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  Letteratura  »  Il colibrì, di Sandro Veronesi, edito da La nave di Teseo e recensito da Katia Ciarrocchi 14/03/2021
 
Il colibrì – Sandro Veronesi – La nave di Teseo – Pagg. 368 – ISBN 9788834600474 – Euro 20,00


Ci sono libri che sanno di vita, che riportano alla mente quell’amore puro e etereo che solo nei racconti dei nonni abbiamo vissuto, ci sono libri che ti provocano un brivido lungo tutta la lettura e Il colibrì di Sandro Veronesi, a mio avviso, è uno di questi
Marco Carrera racconta la sua vita e tutte le traversie che l’hanno accompagnata, un viaggio molto vicino al vissuto di molti con tutte le sue difficoltà. Carrera dà la sensazione di essere immobile, fermo in balia degli eventi che la vita gli mette dinanzi, subendoli senza ribellarsi a essi.
Veronesi narra di una borghesia media e per quanto sia criticabile, perché sembra quasi impossibile che a una sola persona possa capitare tutto quello che è successo a Carrera, io mi ci riconosco, purtroppo. Sicuramente è dovuto al fatto che la “sfiga” condivide imperterrita il mio quotidiano, e mi sento un po’ come il protagonista che cerca in ogni modo di tirare avanti… nonostante tutto.
Veronesi ha la capacità di parlare di vita e del suo incedere caotico, parla di dignità nell’affrontare con calma gli eventi, parla d’amore e di tutte le sue difficoltà, parla della complessità nei rapporti interpersonali e di quanto, avvolte, sia difficile la gestione di essi.
Il colibrì è un libro che fa riflettere, un libro che anche dopo mesi di lettura ti rimane dentro.


Citazioni tratte da: Il colibrì di Sandro Veronesi

Non posso continuare.
Continuerò.
SAMUEL BECKETT

Luisa, Luisa mia,

anzi, non mia, purtroppo, Luisa e basta (Luisa Luisa Luisa Luisa Luisa Luisa Luisa Luisa, il tuo nome mi martella e io non so cosa fare per fermarlo): sono scappato, dici. È vero, ma dopo quello che è successo, e il senso di colpa che mi ha assalito, per quei lunghi incredibili giorni non sono stato più nessuno, né me stesso né un altro. Ero come in trance, pensavo fosse successo tutto per colpa mia, perché ero con te mentre succedeva, perché ero felice con te. Lo penso ancora.
Ora tutti dicono che è stata la volontà di Dio, o che era destino e tutte queste stronzate qui, e io ho litigato a morte con Giacomo e ho dato la colpa a lui e non ho nemmeno voglia di guardare in faccia i miei genitori. Sapere dove stanno mi serve solo per starmene da un’altra parte. Se sono scappato, Luisa mia, anzi non mia, purtroppo, Luisa e basta (Luisa Luisa Luisa Luisa Luisa, il tuo nome mi martella e io non ho nessuna voglia di fermarlo), l’ho fatto nella direzione sbagliata, come quei fagiani durante gli incendi di bosco che ho visto quando ero pompiere, alzarsi in volo terrorizzati dal fuoco e volare all’impazzata verso il fuoco, avvicinarvisi anziché allontanarsene, avvicinarvisi troppo, fino a cascarci dentro. Non mi sono accorto di essere scappato, ecco: c’erano tante cose da fare, tutte terrificanti, e c’era questa pagliacciata dei Montecchi e Capuleti che rendeva impossibile traversare la siepe (ma ero sconvolto, Luisa, era possibile eccome, Luisa, non lo nego, Luisa Luisa Luisa Luisa) e io non l’ho attraversata, e non ti ho nemmeno salutata.
Ora sono qui, solo, nel senso di solo davvero, sono andati via tutti, hanno detto che non torneranno mai più, che venderanno la casa, che non metteranno mai più piede su una spiaggia, che non si prenderanno mai più una vacanza; e siete andati via anche voi, e io attraverso e riattraverso la siepe, ora, e nessuno mi vede, e vado sulla spiaggia, vado ai Mulinelli, vado dietro le dune, e non c’è nessuno, e dovrei studiare ma non ci provo nemmeno, e penso a te, penso a Irene, alla felicità e alla disperazione che mi sono piombate addosso nello stesso momento e nello stesso posto e io non voglio perdere nessuna delle due, sì, le voglio entrambe, e invece ho paura di perdere anche queste, di perdere questo dolore, di perdere la felicità, di perdere te, Luisa, come ho perso mia sorella, e forse ti ho già persa perché dici che sono scappato e purtroppo è vero sono scappato ma non da te sono solo scappato nella direzione sbagliata come quei fagiani Luisa Luisa Luisa Luisa Luisa ti prego sei appena nata non morire anche tu e anche se sono scappato aspettami perdonami abbracciami baciami non è finita la lettera è solo finito il foglio,
Marco.

