Il
colibrì – Sandro Veronesi – La nave
di Teseo – Pagg. 368 – ISBN 9788834600474
– Euro 20,00
Ci
sono libri che sanno di vita, che riportano alla mente quell’amore
puro e etereo che solo nei racconti dei nonni abbiamo vissuto, ci
sono libri che ti provocano un brivido lungo tutta la lettura e Il
colibrì di Sandro Veronesi, a mio avviso, è uno di
questi
Marco
Carrera racconta la sua vita e tutte le traversie che l’hanno
accompagnata, un viaggio molto vicino al vissuto di molti con tutte
le sue difficoltà. Carrera dà la sensazione di essere
immobile, fermo in balia degli eventi che la vita gli mette dinanzi,
subendoli senza ribellarsi a essi.
Veronesi
narra di una borghesia media e per quanto sia criticabile, perché
sembra quasi impossibile che a una sola persona possa capitare tutto
quello che è successo a Carrera, io mi ci riconosco,
purtroppo. Sicuramente è dovuto al fatto che la “sfiga”
condivide imperterrita il mio quotidiano, e mi sento un po’
come il protagonista che cerca in ogni modo di tirare avanti…
nonostante tutto.
Veronesi
ha la capacità di parlare di vita e del suo incedere caotico,
parla di dignità nell’affrontare con calma gli eventi,
parla d’amore e di tutte le sue difficoltà, parla della
complessità nei rapporti interpersonali e di quanto, avvolte,
sia difficile la gestione di essi.
Il
colibrì è un libro che fa riflettere, un libro che
anche dopo mesi di lettura ti rimane dentro.
Citazioni
tratte da: Il colibrì di Sandro Veronesi
Non
posso continuare.
Continuerò.
SAMUEL BECKETT
Luisa,
Luisa mia,
anzi,
non mia, purtroppo, Luisa e basta (Luisa Luisa Luisa Luisa Luisa
Luisa Luisa Luisa, il tuo nome mi martella e io non so cosa fare per
fermarlo): sono scappato, dici. È vero, ma dopo quello che è
successo, e il senso di colpa che mi ha assalito, per quei lunghi
incredibili giorni non sono stato più nessuno, né me
stesso né un altro. Ero come in trance, pensavo fosse successo
tutto per colpa mia, perché ero con te mentre succedeva,
perché ero felice con te. Lo penso ancora.
Ora tutti
dicono che è stata la volontà di Dio, o che era destino
e tutte queste stronzate qui, e io ho litigato a morte con Giacomo e
ho dato la colpa a lui e non ho nemmeno voglia di guardare in faccia
i miei genitori. Sapere dove stanno mi serve solo per starmene da
un’altra parte. Se sono scappato, Luisa mia, anzi non mia,
purtroppo, Luisa e basta (Luisa Luisa Luisa Luisa Luisa, il tuo nome
mi martella e io non ho nessuna voglia di fermarlo), l’ho fatto
nella direzione sbagliata, come quei fagiani durante gli incendi di
bosco che ho visto quando ero pompiere, alzarsi in volo terrorizzati
dal fuoco e volare all’impazzata verso il fuoco, avvicinarvisi
anziché allontanarsene, avvicinarvisi troppo, fino a cascarci
dentro. Non mi sono accorto di essere scappato, ecco: c’erano
tante cose da fare, tutte terrificanti, e c’era questa
pagliacciata dei Montecchi e Capuleti che rendeva impossibile
traversare la siepe (ma ero sconvolto, Luisa, era possibile eccome,
Luisa, non lo nego, Luisa Luisa Luisa Luisa) e io non l’ho
attraversata, e non ti ho nemmeno salutata.
Ora sono qui, solo,
nel senso di solo davvero, sono andati via tutti, hanno detto che non
torneranno mai più, che venderanno la casa, che non metteranno
mai più piede su una spiaggia, che non si prenderanno mai più
una vacanza; e siete andati via anche voi, e io attraverso e
riattraverso la siepe, ora, e nessuno mi vede, e vado sulla spiaggia,
vado ai Mulinelli, vado dietro le dune, e non c’è
nessuno, e dovrei studiare ma non ci provo nemmeno, e penso a te,
penso a Irene, alla felicità e alla disperazione che mi sono
piombate addosso nello stesso momento e nello stesso posto e io non
voglio perdere nessuna delle due, sì, le voglio entrambe, e
invece ho paura di perdere anche queste, di perdere questo dolore, di
perdere la felicità, di perdere te, Luisa, come ho perso mia
sorella, e forse ti ho già persa perché dici che sono
scappato e purtroppo è vero sono scappato ma non da te sono
solo scappato nella direzione sbagliata come quei fagiani Luisa Luisa
Luisa Luisa Luisa ti prego sei appena nata non morire anche tu e
anche se sono scappato aspettami perdonami abbracciami baciami non è
finita la lettera è solo finito il foglio,
Marco.
