Dal
fondo. I miei primi dieci anni – Franca
Canapini – Youcanprint – Pagg. 162 – ISBN
9788831610070
– Euro 12,00
A
comprendere il titolo ci aiuta la stessa autrice rivolgendosi ai
destinatari, le nipotine che vogliono sapere se davvero lei ‘è
nata povera’. Scrive Franca Canapini nell’Introduzione:
…vi
regalo il racconto di una storia fossile, proveniente dal fondo della
mia memoria, ma anche dal fondo dell’umanità e della
gerarchia sociale: e pure dal ‘fundus’ nel significato
latino di campo.
Queste
parole consegnano idealmente la chiave di lettura di tutte le
cinquanta storie, ognuna con un proprio titolo, di cui si compone il
libro, che alterna nelle pagine anche poesie dell’Autrice e
illustrazioni di oggetti e ambienti correlati all’arco di tempo
raccontato, gli anni ’50. Sono questi gli anni del dopoguerra e
della ricostruzione, anni che vedono la piccola Franca abitare con i
genitori Gino e Adriana – dei quali è l’unica
figlia, dopo la drammatica perdita dei primi due – in una
località vicino a Chianciano Terme, Le Cavine, in piena
campagna. C’era stato per questa piccola famiglia un primo
passaggio storico: la famiglia patriarcale di cui faceva parte e che
aveva resistito fino agli anni del conflitto a Poggio al Moro, dopo
la guerra si è frammentata in nuclei familiari separati,
fenomeno che avverrà più lentamente anche nelle
campagne della Val di Chiana negli anni del boom economico. Scrive
Franca Canapini:
In
quella piccolissima casa, all’inizio, non c’era l’acqua
corrente, la luce elettrica e il bagno era ridotto al solo gabinetto.
Era nuova ma concepita all’antica…. L’unico
lusso…la radio a batteria, dapprima una specie di grosso
cassone marrone, poi, anno dopo anno, sempre più piccolo e
meno gracchiante…(pp.10-11)
Intorno
vivevano i vicini mezzadri che abitavano in “vecchi poderi”,
con ancor meno comodità. Ma per la piccola Franca le case
coloniche, le scale di pietra. I pagliai, gli animali da cortile, le
stalle sono, come lei scrive “un presepe”, “un
mondo di bellezza e serenità” che rende magiche le sue
giornate e non le fa percepire la fatica e la povertà degli
adulti.
..
io adoravo entrare in quelle loro vecchie case e scoprire tutte le
stanze, i bugigattoli,, i grani, le logge, sedere nelle sere d’estate
sulle tiepide scale di pietra serena, esplorare le aie coi loro
pagliai di paglia e di fieno…, riposarmi, dopo corse sfrenate,
all’ombra dei gelsi, sostare a osservare gli animali da
cortile… e poi le stalle con le bianche vacche chianine tutte
in fila che ruminavano lentamente e i vitellini che si alzavano
malamente sulle loro ossute zampette e barcollavano per andare a
succhiare il latte della mamma. Un presepe. Un mondo di bellezza e di
serenità che rendeva magiche le mie giornate (pp.11-12)
Quando
a sette anni la frequenza della scuola in paese la metterà a
confronto con la vita delle “paesane” più
benestanti e che vivono in case più agiate, l’autrice
realizzerà la diversità di questa “favola
selvatica”, ma reagirà con fierezza, tenendo nascoste le
sue radici, senza perderne i valori.
Nelle
pagine di Dal fondo si susseguono le descrizioni e i ricordi vividi
di questi primi anni: la mamma e il suo tenero, rassicurante amore,
la mamma, chiamata la “donna con la brocca” che la
conduce con sé ad attingere l’acqua alla sorgente, a
lavare i panni, a falciare il grano nel silenzio campestre rotti da
fruscii di lucertole o canto di cicale.
Quando
dopo pochi anni, verrà costruito, anche alle Cavine,
l’acquedotto comunale e arriverà l’acqua in casa,
sarà per lei e le altre famiglie il primo segno del
miglioramento delle condizioni di vita e anche di quel complesso
cambiamento che trasporterà tutta la società da tempi
quasi immobili all’epoca degli elettrodomestici, delle
automobili, della velocità e dei rumori.