Parigi, 16.12.1999
È arrivata, mamma mia se è arrivata. È arrivata e non se n’è accorto nessuno. È una lettera tosta, Marco, e io non so cosa dire, come sempre.
È vero, non sono felice, ma la colpa non è di nessuno, la colpa è tutta dentro di me. No, ho sbagliato, non dovevo scrivere colpa, forse devo dire la “cosa”, non la colpa.
Ci sono nata con questa cosa, me la porto dietro da trentatré anni e non dipende da nessuno, dipende solo da me, come il senso di colpa, non dipende da nessuno, è solo che uno non nasce stronzo e quindi ce l’ha.
E ora cosa ti dico? Ti dico che sì, tu avresti ora l’occasione di vedere se quello che pensi e che scrivi è vero, senza bisogno di essere ricco e bello. Tu ora sei pulito come un passerotto, non hai colpe, puoi ricominciare tutto da zero, puoi anche sbagliare se vuoi, tanto dopo potresti ritornare indietro.
Io no, Marco, io sono in tutta un’altra situazione e dovrei stravolgerla, per colpa mia, e poi forse non avrei davvero più pace. Ma so che tu mi capisci, perché sei fatto come me, hai il mio stesso modo di amare, abbiamo il terrore di fare del male a chi ci sta vicino.
Io credo che tu sia la parte migliore della mia vita, quella senza bugie, senza inganni o incazzature (mi hai chiamato ora, ora mi perdo), la parte che si può sognare, anche la notte, perché io continuo a sognarti.
Rimarrà un sogno? Accadrà tutto? Accadrà qualcosa? Io sono qui e aspetto, non voglio fare niente, voglio che le cose accadano da sole. Lo so, è una teoria del cazzo, perché non mi accade mai nulla, a me, ma non posso prendere delle decisioni, non in questa cosa, non in questo momento.
Forse mi sono allenata tutti questi anni a non fare nulla, per poter riuscire in questa cosa. Quale cosa? Non lo so, non lo so, sto cominciando a delirare, smetto.
Luisa

la psicoanalisi era come il fumo, non bastava non praticarla, bisognava anche proteggersi da chi la praticava. Solo che l’unica maniera conosciuta per proteggersi dalla psicoanalisi altrui era andare a propria volta in analisi, e lui su questo non intendeva mollare.

Fa’ conto che io dica estate,
scriva la parola “colibrì”,
la metta in una busta,
la porti giù per la discesa
fino alla buca. Quando tu aprirai
la lettera, ti riverranno in mente
quei giorni e quanto,
ma proprio tanto, ti amo.
Raymond Carver

Ma ce l’avevano tutti, questo filo attaccato alla schiena, o ce l’aveva solo lei? Ce l’aveva solo lei. E non le pareva strano? Sì, le pareva strano. Le pareva strano di avere il filo o che gli altri non l’avessero? Le pareva strano che gli altri non l’avessero. E in casa, le chiese, come fai? Come fai con la mamma, con me? Ma tu, le spiegò la bimba, non mi passi mai dietro la schiena.

il tempo libero è una brutta bestia per le persone instabili.

le mani inoperose fanno il lavoro del diavolo

Per andare dove non sai / devi passare per dove non sai” Giovanni della Croce

Una buona storia può salvare un’animazione povera, ma una storia povera non può essere salvata da una buona animazione.” Astro Boy

per infilare il filo nella cruna dell’ago in Occidente si spinge il filo dal petto verso l’esterno, mentre in Giappone si fa l’opposto, il filo viene portato dall’esterno verso il petto. La differenza, disse Briciola, stava tutta lì: Occidente = dentro-fuori, Giappone = fuori-dentro.

