dire che avevano ragione loro). Nel corso
degli anni ho cercato di migliorarmi e di capire che cosa non funzionasse.
Parallelamente, però, ho cominciato a lavorare per la radio, poi per la
televisione. Sono diventato giornalista, ho lavorato per il teatro e, infine,
ho ricevuto l'offerta di fare lo sceneggiatore per la Disney. Continuavo a
scrivere romanzi e racconti, perché proprio non ce la facevo senza.
Sono stato fortunato, giacché ho potuto comunque guadagnarmi da vivere
attraverso la scrittura. E finalmente ho trovato un editore, Laurana, che ha apprezzato il mio lavoro.
2. In Era solo una promessa due eroi della giustizia italiana muoiono ammazzati in maniera più che mai tragica: Giovanni
Falcone e Paolo Borsellino. Accenni alla loro esecuzione attraverso Alessandro,
personaggio principale del tuo romanzo, il quale apprende la notizia attraverso
la tivù. Perché solo un breve accenno e non una più nutrita disamina di questa pagina nera di Storia?
Ho preferito che la cronaca tragica e recente del nostro Paese
rimanesse sullo sfondo della vicenda in primo piano, ossia la storia d'amore
tra Silvia e Alessandro e gli intrighi della famiglia Neyroz.
Le vicende private e quelle pubbliche si incrociano
diverse volte nel corso del romanzo. Potremmo dire che la storia d'amore altro
non è che lo specchio di quanto sta accadendo loro
intorno. Non a caso, l'accenno alla morte di Giovanni Falcone (mai nominato con
nome e cognome, peraltro) accade il giorno in cui Silvia e Alessandro si
lasciano.
3. Era solo una promessa è soprattutto una storia d'amore o un
romanzo-denuncia?
Direi che è anzitutto una storia di formazione. Alessandro deve
imparare a vivere, giacché nessuno glielo ha insegnato. Deve sapere qual è la
sua posizione nel proprio spazio e nel proprio tempo, perché proprio non lo sa.
E poi (ma lo dico sommessamente) è un romanzo che racconta la mancata
evoluzione di un intero Paese, la sua incapacità di guardare veramente avanti,
di lasciarsi finalmente alle spalle il proprio passato, l'inerzia che gli
impedisce di crescere.
4. Alessandro è il personaggio principale del tuo primo
lavoro letterario. Chi è Alessandro? A chi ti sei ispirato, se a qualcuno ti
sei ispirato per disegnare il suo carattere?
Alessandro è un uomo che, più che vivere, si lascia vivere. Il mondo gli passa accanto e lui lo guarda come se
fosse seduto sul sedile di un treno. Molte persone sono così, vivono così.
Basta guardarsi intorno. Di certo, Alessandro non assomiglia a me.
5. Vittorio Neyroz, Giulio ed Edu Neyroz,
Silvia Neyroz: loro, loro chi sono in realtà?
Soltanto una famiglia che è riuscita a diventare oltremodo ricca, ma senza un
reale peso politico nella società? Giulio Neyroz
aspira al potere?
È una famiglia piuttosto tipica, rappresenta quel “capitalismo
familiare” che è stato al tempo stesso la fortuna e la condanna del nostro
Paese. Una “razza padrona” che ha dato sicurezza fintanto che l'economia girava
bene, ma che ci ha messo nei guai ogni volta che si è presentata una
congiuntura economica sfavorevole. È vero, i Neyroz
dicono di voler ammodernare il luogo nel quale vivono, così come le grandi
stirpi italiane dicevano di voler fare con l'Italia.
Il risultato mi pare sotto gli occhi di tutti.
6. Chi è
Giulio? A chi ti sei ispirato per disegnare da capo a piedi la figura di questo
mezzo yuppie che aspira a essere uomo di potere avanzando ideali apparentemente
limpidi e ben lontani da quelli della gerontocrazia dominante?
