Baci
a occhi aperti. La Sicilia nei
racconti di una vita – Matteo Collura – TEA –
Pagg. 480 – ISBN 9788850258376
– Euro 16,00
Ho
finito oggi di leggere “Baci a occhi aperti”,
sottotitolo “La Sicilia nei racconti di una vita”, di
Matteo Collura, edizioni TEA, pagine 478, € 16, dato alle stampe
qualche settimana fa.
Per
usare una metafora, questa, che mi sembra una delle più belle
avventure che un uomo abbia mai potuto concepire nel corso, appunto,
di una vita, è secondo me una sorta di ebollizione di storie,
spesso misteriose e problematiche, di immagini, sogni; uno
scandagliare profondo nella Sicilia e nell’animo dei Siciliani;
un inoltrarsi in un mare di rimandi, di sorprese, di stimoli nuovi
che si intrecciano a stimoli antichi; un attraversare un “mare”
non tranquillo, ma procelloso, i cui spruzzi ti schiaffeggiano
continuamente il viso e ti rendono inquieto, quasi sofferente a causa
del rimpianto che la vita passa e non hai potuto approfondire cose
che inconsciamente ti stanno molto a cuore, ma che superficialmente
hai messo da parte. Ecco, ciò che avresti voluto scoprire e
capire ti sta ora dinanzi e ti assale il rammarico di non averlo
saputo afferrare prima, come se la validità della tua vita
dipendesse da questa disattenzione.
Il
libro è composto da tanti scritti pubblicati nel corso di
molti anni, a partire da “In Sicilia”, a cui ne sono
stati aggiunti altri più recenti e inediti. Io, in questo
breve commento che spontaneamente mi viene di tracciare, voglio
partire dalle ultime pagine per andare via via a ritroso. Per quale
motivo? Perché mi sembra di avere scoperto in embrione
l’origine dell’ ispirazione che ha portato Collura a
divenire un narratore magistrale e un cantore unico della Sicilia.
Per
inciso, non posso non pensare a una scoperta curiosa e incredibile
che anche egli ha fatto osservando attentamente il “Ritratto
d’ignoto” di Antonello da Messina, citato come “Il
segreto di Antonello”, che mette in luce un aspetto singolare
della personalità del pittore e dell’epoca in cui visse,
di cui certamente io mi astengo dal parlare perché rovinerei
la sorpresa in chi s’appresta a leggere.
Qual
è quindi la mia scoperta? Scorrendo i capitoli compresi in
“Topografia dell’anima”, mi è balzato subito
alla mente Hermann Hesse, scrittore che ho sempre amato; in
particolare però sono i suoi romanzi giovanili, dove si
riscontra un’ingenuità disarmante, una freschezza
straordinaria di immagini, una poesia commovente, che mi riportano al
Collura della giovinezza. Da questa semplicità, da questa
forza un po’ romantica e affascinante, egli è partito
inconsciamente per acquisire, col trascorrere degli anni, una
scrittura mirabile e colta da cui traspare però, ancora,
l’ispirazione semplice degli anni verdi.
Basta
leggere “Cefalù”, alcune tra le più belle
pagine, emozionanti, in cui mi sia mai imbattuto, per appurare la
validità di quanto asserisco; e basta leggere “Naro”,
e “Capo Calavà”, e, ancora, “Caltabellotta”.
Quanta felicità nel narrare e nel rivivere tali esperienze
preziose, che sono impresse per sempre nella sua memoria e in quella
di chi comprende.
Sempre
a ritroso e sinteticamente, per sceverare la complessità
delle vicende dalle quali questa nostra terra è travagliata da
secoli, egli ricorre all’ausilio di tanti personaggi illustri
che la sua storia hanno fatto, primi fra tutti Luigi Pirandello, col
suo dramma personale che tanto ha condizionato la sua opera e
illuminato in un modo particolare il dramma dell’umanità;
quindi Tomasi di Lampedusa, il quale nel “Gattopardo”
traccia in modo geniale e nuovo il carattere dei Siciliani e la
storia dell’Isola; e Leonardo Sciascia, la cui lucidità
analitica ha lasciato una traccia di sé indelebile e sempre
attuale.