Desideravo vederti:
desidero la fantasia dei tuoi capelli
a inaugurare grida
di libertà in ore troppo lente; la rivolta
dei tuoi polsi terrestri
che muovono inizi di bandiere,
e accusano l’indugio, la disperazione
cauta, il tempo.
Mi occorre l’urlo d’uno sguardo
ed oltre la violenza del tuo esistere
io esigo il gesto d’un tuo riso.

Lo sai, dunque, che questa è la descrizione del nostro amore, che io non sia mai dove sei tu, e tu non sia mai dove sono io?”

Mi chiedo: ma il male – hai presente? Ha dei circuiti preferenziali, il male, o si accanisce a caso?

Era la teoria della pietra gettata nell’acqua: se l’acqua è calma la pietra vi produce turbolenza, ma se è già agitata vi produce, al contrario, calma.

Nel Canto XIII del Purgatorio, Dante si trova nella seconda cornice, al cospetto delle anime degli invidiosi. Esse sono strette l’una all’altra, vestite di panno grezzo color della roccia alla quale sono addossate, e stanno invocando l’intercessione dei santi e della Madonna. Virgilio invita Dante a guardarle da vicino, e Dante vede che hanno tutte gli occhi cuciti col fil di ferro, con le lacrime che colano fuori dalle cuciture. A questo punto il poeta compie un gesto meraviglioso, pieno di pietà e di modernità: “A me pareva, andando, fare oltraggio / Veggendo altrui, non essendo veduto / Perch’io mi volsi al mio consiglio saggio.” Cioè, distoglie lo sguardo, lo rivolge a Virgilio, e non perché la vista di quel supplizio lo inorridisca, ma per non oltraggiare, guardandole, quelle anime che non possono ricambiare il suo sguardo. È come se dicesse che non si spara su gente disarmata, che non si colpiscono persone impossibilitate a difendersi.

Ogni giorno veniamo colpiti da centinaia di sguardi. A nostra volta, colpiamo con lo sguardo centinaia di persone. Il più delle volte nessuno ci fa caso: noi non ci accorgiamo di essere guardati, gli altri non si accorgono che noi li guardiamo. Perciò non succede niente, e questi sguardi non producono conseguenze – ma non c’è nessuna ragione di considerarli meno pesanti di quelli che ho citato poco fa. E, anzi: siamo poi così sicuri che gli sguardi non ricambiati non producano niente? C’è gente che s’innamora guardando ogni giorno dalla finestra una certa persona che passa per strada. C’è gente che va in fissa col conduttore o con la conduttrice che vede in tv. No, non esistono sguardi più importanti e sguardi meno importanti: nel momento in cui vengono scoccati, tutti gli sguardi sono un immischiarsi, ed è solo la combinazione degli eventi, cioè il caso, a determinarne le conseguenze.

Il fatto è che dietro al movimento è facile capire che c’è un motivo, mentre è più difficile capire che ce n’è uno anche dietro l’immobilità.

Vi sono esseri che per tutta la loro vita si dannano allo scopo di avanzare, conoscere, conquistare, scoprire, migliorare, per poi accorgersi d’esser sempre andati alla ricerca solo della vibrazione che li ha scaraventati al mondo: per costoro il punto di partenza e il punto di arrivo coincidono. Poi ce ne sono altri che invece pur stando fermi percorrono una strada lunga e avventurosa perché è il mondo a scivolare sotto i loro piedi, e finiscono molto lontano da dove erano partiti…

Ubi nihil vales, ibi nihil velis” – senza ricordare chi l’avesse pronunciata. Ricordava bene il suo significato, però: dove nulla vali, nulla puoi volere

Quante persone sono seppellite dentro di noi?

Casomai questo vecchio cielo ci crollasse addosso,
Luisa, Luisa, Luisa mia,
senza lasciarci il tempo di dircelo,
noi siamo due che ci si ama,
a me mi sembra.
Scriviamolo così, con tanti errori
io a te ti amo, e te tu mi ami a me.
Scriviamolo così,
Luisa, Luisa, Luisa mia,
su ogni superficie creata dal buon dio.


Katia Ciarrocchi



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