Giulio Neyroz, in particolare,
rappresenta una sorta di “evoluzione della specie” del capitalismo familiare
cui accennavo. Ha studiato, è molto preparato ma non disdegna di ricorrere a
scorciatoie pericolose – perfino a un accordo con la malavita – per perseguire
i propri scopi. Egli possiede due morali: una che funziona per tutti e un'altra
che va bene solo per lui. La storia italiana, soprattutto quella recente, è
piena zeppa di gente come Giulio Neyroz.
7. Alessandro è un fotografo reduce da una tragedia
familiare e da un libro di foto, che lui dice esser state appiccicate con lo
sputo. Alessandro incontra, per puro caso, i Neyroz,
entra in contatto con la famiglia e si prende una bella sbandata per Silvia Neyroz, la sorella di Giulio. Proprio Giulio dovrebbe
prendere in mano le redini degli affari iniziati e portati avanti nel corso
degli anni dal padre Vittorio; ma per riuscirci ha bisogno di Alessandro, che
lavora nella redazione di “Modern”, rivista patinata
e d'élite. Letizia De Santillana è il capo di
Alessandro ed è per lui anche una sorta di madre adottiva, un
po' tanto stronza però. Letizia e Giulio Neyroz
stringono un patto, un patto del diavolo: l'ambizione ultima di Letizia è quella di poter dirigere un vero giornale e Giulio è pronto
a offrirgliene uno nuovo di zecca, sempreché Alessandro si decida a realizzare
un servizio sulla sua famiglia. Sia Letizia che Giulio
vogliono qualcosa, qualcosa che è il potere! Entrambi, almeno a sentir loro,
sono degli stinchi di santo. Chi è Letizia De Santillana?
E, soprattutto, perché Letizia e Giulio stringono un patto che, perlomeno ai
miei occhi, appare non poco luciferino?
Letizia è stata una grande giornalista, una leggenda. Ha viaggiato i quattro angoli del mondo, è stata sotto le
bombe e ha una scheggia di granata conficcata da qualche parte. Ma poi si stanca della follia del mondo e cerca la
tranquillità (che non significa “pace”: significa solo assenza di conflitto).
Crede che Giulio Neyroz sia l'uomo in grado di
garantirle questa condizione. Ma si sbaglia, anche
perché tralascia di considerare chi veramente c'è alle spalle di Giulio. Non è che Letizia non lo sappia: lo sa, ma fa finta di
niente. Anche questo è accaduto nel nostro Paese: il giornalismo si è voltato
dall'altra parte e, salvo poche eccezioni, ha scelto di farsi parte organica
del potere e di non raccontare più la verità. Specie se la verità può dare
fastidio ai potenti.
8. Prima di incontrare Silvia, Alessandro teneva viva (ma
con la respirazione bocca a bocca) una relazione con
una certa Laura, una ragazza con non pochi problemi psichici, forse dovuti al
fatto d'aver sempre vissuto nella bambagia. Tuttavia non è
che Alessandro sia uno tutto a posto, tutt'altro: i suoi genitori sono
rimasti polverizzati in un incidente ferroviario quando lui era solo un
quindicenne bramoso di libertà. L'improvvisa dipartita della sua famiglia lo
rende, quasi di colpo, ricco e libero. Alessandro ha pure lui i suoi “fantazi” che gli parlano consigliandolo e perseguitandolo.
Che ruolo hanno i “fantazi” in Era solo una promessa?
I fantazi rappresentano il passato, che
è la forza più potente esistente nell'Universo, quella che condiziona, nel bene
e nel male, il nostro presente e il futuro che ci attende. Eliminare il passato
non si può. Quello che si può ragionevolmente fare è scendere a patti con lui,
cercare di farlo ragionare. Alessandro sostiene che se esistesse un farmaco in
grado di cancellare quello che abbiamo fatto il giorno prima, questo andrebbe a
ruba più dell'aspirina. Probabilmente è vero, giacché l'assenza del passato, l'assenza di ricordi (e, quindi, l'assenza di fantazi) significa anche assenza di colpe e responsabilità.
