Liriche
cinesi (1753 a.C. - 1278 d.C.) - Autori Diversi, a cura
di Giorgia Valensin con prefazione di Eugenio Montale – Einaudi
– Pagg. 247 – ISBN 2560888261903
– Euro 20,00
E’
questo un libro a me caro. Mi è caro per ciò che
contiene, e in ugual misura perché sulle sue pagine, diversi
decenni fa, trascorsi un po’ di tempo come studentessa
universitaria.
Avevo infatti un docente di filosofia
appassionato di poesia e pittura cinese, fu lui a farmi conoscere un
pezzetto di quella cultura molto lontana dalla nostra ma
straordinariamente attraente.
Ed è così che in
questi giorni mi sono ritrovata a rileggere quel libro con la stessa
curiosità e interesse che provai allora.
Le
liriche racchiuse in questa raccolta sono indubbiamente piuttosto
diverse da ciò che noi oggi chiamiamo testo poetico o poesia,
non sono tuttavia meno belle.
Giorgia
Valensin,
bravissima curatrice e traduttrice dell’opera, ha preso in
esame un arco di tempo che comprende più di duemila anni. Si
parte infatti dal 1753 a.C. e si arriva fino al 1278 d. C.
Si è
trattato di secoli difficilissimi che hanno conosciuto guerre,
carestie, e flagelli di ogni genere, eppure, a dispetto delle
difficoltà, in tantissimi si dedicarono a quell’arte
meravigliosa che è la poesia. Erano ministri, generali,
imperatori, ma anche funzionari che furono costretti all’esilio,
e persino mogli ripudiate. Questo potè accadere perché
spesso era quello il loro modo di fare corrispondenza, e quindi, di
comunicare.
Il
lavoro incomincia con la sezione dedicata al Libro
delle Odi.
Si tratta del periodo che va dal 1753 a. C. al 600 a. C. ed è
l’inizio della poesia cinese.
Il Libro comprende 305
canzoni popolari che, si dice, siano state scelte da Confucio e
da lui utilizzate per diffondere i suoi insegnamenti.
Riporto la
prima strofa della Preghiera
a Tchong.
“Io
prego Tchong
Che non s’accosti troppo alla mia casa,
E
che non rompa i rami ai nostri salici:
Non per amore dei rami
dei salici
Ma sì perché ho paura dei
parenti.
Tchong è adorabile,
Ma il cruccio dei
parenti è ben temibile!”
Subito
dopo la Valensin propone Chu
Yuan,
che visse dal 332 al 295 a. C. Viene considerato il primo dei grandi
poeti cinesi.
Estrapolo la terza strofa dalla sua lirica Il
Grande Appello,
dedicata all’Imperatore affinché gli permetta di
ritornare dall’esilio e, nello stesso tempo, non dia retta alle
calunnie dei suoi cortigiani. Chu Yuan si serve più volte
delle allegorie, per cui l’Imperatore nel testo diventa la
donna amata alla quale si rivolge. L’imperatore però non
ascolta il suo appello e lui si toglie la vita.
“Anima,
non andare a Mezzogiorno,
Dove per mille miglia
La terra
s’è abbruciata;
Dove serpenti velenosi
guizzano
Attraverso le fiamme;
Per sentieri scoscesi
O
nei boschi profondi
strisciano cauti tigri e leopardi;
E
scorpioni insidiano,
E il Re Pitone alza la testa enorme
–
Anima, non andare a Mezzogiorno
Dove la Tartaruga
dai tre piedi
Sputa veleno!
Ed
eccoci arrivati alla Dinastia
dei Han,
che iniziò nel 206 a. C. e si concluse nel 220 d. C.
Il
suo fondatore fu Kao
Tzu (247
– 195 a. C.). Dopo aver conquistato l’Impero, ritornò
al suo paese dove organizzò una grandissima festa, e fu in
questa occasione che scrisse il Canto
del Grande Vento,
che riporto.
Il
grande vento si leva
E le nuvole salpano –
Ho esteso
la mia potenza
Per l’universo intero
e torno alla
terra natale.
E ora, come trovare
Gli eroi che dovranno
vegliare
su tutte le mie frontiere?
Sessant’anni
dopo diventò imperatore Wu
Ti,
poeta lui stesso e protettore dei poeti. Su
Wu e Li
Ling furono
generali al suo servizio e scrissero anch’essi in
versi.
Tuttavia fu Ssuma
Siang-yu il
poeta più famoso di questo periodo. I suoi scritti,
chiamati fu,
sono dei poemi descrittivi molto lunghi, per questo motivo la
Valensin non ha ritenuto opportuno riportarli.
