La
strada – Cormac McCarthy – Einaudi –
Pagg. 220 – ISBN 9788806219369
– Euro 12,00
Pianeta
mondo
Nel
romanzo post apocalittico che valse a Cormac McCarthy il premio
Pulitzer nel 2007 è sparito il mondo inteso come l’insieme
delle sovrastrutture mentali che necessitano all’uomo per
decodificare, paradossalmente, le infrastrutture che ha costruito per
gestire al meglio (?) il suo passaggio transitorio in questo
spazio.
Lo
scenario dopo la fine del mondo, parola da intendersi nella sua
accezione più ampia, necessita di un nuovo processo di
adattamento, di nuove abilità, di un codice che permetta
celermente di distinguere nelle ceneri del vecchio pianeta Terra
l’utile necessario alla mera sopravvivenza.
Il
mondo è fatto terra cosparsa di cenere, deposito involontario
delle scorie di una civiltà tanto avanzata quanto marcia:
metropoli saccheggiate e perse nel loro groviglio artificioso di beni
e servizi, ora del tutto inutili; spazi rurali, che un tempo avranno
perfino assolto la funzione purificatrice di ricordare all’uomo
il primitivo spazio al netto dell’antropizzazione eccessiva,
capaci ancora di restituire un residuo di armonia: a volte cibo,
altre volte sapiente uso delle proprie risorse, mai vita
animale.
L’unico
animale è l’uomo, alle prese con un nuovo processo di
ominazione, non ha però questa volta da difendersi da nessun
predatore, se non quelli della sua stessa specie, privi di un’etica
ora più che mai necessaria. L’uomo però è
stato colto impreparato dalla catastrofe: non aveva maturato
un’etica, tantomeno ambientalista, ancor meno aveva sviluppato
una morale condivisa. L’uomo si era perso nella pseudo etica
individualista.
Recita
un proverbio africano: “per far nascere un bambino bastano un
uomo e una donna, per farlo crescere ed educarlo occorre l’intero
villaggio”. Ed ecco che Cormac McCarthy ci riporta a questa
condizione: un padre e un figlio, l’assenza della madre dettata
dall’abbandono del nucleo famigliare per limite di
sopportazione ( dopo il parto in pieno disastro e il primo tentativo
di sopravvivenza cede alla disperazione più nera). Un padre
che ricorda un mondo che non c’è più, che educa
il bambino alla decodifica della complessità del reale che il
piccolo non potrà più esperire ma che gli è
utile per comprendere il prodotto di quelle convenzioni: suo padre
prima, tutti gli esseri umani poi. La decisione di mettersi in
viaggio verso sud per trovare gli altri all’insegna di una
visione prettamente pragmatica e nettamente manichea, il resoconto
del viaggio, le tappe randomizzate, gli incontri fortuiti, le
battaglie, la fine del viaggio stesso.
Un
susseguirsi di episodi la cui struttura fissa e ripetitiva potrebbe
essere, nello stile sapientemente secco, minimalista, affidato a
continui dialoghi, una piccola pecca nell’economia generale del
breve romanzo che riesce però a farsi perdonare con un finale
catartico che spazza via la dimensione individuale e apre uno
spiraglio alla collettività intesa come accoglienza, speranza,
fratellanza e soprattutto interdipendenza.
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