Temo tuttavia che non sarebbe una scelta particolarmente
furba. Noi possiamo dimenticare il passato, ma il passato
non si dimentica mai di noi.
9. Il tuo romanzo, Era solo una promessa, è costruito su tanti flashback che vengono svelati dalla stessa voce dei personaggi: un insieme
di fotografie, un po' sgranate, quasi mai perfette e complete. Ti ha aiutato la
tua lunga esperienza nella stesura delle storie di Topolino, e se sì, come?
Quello dello sceneggiatore di fumetto (e, immagino, anche quello
del cinema) è un lavoro meticoloso, puntiglioso. Le sceneggiature non sono un
racconto, bensì uno strumento di lavoro che viene
utilizzato da un disegnatore, il quale dovrà tradurre in immagini le
descrizioni contenute. Pertanto, occorre concentrarsi sui dialoghi (le parole
scritte nelle “nuvolette”) ma anche sulla struttura della storia, sulla sua
coerenza interna, sulla messinscena. Sceneggiare fumetti è stato fondamentale
per capire dove il mio romanzo presentasse “buchi” di qualche genere. È
possibile (anzi, probabile) che in 450 pagine qualche buco
sia rimasto. La disciplina dello sceneggiatore mi ha comunque aiutato a fare in
modo che i buchi non diventassero voragini.
10. Sono dell'avviso che Era solo una promessa non sia frutto di pochi mesi di
lavoro, è difatti un lavoro molto organico e viscerale: quando hai iniziato a
scrivere il romanzo? E: come ti sei mosso mentre procedevi nella scrittura?
Ho iniziato la scrittura sul finire dell'estate del 2010. La prima
stesura è stata piuttosto rapida. Il lavoro più importante è stato quello di revisione e di riscrittura. Ho cercato di seguire più
strettamente possibile la successione degli eventi, evitando di scrivere “in
anticipo”, così da evitare errori di coerenza narrativa. Scrivevo blocchi di
30-40 pagine che poi rivedevo fino a renderli accettabili. E così via.
11. Ci sono degli autori classici che in qualche modo
hanno influenzato il tuo stile?
Non so se possa essere considerato un classico, ma la rilettura
del Grande Gatsby di
Fitzgerald è stata una inesauribile fonte di
ispirazione.
12. E se adesso ti chiedessi chi, secondo te oggi come
oggi, val la pena di leggere, quali nomi faresti?
Per l'architettura narrativa, Gabriel García Marquéz.
Per la profondità della visione dell'animo umano, Hemingway
(i racconti). Per l'elettricità della scrittura, Martin Amis.
13. Tangentopoli esplose venti
anni or sono. L'Italia è cambiata rispetto a ieri, in meglio o in peggio? In
tutti gli ambiti, nonostante il gran lavoro di pochi valorosi eroi al servizio
della giustizia e non del solo nebuloso Stato italiano, la corruzione è
purtroppo grottesca attualità. Come te lo spieghi?
Secondo Sergio Romano, l'Italia patisce un problema che egli fa
risalire alla figura di Garibaldi. Noi siamo un Paese basato sull'azione
estemporanea anziché sul progetto. Ci affidiamo a gli
“uomini della Provvidenza” sperando che questi risolvano tutti i nostri
problemi, salvo poi scaricare su di loro anche le responsabilità dei nostri
fallimenti. Mi ha colpito un'intervista rilasciata da Francesco Saverio
Borrelli, che del pool di Mani Pulite era il capo. Il magistrato disse che noi
italiani eravamo disposti ad appoggiare la lotta alla corruzione fin tanto che
nessuno ci avesse tolto la “modica quantità” di corruttela che ci consente di
avere apparenti vantaggi (il vigile che ci toglie la multa, l'impiegato del
catasto che chiude un occhio su una visura). Quando gli italiani si accorsero che
lotta alla corruzione significava anche lotta ai
privilegi, non ne vollero più sapere e cominciarono a strillare contro la
magistratura e il “clima di terrore” che si stava instaurando. Perciò, quando
si parla di “Stato” dobbiamo fare attenzione che non
sia una definizione troppo astratta. Lo Stato siamo noi. Lo Stato funziona come
noi lo facciamo funzionare. Uno Stato corrotto è
composto (almeno, dal mio punto di vista) da cittadini corrotti o facili alla
corruzione. Non esiste una “regia occulta” che trama contro il cittadino
onesto, così come non esiste una “Società civile” sana e limpida che si
contrappone alla politica bieca e marcia. Una volta Beppe Grillo (quando ancora
era sano di mente) disse: “Noi siamo i socialisti di noi stessi”.