Le poesie dei
poeti di questa importante dinastia furono dei modelli per tutte le
epoche che vennero in seguito, sia per quanto riguarda la forma che
per i contenuti Tra i testi più imitati ci sono i “19
Vecchi poemetti”
di cui purtroppo non si conosce il nome dell’autore, ma che
forse visse nel primo secolo dopo Cristo.
Con
la fine della dinastia dei Han l’Impero si spezzò. Ebbe
inizio così la cosiddetta Età
di transizione,
che va dal 220 al 618 d.C. Vi furono molte altre dinastie, ma
durarono per poco tempo.
Tra queste, quella dei Wei, il
cui fondatore fu Tsao
Tsao (220-265
d.C.), e poi suo figlio Tsao
Chih,
entrambi poeti.
La Valensin ricorda anche la dinastia dei Tzin,
durante la quale si diffuse la dottrina del Tao. Seguendo
questa dottrina molti poeti andarono a vivere tra i monti conducendo
una vita da eremiti. T’ao
Ch’jen viene
considerato il più bravo tra i poeti di quel tempo.
Purtroppo
questo è anche il periodo in cui aumentarono i contrasti tra
la Cina del nord e quella del sud. Ed è proprio nella parte
meridionale del Paese che visse il poeta Pao
Chao,
particolarmente apprezzato per la sua originalità.
Vengono
citate anche le dinastie dei Liang e
dei Sui,
i cui Imperatori, Wu-ti e Yang-ti,
furono considerati anch’essi dei buoni poeti.
Finalmente,
sotto quest’ultima dinastia, la Cina fu riunificata.
Di
seguito, due liriche. La prima appartiene a T’ao
Ch’ien (372-427
d.C.), e si intitola Do
la colpa ai miei figli.
Ciocche
bianche mi coprono le tempie;
Son rugoso e appassito senza
scampo.
Ho cinque figli, è vero;
Ma tutti odian la
carta ed il pennello.
Ha diciott’anni A-shu;
Per la
pigrizia è proprio impareggiabile.
A-suan fa quel che
può:
Ma in verità detesta le Arti Belle.
Jun-tuan
ha tredici anni,
Ma non distingue ancora sei da sette.
Nel
nono anno Tung Tzu
non pensa che alle noci ed alle pere.
Se
il ciel così mi tratta,
Che posso far se non empir la
coppa?
La
seconda lirica, invece, è stata scritta da Pao
Chao (413-466
d.C.), e si intitola Il
letterato chiamato alle armi.
Or
tardi,
Mi accodo alla necessità dei tempi;
Dall’alto
d’una barricata soggiogo remote tribù.
Lascio la
sciarpa, indosso una veste di rinoceronte;
La gonna arrotolata,
un arco nero a tracolla.
Prima di cominciare mi sento mancare le
forze;
Che sarà mai di me, innanzi che tutto finisca?
Si
arriva a questo punto alla Dinastia
dei T’ang,
che va dal 618 al 905 d. C.
Epoca che viene denominata l‘Età
dell’oro della
Cina, sia in riferimento alla poesia che alla pittura. Non a caso,
molti dei poeti di questo periodo furono anche pittori ed eccellenti
nella calligrafia, considerata quasi una terza arte.
Le loro
poesie ebbero spesso una funzione politica, furono invece poche le
poesie d’amore, all’interno delle quali si trovano
numerose allegorie. Moltissime liriche sono invece dedicate
all’amicizia.
Li
Po (701-
672 d.C.) è ritenuto spesso il pù grande tra i poeti
cinesi, sicuramente è il più noto e quello più
tradotto in Europa. Visse in un periodo difficilissimo, nel corso di
una guerra in cui morirono trenta milioni di uomini. Eppure,
nonostante ciò, riuscì a tenerla lontana dai suoi
versi. Al contrario del suo amico poeta Tu
Fu (712-770
d. C.), che nei suoi scritti racconta soprattutto l’orrore
delle guerre e le ingiustizie.
Ecco
di Li
Po la
lirica Schiarita
all’alba
I
prati son freddi, la pioggia rada è cessata;
I colori del
Maggio da ogni parte si affollano.
Di pesci che saltano la vasca
azzurra è piena;
Sotto a tordi che cantano verdi rami si
piegano.
I fiori dei campi si lavano le guance
incipriate;
L’erbe dei monti s’inchinano tutte
insieme.
Sul Fiume dei Bambù l’ultimo lembo di
nuvola
Stracciato dal vento lentamente si sperde.
Di Tu
Fu propongo
invece l’ultima parte della lirica Il
canto dei carri di guerra
“Oh,
invero, avere dei figli è una sventura!
