La
locandiera – Carlo Goldoni – Garzanti –
Pagg. LXVIII-87
– ISBN 9788811810063
– Euro 8,00
Dura
vita per i disprezzatori delle donne
Andata
in scena per la prima volta a Venezia nel 1753, “La Locandiera”
di Carlo Goldoni è una gustosissima commedia in tre atti che
continua ancora oggi a conservare una freschezza e una vivacità
del tutto invidiabili. All’affascinante Mirandolina,
protagonista indiscussa ormai ascesa al pantheon dei personaggi più
celebri e, tra quelli femminili, più memorabili della grande
letteratura senza tempo, hanno finora dato volto diverse attrici, tra
cui persino la grande Eleonora Duse sul finire dell’Ottocento.
Come
anticipa lo stesso Carlo Goldoni nella sua nota introduttiva al
testo, questa scaltra locandiera, presumibilmente ancor giovane ma
non più giovanissima, è donna di fiera e singolare
intelligenza che intende mostrare “come s'innamorano gli
uomini”. Di coloro che già si professano suoi innamorati
e si affannano nel vano tentativo di corteggiarla, il Marchese di
Forlipopoli e il Conte d'Albafiorita, due insipidi nobilucci
alloggiati nella sua locanda in quel di Firenze, non si cura, se non
in veste di padrona di un’attività economica: libera da
vincoli e soggezioni di sorta, lei è donna che tratta con
tutti, ma che non s'innamora di nessuno e a sposarsi non pensa
neanche lontanamente. Nemmeno con quel Cavaliere di Ripafratta, gran
“disprezzator delle donne”, anch’egli suo ospite,
contro il quale lei dichiara una tacita, personalissima e puntigliosa
guerra volta a punire il suo essere nemico dichiarato dell'altra metà
del cielo.
“[...]
È nemico delle donne? Non le può vedere? Povero pazzo!
Non avrà ancora trovato quella che sappia fare. Ma la troverà.
La troverà. E chi sa che non l'abbia trovata? Con questi per
l'appunto mi ci metto di picca. […] e voglio usar tutta l'arte
per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che
son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al
mondo la bella madre natura.”
Con
grazia e malizia impareggiabili, che si concretizzano in parole e
sguardi, gesti e lacrime, la protagonista finisce per conquistare il
Cavaliere che ha commesso il fatale errore di permetterle di
avvicinarsi a lui; del resto, “[...] chi è quello che
possa resistere ad una donna, quando le dà tempo di poter far
uso dell'arte sua? Chi fugge non può temer d'esser vinto, ma
chi si ferma, chi ascolta, e se ne compiace, deve o presto o tardi a
suo dispetto cadere.” Spassosissima la scena in cui la
locandiera è impegnata a stirare la biancheria, mentre, a poco
a poco, la situazione s'infervora al pari del ferro che deve essere
mantenuto caldo!
Come
già la Lisistrata di Aristofane e come in seguito, in un certo
qual modo, anche la Nora di Ibsen, la Mirandolina di Goldoni pone
l'accento sulla propria intelligenza pretendendo, a ragione, di
vedersi riconosciuti i dovuti spazi al di fuori di modelli
maschilisti e misogini tuttora in auge. La penna del grande
commediografo veneziano dipinge così un personaggio davvero
delizioso, in netto contrasto con l’immagine della donna
sottomessa imposta dalla mentalità dell’epoca che non
tollera alcun tentativo di emancipazione dal giogo coniugale e
domestico. Quello di Mirandolina incarna un ideale femminile
provocatorio nei confronti dell'uomo sic et simpliciter e, al tempo
stesso, della società patriarcale, dove le donne trovano la
propria naturale e legittima dimensione come mogli e madri. Costei,
invece, rompe scandalosamente gli schemi e anche quando decide infine
di mutare stato civile, avanzando – lei! – proposta di
nozze a un fidato cameriere della sua locanda, si dubita che possa
essere disposta a rinunciare oltremisura alla propria libertà
(“Finalmente con un tal matrimonio posso sperar di mettere al
coperto il mio interesse e la mia riputazione, senza pregiudicare
alla mia libertà.”). Inoltre, non sembra nutrire
l'ambizione di arricchirsi o bramare titoli aristocratici da
acquisire attraverso un matrimonio di convenienza, accontentandosi di
ciò che è e che ha, mentre i rappresentanti della
nobiltà, spesso senza nemmeno uno zecchino in tasca, hanno
boria e mania di grandezza a dir poco ridicole.
In
tempi in cui, ahinoi!, dei disprezzatori delle donne ancora non si
scorge penuria e la quotidianità femminile risulta sempre
rigorosamente in salita, ricordare testi come questo diventa quasi
lenitivo. Da leggere e, per ovvi motivi, ancor più da veder
rappresentata a teatro, “La Locandiera” è
un'opera, dunque, che continua a occupare un posto d'onore nella
assai vasta produzione goldoniana e che, dopo oltre due secoli e
mezzo, conserva intatto il sempre valido monito – che gli
“uomini presuntuosi” (ma persino qualche rappresentante
del gentil sesso) non dovrebbero mai prendere alla leggera – a
non disprezzar le donne.
Laura
Vargiu
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