Le
parole che ci salvano – Eugenio Borgna –
Einaudi – Pagg. 233 – ISBN 9788806232825
– Euro 14,00
«E
ciò che vale della conoscenza vale anche del rapporto umano.
Esso consiste in buona parte nel dare agli altri qualcosa di se
stessi: una simpatia, un aiuto, una compagnia, fino alle forme di
comunione completa. Ma può uno dar via qualcosa di se stesso,
se non possiede affatto se stesso? Chi non fa che parlare, non si
possiede realmente, giacché scivola via di continuo da se
stesso, e ciò che egli dona agli altri non sono che vacue
parole». (Romano Guardini)
Questo
mi ha consentito di riflettere sul nostro essere responsabili delle
parole, dette o scritte, delle immagini, delle emozioni che si
agitano in noi, delle sposte mancate ai desideri e alle richieste di
aiuto che ci giungono da ogni parte, dell’attenzione o della
disperazione, alle voci del dolore e della disperazione, della
tristezza e dell’angoscia.
Quanto
sono importanti le parole? Ruota intorno a questo concetto il
bellissimo saggio di Eugenio Borgna: Le
parole che ci salvano.
Borgna
in questo suo ultimo lavoro raggruppa le precedenti pubblicazioni in
un unico volume dando modo al lettore di avere una visione completa
sulla sua opera:
Una
bellissima poesia di Emily Dickinson sulla fragilità e sulla
misteriosa durata della parola mi consente di concludere questa mia
riflessione
Una
parola muore
appena
detta
dice
qualcuno –
Io
dico che comincia
appena
a vivere
quel
giorno.
La
parola è memoria, ed è speranza, nel cuore.
La
nostra vita è rappresentata dalle parole, e spesso
dimentichiamo quanto esse siano importanti e quanto, le parole, siano
uno schiaffo o una carezza, ma soprattutto di come permettano di
entrare nel mondo altrui, un mondo non sempre roseo ma che spesso
racchiude sofferenze e dolore. L’autore ci fa riflettere su
quanto le parole possano influenzare
il cambiamento degli stati d’animo e della situazione.
Borgna
si sofferma moltissimo sull’importanza delle parole in alcune
professioni, soprattutto quella medica, dove ne evidenzia il valore
proprio perché sono professionisti che si avvicinano alla
persona/paziente in un momento di profonda fragilità: l’oncologo
francese David Khanati dove sottolinea
l’importanza psicologica e umana delle parole che si rivolgono
ai pazienti, e che ne rispettano, o ne lacerano, la dignità e
la fragilità.
Né Le
parole ci salvano si
sottolinea quando un ricovero ospedaliero e/o solo un malessere
momentaneo influisca sul nostro essere cambiando il
nostro modo di essere nel mondo (…) e
comprenderemo che la sofferenza passa, ma non passa mai l’avere
sofferto.
In
sintesi: le parole creano ponti tra le persone, la fragilità
consente la mediazione nella comunicazione perché permette
quella parte empatica dell’identificarsi nella vita
dell’interlocutore. L’ascolto come silenzio e
l’importanza di esso nell’esserci nel momento del bisogno
annullando parole inutili: Per
ascoltare occorre tacere.
L’importanza
della comunicazione non verbale urla forte tra le pagine di Le
parole che ci salvano di
Eugenio Borgna,
il linguaggio del corpo che si sostituisce alle parole come richiesta
di aiuto, e quanto oggi ancora non si abbia la capacità di
ascoltare, ma soprattutto di far uso di quel grande dono che abbiamo,
la parola, nella maniera giusta: usiamo la parola per infondere amore
e speranza soprattutto in quelle persone che affrontano una malattia
e/o un momento difficile che poi, per le parole cattive c’è
sempre tempo.
Una grande riflessione quella che ci offre
l’autore: la responsabilità delle parole, di quanto esse
possano influenzare sia in negativo che in positivo e di quanto
dovremmo riflettere prima di dar fiato alla bocca. Un saggio che
consiglio fortemente.
Quali
parole pronunciare per arrivare al cuore degli altri e di noi stessi?
