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  Letteratura  »  Dieci giorni in manicomio, di Nellie Bly, edito da Clandestine e recensito da Katia Ciarrocchi 18/01/2020
 
Dieci giorni in manicomio – Nellie Bly – Clandestine – Pagg. 127 – ISBN 9788865966921 – Euro 7,50


Mentre vivo, spero.



Mi infiltrai tra le persone incapaci e bisognose di tutela, vidi e sperimentai personalmente il trattamento accordato alla più inerme fascia sociale della nostra popolazione e, quando ritenni di aver raccolto sufficienti informazioni, il mio rilascio fu rapidamente ottenuto. Lasciai il reparto psichiatrico con la gioia di chi, dopo un tempo che pareva infinito, può finalmente respirare una boccata di paradiso e con il rimpianto di non poter portare con me alcune di quelle sfortunate donne che vissero e soffrirono al mio fianco e che, di questo sono convinta, non erano meno sane di quanto io stessa fossi e sono. Vi è una cosa, soprattutto, che mi lascia oltremodo perplessa: nel momento stesso in cui fui internata, cessai di atteggiarmi a pazza e mi comportai in modo assolutamente ordinario. E tuttavia, più parlavo e agivo razionalmente, più ero ritenuta afflitta da follia da tutti, ad eccezione di un medico, la cui gentilezza e cor-dialità resterà per sempre impressa nel mio cuore.

Nel 1887, il reporter Nellie Bly pseudonimo di Elizabeth Jane Cochran, fu incaricata di scrivere un articolo sulle condizioni di vita delle donne ricoverate nel manicomio nell’isola Blackwell, per fare ciò si fingerà una rifugiata afflitta da paranoia, così da poter essere internata nel manicomio.

Mi piacerebbe dire a quegli esperti psicologi che, successivamente, hanno condannato il mio operato come infiltrata: “Prendete alcune donne perfettamente sane e in salute, rinchiudetele in
una stanza, dove saranno costrette a rimanere sedute dalle 6 del mattino alla 8 del pomeriggio, senza mai potersi muovere, né parlare, alimentatele con cibo scarso e avariato e costringetele a sottoporsi a bagni gelidi e terapie estremamente dure, senza mai dar loro notizie di ciò che accade nel resto del mondo e vedrete come, ben presto, le condurrete alla follia. Due mesi sono sufficienti a provocare in chiunque un vero e proprio esaurimento fisico e mentale”.

Quello che ci propone Nellie Bly è un piccolo resoconto dei suoi giorni prima e dopo l’internamento, ed è sconvolgente apprendere l’incapacità dei medici di diagnosticare se una paziente era o non era sana di mente. Sicuramente alla fine dell’800 bastava veramente poco perché un comportamento “insolito” fosse etichettato come malattia mentale, ma nel momento che le donne arrivavano al manicomio di Blackwell già c’èra la certezza che non ne sarebbero più uscite.
Sconvolgente è la cattiveria delle infermiere che si divertivano sulle spalle delle pazienti, della brutalità nelle percorse, della disumanità, ma soprattutto della “follia” che possedeva chi doveva invece aiutare pazienti in un momento difficile della propria vita.
Ancora oggi le malattie mentali fanno veramente paura, perché non si conoscono, e non si sa mai come affrontare ciò che non si conosce.
La mente ha una sua metrica e quando questa perde i colpi vaga per un mondo ignoto ai più, ma ciò non vuol dire che persone che sono afflitte da tanto dolore, persone che sono imprigionate nella loro mente non siano esseri umani e come tali non vadano rispettate.
Un reportage quello di “Dieci giorni in manicomio” che mi ha lacerato l’anima nel vero senso della parola.
L’attualità di questo libro è disastrosa, negli anni nonostante la chiusura dei manicomi con la legge Basaglia, non c’è stato un vero e proprio miglioramento sul trattamento delle malattie mentali, spesso i pazienti psichiatrici sono abbandonati a se stessi e gli aiuti sono veramente pochi. E questo aprirebbe un lungo dibattito, e a malincuore devo asserire che ancora in riguardo si evitano delle prese di posizione da parte della società politica.
Se non se ne parla, se non si prendono posizioni, se non si incrementano gli aiuto socio-econimici, come si può restituire dignità alle persone con disturbi psichiatrici?

Quali misteri avvolgono la follia! Ho osservato pazienti le cui labbra paiono ermeticamente sigillate in un perpetuo silenzio: vivono, respirano, mangiano, mantengono l’umana apparenza, ma quel qualcosa, senza il quale il corpo può vivere, ma che in assenza di corpo non può esistere, risultava in loro del tutto assente. Mi sono chiesta sovente se, al di là di quelle labbra serrate, vi fossero sogni di cui nessun altro poteva essere a conoscenza o se solo il vuoto albergasse in quelle sventurate creature.



Katia Ciarrocchi



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