Parigi,
16.12.1999
È arrivata, mamma mia se è arrivata. È
arrivata e non se n’è accorto nessuno. È una
lettera tosta, Marco, e io non so cosa dire, come sempre.
È
vero, non sono felice, ma la colpa non è di nessuno, la colpa
è tutta dentro di me. No, ho sbagliato, non dovevo scrivere
colpa, forse devo dire la “cosa”, non la colpa.
Ci
sono nata con questa cosa, me la porto dietro da trentatré
anni e non dipende da nessuno, dipende solo da me, come il senso di
colpa, non dipende da nessuno, è solo che uno non nasce
stronzo e quindi ce l’ha.
E ora cosa ti dico? Ti dico che
sì, tu avresti ora l’occasione di vedere se quello che
pensi e che scrivi è vero, senza bisogno di essere ricco e
bello. Tu ora sei pulito come un passerotto, non hai colpe, puoi
ricominciare tutto da zero, puoi anche sbagliare se vuoi, tanto dopo
potresti ritornare indietro.
Io no, Marco, io sono in tutta
un’altra situazione e dovrei stravolgerla, per colpa mia, e poi
forse non avrei davvero più pace. Ma so che tu mi capisci,
perché sei fatto come me, hai il mio stesso modo di amare,
abbiamo il terrore di fare del male a chi ci sta vicino.
Io
credo che tu sia la parte migliore della mia vita, quella senza
bugie, senza inganni o incazzature (mi hai chiamato ora, ora mi
perdo), la parte che si può sognare, anche la notte, perché
io continuo a sognarti.
Rimarrà un sogno? Accadrà
tutto? Accadrà qualcosa? Io sono qui e aspetto, non voglio
fare niente, voglio che le cose accadano da sole. Lo so, è una
teoria del cazzo, perché non mi accade mai nulla, a me, ma non
posso prendere delle decisioni, non in questa cosa, non in questo
momento.
Forse mi sono allenata tutti questi anni a non fare
nulla, per poter riuscire in questa cosa. Quale cosa? Non lo so, non
lo so, sto cominciando a delirare, smetto.
Luisa
…la
psicoanalisi era come il fumo, non bastava non praticarla, bisognava
anche proteggersi da chi la praticava. Solo che l’unica maniera
conosciuta per proteggersi dalla psicoanalisi altrui era andare a
propria volta in analisi, e lui su questo non intendeva mollare.
Fa’
conto che io dica estate,
scriva la parola “colibrì”,
la
metta in una busta,
la porti giù per la discesa
fino
alla buca. Quando tu aprirai
la lettera, ti riverranno in
mente
quei giorni e quanto,
ma proprio tanto, ti
amo.
Raymond Carver
Ma
ce l’avevano tutti, questo filo attaccato alla schiena, o ce
l’aveva solo lei? Ce l’aveva solo lei. E non le pareva
strano? Sì, le pareva strano. Le pareva strano di avere il
filo o che gli altri non l’avessero? Le pareva strano che gli
altri non l’avessero. E in casa, le chiese, come fai? Come fai
con la mamma, con me? Ma tu, le spiegò la bimba, non mi passi
mai dietro la schiena.
…il
tempo libero è una brutta bestia per le persone instabili.
… le
mani inoperose fanno il lavoro del diavolo
“Per
andare dove non sai / devi passare per dove non sai” Giovanni
della Croce
“Una
buona storia può salvare un’animazione povera, ma una
storia povera non può essere salvata da una buona animazione.”
Astro Boy
per
infilare il filo nella cruna dell’ago in Occidente si spinge il
filo dal petto verso l’esterno, mentre in Giappone si fa
l’opposto, il filo viene portato dall’esterno verso il
petto. La differenza, disse Briciola, stava tutta lì:
Occidente = dentro-fuori, Giappone = fuori-dentro.