Non
potevano mancare due grandi scrittori stranieri, Guy De Maupassant ,
che a Hesse mi sembra vicino, con passi tratti da “La vita
errante”, che narrano fatti straordinari da lui vissuti in
Sicilia, e David Herbert Lawrence, il quale in Sicilia visse a lungo
e scrisse un’opera bellissima, autobiografica, “Sotto il
sole d’Italia”, proprio a Taormina.
Ma
quante storie avvincenti vi si riscontrano! La “fuitina”
di Elio Vittorini, la festa parigina che fu fatale a Vincenzo
Bellini, la misteriosa morte in mare di Ippolito Nievo, i monaci
“mafiosi” di Mazzarino, il mito bugiardo di Salvatore
Giuliano, la Real Casa dei Matti del barone Pisani, i mostri
apotropaici del principe d Palagonia, e tante altre. Traspare da
questi racconti un bisogno quasi impellente di dipanare i misteri da
cui alcuni sono ancora avvolti e pervenire finalmente alla verità.
Mi pare quasi che l’Autore insista a scavare in una miniera
dove metalli preziosi (la verità) affiorino lasciandoci
sorpresi, senza parole.
Finisco
questo mio scritto con “In Sicilia”, pubblicato
integralmente.
Io
definirei questo libro “Un’ansia smaniosa di vivere in
cui si insinua la morte, sempre in agguato”. Scrive Collura: “…
Ma siamo noi siciliani a corteggiare la morte o è la morte a
corteggiare noi siciliani?”.
E
la morte traspare fin dall’inizio quando l’Autore fa un
sopralluogo, aggirandosi nella campagna pietrosa e solitaria di
Portella della Ginestra, dove alla fine degli anni ’40 si
consumò la tragedia, accompagnato dai versi sconsolati del
poeta Ignazio Buttitta, col ricordo vivido delle foto del bandito
Giuliano cadavere, “miserevole immagine e nient’altro”.
Come
in un’altra sequenza cinematografica, si svolge l’assassinio
del magistrato ragazzo, Rosario Livatino, lungo la strada solitaria
che da Canicattì porta ad Agrigento. Il giovane si diede alla
fuga, ma, raggiuntolo, i killer gli spararono in faccia. Quanta
pietà nella descrizione dello spietato delitto.
E
ancora, il suicidio di Giuseppe Sciascia, fratello minore dello
scrittore, che avviene in uno “sfondo desolato e orribile”
, in cui tante altre tragedie si sono consumate, come se il
paesaggio, il luogo del dramma non dia scampo.
E,
a proposito di paesaggio, scrive Collura: “Non c’è
dubbio che il vero protagonista del romanzo di Giuseppe Tommasi di
Lampedusa sia il paesaggio, la sua irredimibilità”.
Questo paesaggio, a detta di Lampedusa, ha formato l’animo dei
siciliani e l’ha condizionato.
Un’altra
realtà “irredimibile” è Cassibile, dove fu
firmato l’armistizio e dove non c’è quasi traccia
di un evento così importante: né una lapide né
alcuna indicazione. E qui c’è un rimando a Luigi
Pirandello, al luogo dove egli è sepolto.
Ma
è incongruo spiegare questo libro, e lo sarebbe forse su di
esso anche il saggio più approfondito. Bisogna leggere,
leggere, e cercare nelle sue più piccole sfumature per avere
una visione vera della sua essenza. Un saggio difficilmente può
arrivare a tanto.
Così,
nella mia limitatezza, ho concepito questa opera: libro di una
bellezza sconcertante, un’autobiografia inquietante ed
esaltante, un’autobiografia della coscienza di un uomo che ha
assorbito tutti gli umori della terra in cui è nato.
Scrive
Collura nella sua nota iniziale, riferendosi al titolo “Baci a
occhi aperti”: “ i tanti baci che ho dato alla Sicilia
sempre costringendomi a non chiudere gli occhi, assaporandone il
piacere. In ogni parte di questo libro appare evidente lo sforzo di
descrivere la Sicilia per quello che è, tenendo a freno
l’orgoglio d’esservi nato che si ha – specie se
siciliani- per la terra d’origine. Provo a dirlo: è come
se nel baciarla, la Sicilia, mi fossi sforzato di tenere gli occhi
aperti, continuando, pur nella voluttà, a notarne i guasti e
difetti”.
Mi
piace concludere così: “Baci a occhi aperti”: una
nave a vele spiegate, sospinta dal vento impetuoso di un amore
caparbio, ma insieme dolce e confortante.
Aurelio
Caliri
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