Ma
intanto Franca continua il suo percorso a ritroso nella memoria
attraverso brani come La stufa a legna che segna il passo in avanti
dal focolare, erede del fuoco paleolitico e punto di aggregazione
familiare, ad un primo strumento di cucina più moderno ma
tanto legato ad un modo di cucinare ormai desueto, usando legna,
cenere per cuocere carne e verdure. Ed ancora è descritto il
rito del pane, preparato settimanalmente dalla mamma il pomeriggio
del sabato con il lievito madre custodito nella madia e il profumo
delle pagnotte che uscivano calde dal forno… Per il vicinato
La mamma Adriana era l’infermiera, mentre il babbo Gino la
domenica mattina era il barbiere e anche queste scene, come tutte le
altre, sono narrate con il punto di vista per lo più ‘interno’
di lei bambina che assiste a questi momenti di collaborazione e
chiacchere scherzose o serie come ad uno spettacolo, un piccolo
teatro.
Dall’ambiente
familiare l’occhio del ricordo si amplia a quello sociale
descrivendo i momenti più collettivi, come il corteo del
funerale ad una piccola morta prematuramente, il matrimonio con gli
sposi finti, ovvero di procura, ma con confetti e torte vere, le
visite al cimitero ai due fratellini morti anzitempo, il passaggio
del prete a quaresima, ma soprattutto la mietitura, la trebbiatura,
la vendemmia, l’uccisione e la spezzatura del maiale, i momenti
topici della vita agricola sia estiva che invernale. E non a caso le
pagine che li raccontano sono intervallate da alcune scene del
bellissimo Ciclo dei mesi che si trova nella lunetta della Pieve di
Arezzo.
Non
mancano descrizioni di paesaggi e momenti metereologici: si vedano i
brani La strada, Il temporale, La neve del ’56, Il bosco, La
piena, Il profumo dell’erba o di altri momenti di ritrovo o
svago di quegli anni, che possiamo condividere come La rotella, I
fumetti, La televisione, La lambretta, I giochi di gruppo…L’Autrice
ci accompagna così pagina dopo pagina, storia dopo storia e
tesse un mosaico di tanti aspetti e momenti, consuetudini ed usi
della civiltà contadina che era rimasta immutata quasi per
secoli e che vede modificarsi pian piano non solo i modi di vivere e
di lavorare ma anche i rapporti interpersonali, i costumi, gli stili
di vita (così come anche noi di quella generazione ed oltre
stiamo oggi assistendo alla rivoluzione informatica).
Il
libro si offre quindi non solo come un racconto ben scritto e
coinvolgente dei ricordi di questa ‘favola selvatica’, ma
come un vero e proprio documento storico, sociale, antropologico,
ripercorso sul filo di una disincantata nostalgia, riletto con lucida
analisi, con una matura consapevolezza della trasformazione avvenuta
ed anche accettata del proprio cambiamento di città, di
amicizie, di paesaggi (si veda il brano Il ritorno). Una recherche
che tutti noi, come individui, sentiamo spesso l’esigenza di
fare con l’andare degli anni e che personalmente mi appartiene
anche per aver avuto lo stesso contatto, meno continuo ma diretto,
con la realtà del mondo contadino in Val di Chiana - ed anche
urbano per certi aspetti - di quegli anni stessi 50 e anche ’60,
prima di quella profonda modificazione sociale ed economica che gli
studiosi di storia potrebbero qui descrivere più
dettagliatamente con numeri e dati precisi.
A
noi piace ritrovarla e calarvisi con le cinquanta storie di Franca
Canapini, ringraziandola per averci donato questo mazzo di ricordi
condivisibili e un documento per i più giovani di quel ‘fondo’
da cui essi discendono, semi gettati da quelle generazioni senza
televisione, telefono, cellulare, schermi artificiali. Unica visione
la natura, i campi, gli animali domestici e da lavoro…, un
paesaggio naturale ben antropizzato, in cui hanno vissuto coloni,
mezzadri, ortolani e ricostruirlo e rievocarlo ci è sembrata
proprio una scelta ben fatta.
Patrizia
Fazzi
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