14. Qual è la tua opinione sul sedicente governo tecnico
di Mario Monti? Si stava meglio con Berlusconi, o sarebbe auspicabile un
ritorno ai vecchi sistemi, a quelli di Romano Prodi o addirittura di Massimo
D'Alema?
Ho sinceramente smesso di seguire la vicenda politica. Leggo
raramente i giornali. Appartengo a un'altra generazione. I miei punti di
riferimento non esistono più. I tempi mi hanno sorpassato (ed è giusto che
fosse così). Preferisco occuparmi di altro.
15. Non ci sono note di ringraziamento in Era solo una promessa. E' piuttosto strano ma non
impossibile: chi oggi scrive sembra non possa far proprio a meno di ringraziare
una miriade di persone. Tu, invece, non ringrazi nessuno, nessuna platealità.
Mi è stato fatto notare anche dalla mia casa editrice. No, nessun
ringraziamento plateale. Ringrazio ogni giorno chi mi ha aiutato e sostenuto. Ma si tratta di una faccenda personale.
16. Fausto Vitaliano, raccontaci
un po' di te, possibilmente iniziando dal tuo “Daquando”.
Temo che la mia vicenda personale non sia granché interessante.
Permettimi di dire che ciascuno di noi dovrebbe comprendere bene il proprio “Daquando”, ossia il momento che ha fatto in modo che siamo
diventati ciò che siamo. Il mio, in particolare, fu il momento in cui avrei
dovuto rispondere “No, grazie” e invece ho detto “Va bene, d'accordo”. Non dico
che, tornando indietro, non lo rifarei. Dico che quello è stato il momento in
cui la mia personale traiettoria nell'Universo ha subìto la deviazione
decisiva, quella che mi ha portato qui.
17. Perché leggere Era una sola promessa?
Se ti dovessi dare una risposta sincera, ti direi che ci sono in
giro un sacco di romanzi assai più interessanti e scritti assai meglio del mio. Per evitare di sminuirsi troppo (altrimenti
il mio editore si incazza) ti dirò che il mio romanzo
racconta un personaggio e la sua storia. Potrà risultare
una storia ordinaria, potrà essere raccontata in modo superficiale, ma è una
storia. Un arco narrativo, come si dice. Alessandro parte da qui e arriva qui. Sembra poco, ma mica tanto.
18. In veste di critico, se io fossi il tuo editore presenterei il romanzo al premio Strega.
Giuseppe, credimi: sei troppo gentile. Ma ti ringrazio moltissimo.
Fausto Vitaliano (Olivadi, Catanzaro, 1962) è uno degli
sceneggiatori di punta di Disney Italia. Scrive da
molti anni storie per “Topolino” e altre testate del gruppo. Collabora con gli
editori Feltrinelli e Rizzoli: ha curato, tra gli altri,
volumi di Beppe Grillo (Tutto il grillo
che conta) e di Michele Serra. Con quest'ultimo ha
scritto il monologo Tutti i santi giorni,
prodotto dal Teatro dei Filodrammatici di Milano. Ha pubblicato due saggi per Giunti-Motta Junior.
Era solo una promessa – Fausto Vitaliano – Laurana editore – collana Rimmel (narrativa
italiana) – Isbn: 978-88-96999-12-7 – pp. 448 – €
18,00
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