La
memoria dei nonni
di
AA.VV.
a
cura di Marinella Fiume
Algra
Editore
https://www.algraeditore.it/narrativa/la-memoria-dei-nonni-racconti/
Narrativa
racconti
Pagg.
196
Prezzo
Euro 15,00
Prefazione
Secondo
l’Istituto Superiore di Sanità le persone più
fragili, più vulnerabili e meno resistenti all’attacco
del Covid 19, sono nella fascia da ottanta a oltre novant’anni
d’età. Ed è infatti soprattutto questa la
generazione che la pandemia ci ha rubato in un breve lasso di tempo.
I nostri nonni.
A
loro è stato dedicato il commosso pensiero che circola virale
in questo periodo sui social e che ci piace riportare:
«Se
ne vanno. Mesti, silenziosi, come magari è stata umile e
silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, di sacrifici. Se ne va una
generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore
e le privazioni, tra la fuga in un rifugio antiaereo e la bramosa
ricerca di qualcosa per sfamarsi. Se ne vanno mani indurite dai
calli, visi segnati da rughe profonde, memorie di giornate passate
sotto il sole cocente o il freddo pungente. Mani che hanno spostato
macerie, impastato cemento, piegato ferro, in canottiera e cappello
di carta di giornale. Se ne vanno quelli della Lambretta, della Fiat
500 o 600, dei primi frigoriferi, della televisione in bianco e nero.
Ci lasciano, avvolti in un lenzuolo, come Cristo nel sudario, quelli
del boom economico che con il sudore hanno ricostruito questa nostra
nazione, regalandoci quel benessere di cui abbiamo impunemente
approfittato. Se ne va l’esperienza, la comprensione, la
pazienza, la resilienza, il rispetto, pregi oramai dimenticati. Se ne
vanno senza una carezza, senza che nessuno gli stringesse la mano,
senza neanche un ultimo bacio. Se ne vanno i nonni, memoria storica
del nostro Paese, patrimonio della intera umanità. L’Italia
intera deve dirvi GRAZIE e accompagnarvi in quest’ultimo
viaggio con 60 milioni di carezze…»
Una
strage! E così ci siamo ritrovati improvvisamente orfani di
un’intera generazione di uomini e donne che se ne è
andata via in silenzio, come hanno vissuto la loro vita fatta di
lavoro, di sacrifici, di privazioni, e in solitudine, nelle proprie
case o negli ospedali o nelle case di riposo, per la paura del
contagio e la rottura forzata dei rapporti personali.
“Una
prima linea che muore”, è stato scritto, “intere
comunità impoverite dalla sua scomparsa”. Dice bene il
presidente della Repubblica, “impoverite”, perché,
al di là della dimensione familiare, è la memoria
storica delle comunità che scompare, un enorme patrimonio di
memoria.
Una
generazione che ha ricostruito il Paese, che ci ha dato un benessere
generalizzato e ha continuato generosamente a sostenerci anche quando
la crisi e la disoccupazione quel benessere non lo garantiva più
a molti. Quei vecchi noiosi, antiquati, demodé guardati come
improduttivi dal resto della società, dalla cosiddetta
“popolazione attiva”, distratta dalle ragioni dell’essere
e attratta da quelle dell’avere, dal mito del giovanilismo a
tutti i costi, dall’ effimero, dal lusso, dal successo,
convinta che il valore di un uomo risieda esclusivamente nella sua
sempre valida capacità lavorativa, nelle sue aspettative di
vita, e ignara dell’eredità di esperienza, pazienza e
memoria che gli anziani rappresentano e che dovrebbero essere in
qualche modo riferimento per le giovani generazioni.
Una
generazione che non aborriva la vecchiaia, che sapeva piangere i suoi
morti, ritualizzare e socializzare il trapasso, accettare e
rielaborare il lutto, perché sapeva invecchiare e morire.
E con
la loro dipartita se ne va anche un enorme patrimonio di esperienza.
Ed
invece esperienza e memoria sono un’ eredità che
non possiamo e non dobbiamo disperdere neanche nella nostra società
globalizzata che si avvia a diventare sempre più vecchia.