Si è più
contenti se nascono delle figlie:
Almeno, cresciute, si sposano
ad un vicino.
Ma i corpi dei figli si sfanno coll’erba,
nei campi…
Non vedete dunque, tutto attorno a
Ts’in-hai
Gli scheletri bianchi che giacciono
abbandonati
Fino dai tempi remoti?
I mani dei morti
recenti
Ci dicono i loro rimpianti;
I mani dei morti
antichi piangono invano
Nei tempi piovosi e bui, con gridi
d’uccello –
Tzi-u – tzi-u
*I mani erano
le anime dei defunti, ma talvolta anche delle divinità.
Uno
spazio speciale merita il poeta Po
Chu-i (772-
846 d. C.).
Ebbe una vita travagliata, e per due volte fu
mandato in esilio. La prima volta in seguito alla pubblicazione di un
memoriale in cui manifestava la sua avversione alla guerra, e
criticava l’ingordigia dei funzionari. Fu mandato molto
lontano, dove ebbe comunque un ruolo importante: quello di
governatore. La seconda volta, per aver criticato direttamente il
cattivo governo dell’Imperatore. Questa volta gli fu affidata,
sempre da governatore, un’importante provincia dell’Impero.
La
principale caratteristica della poesia di Po Chu-i fu la semplicità.
Per quanto riguarda invece le sue idee sull’arte, erano molto
simili a quelle di Confucio. Come lui infatti riteneva giusto
criticare i comportamenti dei governanti, e avere il ruolo di guida
morale nei confronti del popolo.
Fu un poeta popolarissimo tra i
suoi contemporanei, più tardi però la semplicità
delle sue poesie in Cina non fu più apprezzata. La sua fama si
diffuse invece in Giappone già durante la sua vita, a tal
punto da essere in seguito venerato quasi come una divinità.
Ecco
un suo testo. Si intitola Il
mio servo mi sveglia
Il
mio servo mi sveglia:”Signore, il giorno è già
alto;
Sorgete dal letto; vi porto il catino ed il
pettine.
L’inverno s’avanza, l’aria al mattino
è gelata:
Vostra eccellenza oggi non deve sortire”.
Ma
se resto a casa nessuno mi viene a trovare;
Che mai farò
nelle lunghe ore oziose?
Collocata la sedia in un debole raggio
di sole,
Ho scaldato il vino e aperto il mio libro di versi.
Il
libro si chiude con la Dinastia
dei Sung (960-
1278 d.C.)
Sotto
questa dinastia si diffuse in modo particolare il tzu, che
è un piccolo poema musicale.
Tra i poeti più
significativi vanno ricordati Sou
Che (1036-
1101 d. C), e Lu
Yu (1125-1210
d. C.).
Riporto
il testo Per
la nascita del suo bambino,
di Sou
Che
Ogni
famiglia, quando nasce un bimbo
Lo vuole intelligente;
Io
coll’intelligenza
Ho rovinato tutta la mia vita;
Spero
solo che il bimbo si dimostri
Stupido ed ignorante;
Coronerà
così una vita placida
Diventando Ministro
E
infine, una lirica di Lu
Yu intitolata Veleggiando
in autunno
Via,
via – veleggio nella mia barca leggera,
Salta il mio cuore
con grandi salti di gioia.
Tra i rami spogli scorgo il tempio
nel bosco;
Sul rivo sottile torreggia il ponte di pietra.
Giù
per i viottoli passano pecore e bovi,
Nel villaggio nebbioso
gridano corvi e gazze.
Di
ritorno a casa bevo una coppa di vino
Né temo il vento
vorace che s’alza di sera.
Per
concludere, voglio infine riportare un passo della bella prefazione
di Eugenio
Montale in
cui il nostro grande poeta dice:
…”queste
poesie di circa due millenni ci lasciano un sentimento in cui
l’ammirazione confina col capogiro, col mal di mare.
Limpidissime come sono, esse sfuggono a quel metro nuovo che l’età
cristiana ha regalato al mondo occidentale, e forse non solo a
questo. Non è solo che manchi in esse quell’umanizzarsi
del tempo e della natura e quella divinizzazione della donna che son
proprie della lirica europea; è piuttosto che qui, come nel
miracolo della scultura egiziana e, in minor grado, in quello
dell’arte greca, l’uomo e l’arte tendevano alla
natura, erano natura; mentre da noi, e da molti secoli, natura ed
arte tendono all’uomo, si fanno uomo.”
Piera
Maria Chessa
https://pieramariachessa.wordpress.com/
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