Desideravo
vederti:
desidero la fantasia dei tuoi capelli
a inaugurare
grida
di libertà in ore troppo lente; la rivolta
dei
tuoi polsi terrestri
che muovono inizi di bandiere,
e
accusano l’indugio, la disperazione
cauta, il tempo.
Mi
occorre l’urlo d’uno sguardo
ed oltre la violenza
del tuo esistere
io esigo il gesto d’un tuo riso.
“Lo
sai, dunque, che questa è la descrizione del nostro amore, che
io non sia mai dove sei tu, e tu non sia mai dove sono io?”
Mi
chiedo: ma il male – hai presente? Ha dei circuiti
preferenziali, il male, o si accanisce a caso?
Era
la teoria della pietra gettata nell’acqua: se l’acqua è
calma la pietra vi produce turbolenza, ma se è già
agitata vi produce, al contrario, calma.
Nel
Canto XIII del Purgatorio, Dante si trova nella seconda cornice, al
cospetto delle anime degli invidiosi. Esse sono strette l’una
all’altra, vestite di panno grezzo color della roccia alla
quale sono addossate, e stanno invocando l’intercessione dei
santi e della Madonna. Virgilio invita Dante a guardarle da vicino, e
Dante vede che hanno tutte gli occhi cuciti col fil di ferro, con le
lacrime che colano fuori dalle cuciture. A questo punto il poeta
compie un gesto meraviglioso, pieno di pietà e di modernità:
“A me pareva, andando, fare oltraggio / Veggendo altrui, non
essendo veduto / Perch’io mi volsi al mio consiglio saggio.”
Cioè, distoglie lo sguardo, lo rivolge a Virgilio, e non
perché la vista di quel supplizio lo inorridisca, ma per non
oltraggiare, guardandole, quelle anime che non possono ricambiare il
suo sguardo. È come se dicesse che non si spara su gente
disarmata, che non si colpiscono persone impossibilitate a
difendersi.
Ogni
giorno veniamo colpiti da centinaia di sguardi. A nostra volta,
colpiamo con lo sguardo centinaia di persone. Il più delle
volte nessuno ci fa caso: noi non ci accorgiamo di essere guardati,
gli altri non si accorgono che noi li guardiamo. Perciò non
succede niente, e questi sguardi non producono conseguenze – ma
non c’è nessuna ragione di considerarli meno pesanti di
quelli che ho citato poco fa. E, anzi: siamo poi così sicuri
che gli sguardi non ricambiati non producano niente? C’è
gente che s’innamora guardando ogni giorno dalla finestra una
certa persona che passa per strada. C’è gente che va in
fissa col conduttore o con la conduttrice che vede in tv. No, non
esistono sguardi più importanti e sguardi meno importanti: nel
momento in cui vengono scoccati, tutti gli sguardi sono un
immischiarsi, ed è solo la combinazione degli eventi, cioè
il caso, a determinarne le conseguenze.
Il
fatto è che dietro al movimento è facile capire che c’è
un motivo, mentre è più difficile capire che ce n’è
uno anche dietro l’immobilità.
Vi
sono esseri che per tutta la loro vita si dannano allo scopo di
avanzare, conoscere, conquistare, scoprire, migliorare, per poi
accorgersi d’esser sempre andati alla ricerca solo della
vibrazione che li ha scaraventati al mondo: per costoro il punto di
partenza e il punto di arrivo coincidono. Poi ce ne sono altri che
invece pur stando fermi percorrono una strada lunga e avventurosa
perché è il mondo a scivolare sotto i loro piedi, e
finiscono molto lontano da dove erano partiti…
“Ubi
nihil vales, ibi nihil velis” – senza ricordare chi
l’avesse pronunciata. Ricordava bene il suo significato, però:
dove nulla vali, nulla puoi volere
Quante
persone sono seppellite dentro di noi?
Casomai
questo vecchio cielo ci crollasse addosso,
Luisa, Luisa, Luisa
mia,
senza lasciarci il tempo di dircelo,
noi siamo due che
ci si ama,
a me mi sembra.
Scriviamolo così, con
tanti errori
io a te ti amo, e te tu mi ami a me.
Scriviamolo
così,
Luisa, Luisa, Luisa mia,
su ogni superficie
creata dal buon dio.
Katia
Ciarrocchi
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