Con
loro scompaiono non solo volti cari, ma anche vecchi mestieri e
abilità legate alla capacità di sopravvivenza prima
delle conquiste tecnologiche, nel rispetto degli equilibri naturali,
come accendere un fuoco, fare il pane a casa, tessere, filare,
confezionare un vestito, fare la calza, lavorare ai ferri e
all’uncinetto, preparare il sapone, lavorare le pelli e
riparare le scarpe, riconoscere le erbe selvatiche commestibili e
quelle curative, preparare marmellate e sciroppi, conservare e
trasformare gli alimenti, allevare animali nell’aia, costruire
muretti a secco, andare a cavallo o a dorso d’asino e di mulo,
piantare l’orto, fare i conti senza la calcolatrice… Ma
soprattutto riparare, rivoltare, riusare, riciclare. E tante altre
cose ancora, tutte cose che non ho mai imparato a fare e che ora la
pandemia costringe spesso a ripescare magari consultando il web!
Con
loro scompare anche una capacità di affabulazione che gettava
ponti comunicativi tra le generazioni quando i nostri figli che
lasciavamo a loro - ai nonni, eterni baby sitter - non solo per
necessità ma anche per nostra comodità, per una vacanza
senza impicci, erano stanchi dei cartoni animati e dei giochi
elettronici.
Nonni
illustri o colti che facevano fare loro i compiti e regalavano libri,
nonni semplici ma non meno preziosi che portavano al cinema o ai
giardini pubblici. Spalle su cui piangere, confidenti che mai ti
avrebbero tradito, complici e segrete riserve aurifere (loro così
parsimoniosi) per i nipoti adolescenti e più grandicelli.
Nonni
che erano ponti tra le famiglie sempre più disperse e
sparpagliate che grazie a loro si incontravano almeno per le feste;
nonne sempre in cucina attorno a piatti che nessuno chef può
emulare e i cui sapori non troveremo più.
Nonni
che erano ponti tra il vicinato, le comunità, che conoscevano
sempre il grado di parentela e la relazione che legava ogni anello
all’altro.
Nonni
che conoscevano un secolo di storia contemporanea perché
l’avevano vissuta sulla propria pelle dalla parte dei vinti o
dei vincitori di ogni guerra.
Nonni
che capivano da una sola occhiata e sapevano consolare…
“La
vecchiaia è un dono – ha detto di recente papa Francesco
- e i nonni sono l’anello di congiunzione tra le diverse
generazioni per trasmettere ai giovani l’esperienza di vita e
di fede. I nonni tante volte sono dimenticati e non dimentichiamo
questa ricchezza di custodire le radici e trasmettere. Per questo ho
deciso di istituire la giornata mondiale dei nonni e degli anziani
che si terrà in tutta la Chiesa ogni anno la quarta domenica
di luglio in prossimità della ricorrenza dei santi Gioacchino
e Anna, nonni di Gesù. È importante che i nonni
incontrino i nipoti e i nipoti si incontrino coi nonni perché,
come dice il profeta Gioele, i nonni davanti ai nipoti sogneranno e i
giovani, prendendo forza dai nonni, andranno avanti,
profetizzeranno”.
Perciò
questo libro, un piccolo, commosso omaggio a più voci ai
nonni, siciliani ma non solo, un tentativo di recupero di storie di
vita, ricordi, testimonianze, frammenti di memoria che un tempo non
ci interessarono o ascoltammo distrattamente e ora ci mancano e non
vogliamo perdere se non vogliamo recidere fili e radici da cui
ricominciare.
Una
sorta di “Spoon River”, un modo di tornare a
socializzare la morte - o forse di fermarla ancora sulla soglia -, di
mostrare riconoscenza, risarcire e rendere giustizia… postuma,
una richiesta di perdono. Perché, fino a quando ci sarà
qualcuno a dare loro una voce, non moriranno mai.
Dai
racconti e dalle testimonianze dei nipoti e dei pronipoti, pur nella
grande varietà di voci, personaggi, ambienti, un elemento
comune viene fuori: l’orgoglio di esserne gli eredi e i
discendenti.
Che
nonni, i nostri nonni!
Marinella
Fiume
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