Diario
1941 – 1943 – Etty Hillesum – Adelphi
– Pagg. 260 – ISBN 9788845912061
– Euro 12,00
La
bellezza della vita
La
vita di una giovane donna di Amsterdam consegnata a otto quaderni
trapuntati da una scrittura minuta al limite della decifrabilità,
una vicenda biografica - nel pieno della furia antisemita- che ha
corso il rischio di non essere conosciuta e che, ancora oggi, è
meno nota della più citata esperienza della giovane Anne
Frank. L’interessamento di J.G. Gaarlandt, giornalista, poeta,
traduttore, editore e scrittore olandese, ha permesso la divulgazione
prima e la conoscenza poi di questo straordinario documento che agli
inizi degli anni ’80 ha iniziato a circolare in Olanda per
arrivare a essere pubblicato progressivamente in Europa e nel resto
del mondo.
Oggi
è un classico della letteratura mondiale e lo è su più
versanti: non può essere relegato a mero documento storico,
possiede infatti la portata di un’opera capace di superare la
“distinzione di antichità, di stile, d’autorità”
a dirla come Calvino ( cfr. “Perché leggere i
classici”), ed è inoltre latore di quel linguaggio
universale capace di parlare agli uomini in ogni tempo e in ogni
luogo. Possiede poi il valore aggiunto di farci sentire la brillante
voce di una giovane donna colta - nata in una famiglia appartenente
alla borghesia intellettuale ebraica - intraprendente e moderna, una
donna pienamente consapevole di se stessa, alla continua ricerca
della sua dimensione individuale all’interno di un sistema di
relazioni sconvolto dall’eccezionalità del momento
storico che sta vivendo. Intrattiene una pseudo relazione con un uomo
maturo, ne è invaghita soprattutto sotto l’aspetto
intellettuale, si tratta di Julius Spier, noto chirologo, psicologo e
psicoterapeuta tedesco emigrato ad Amsterdam, e scrive il diario
inizialmente su sua indicazione. Se inizialmente si presenta come “un
povero diavolo impaurito”, una ”prigioniera di un
gomitolo aggrovigliato” di fronte ai problemi della vita, tutta
presa dalla sua dimensione individuale, progressivamente gli
accadimenti esterni, indicativo il suicidio di un professore con il
quale aveva parlato la sera prima, la spingono a cercare un
compromesso, un equilibrio, una pacifica convivenza, potremmo
chiamarla, tra la dimensione interiore e quella esteriore, al fine di
“vivere pienamente”. E questa sarà la sua
missione: accogliere la vita nella sua interezza senza essere
schiacciati dalla affannosa ricerca di un senso, soprattutto quando
gli arresti, il terrore, i campi di concentramento, sono tutti
pensati per condurre allo smarrimento. In questo ricorda molto il
tentativo operato da Levi di mantenersi sempre un essere umano
facendo prevalere la pars costruens, sostenuta dalla conoscenza
intesa come patrimonio culturale dell’individuo, sulla pars
destruens, quella che invece potrebbe nutrirsi del contesto
ambientale e storico che si sta subendo. Ecco, in Etty Hillesum, non
c’è traccia di una posizione subordinata dell’individuo
rispetto agli eventi: la sua eccezionalità è tutta qui.
Vive la sua esistenza particolare perfettamente consapevole, ma non
rinuncia a quello che tutti noi dovremmo fare: coltivare un’autentica
autonomia interiore, conoscerci per guidarci perché in fondo
gli altri sono deboli, insicuri e indifesi quanto noi. Senza con
questo concentrarsi solamente su se stessi, anzi coltivando un
profondo e sincero altruismo che permetta di raccordarci alla
dimensione esterna al nostro Io.
Insomma,
chi si attende la cronaca di un genocidio si troverà invece a
contatto con un libro di straordinaria ricchezza spirituale, un testo
da tenere sempre a portata di mano quando le difficoltà della
vita paiono sopraffarci. Imprescindibile.
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