Citazione
tratte da: Le parole che ci salvano
Le
parole non sono incolori, non sono uniformi, non sono semplici e,
solo se sgorgano dal cuore e dal silenzio, solo se sono fragili e
gentili, umbratili e arcane, lasciano una traccia profonda nell’anima
di chi sta male, e chiede aiuto divorato dall’angoscia e dalla
disperazione.
Per
ascoltare occorre tacere.
Il
silenzio, nella sua strema fragilità, non ha solo mille modi
di venire alla luce, ha anche mille modi di essere ferito dalle
parole, o dai gesti. Il silenzio ha in sé tracce di mistero e
di oscurità, di fascinazione e di speranza, e le parole, le
parole che aiutano a vivere, nascono dal silenzio e muoiono nel
silenzio in una circolarità senza fine.
La
parola che tace è talora più importante della parola
che parla.
In
me c’è un silenzio sempre più profondo. Lo
lambiscono tante parole che stancano perché non riescono ad
esprimere nulla. (Etty Hillesum)
La
gioia è un momento, senza vincoli, senza tempo; non la si può
trattenere, ma non la si può neanche perdere, perché
sotto le sue scosse il nostro essere muta chimicamente, per così
dire, e non si limita, come di solito accade nella felicità,
ad assaporare e a godere se stesso in una nuova mescolanza.
…la
gioia è indicibilmente di più della felicità; la
felicità irrompe sugli uomini, la felicità è
destino; la gioia gli uomini la fanno fiorire dentro di sé, la
gioia è semplicemente una buona stagione sopra il cuore; la
gioia è la cosa massima che gli uomini abbiano in loro potere
La
speranza è l’arcobaleno gettato al di sopra del ruscello
precipitoso e repentino della vita, inghiottito centinaia di volte
dalla spuma e sempre di nuovo ricomponentesi: continuamente lo supera
con delicata bella temerarietà, proprio là dove
rumoreggia più selvaggiamente e pericolosamente. (Friedrich
Nietzsche)
(
Nani Wunderly-Volkart) La felicità ha il suo contrario
nell’infelicità,
Si,
la fragilità vive in noi e fa parte della condizione umana, e
nondimeno essa riemerge nelle sue epifanie non solo quando sia
presente in noi una malattia fisica, ma soprattutto quando ci sia in
noi una malattia psichica, la follia sorella sfortunata della poesia,
con il suo lancinante dolore dell’anima, con la sua stremata
sensibilità, e con la sua straziata nostalgia di vicinanza e
di amore.
La
follia nella sua radice più profonda è una possibilità
umana, che è in ciascuno di noi, con le sue ombre più o
meno dolorose, e con le sue penombre, con le sue agostiniane
inquietudini del cuore.
Il
salto profondo e radicale tra l’infanzia e l’adolescenza
è rappresentato dal fatto che in questa rinascono
improvvisamente le grandi domande sul senso del vivere e del morire;
e nascono i grandi ideali a cui consegnare un senso alla vita: un
senso alto e luminoso che ne metta in fuga le ombre. Ma queste
domande, e questi ideali, si confrontano con le abitudini e la
lontananza, la distrazione e l’estraneità del mondo
degli adulti, e allora ne scaturisce la ricerca della solitudine, il
distacco dal mondo e il ripiegamento nella propria interiorità
che si sente ferita, e sempre più fragile.
Dedica
straziante da parte di Roberta Caput (che anticipa la sua poesia Il
pranzo) a Ma sulla malattia dell’Alzheimer: Non guardarmi
mentre mangi, non alzare lo sguardo, potresti incontrare il mio
giudizio e approvarlo.
«La
nostra carne è fragile: qualsiasi pezzo di materia in
movimento può trafiggerla, lacerarla, schiacciar la, oppure
inceppare per sempre uno dei suoi congegni interni. La nostra anima è
vulnerabile, soggetta a de-pressioni immotivate, penosamente in balia
di ogni genere di cose, e di esseri altrettanto fragili o
capricciosi. La nostra persona sociale, da cui dipende quasi il
sentimento dell’esistenza, è costantemente e interamente
esposta al caso».
Si
dovrebbe parlare delle questioni più gravi e importanti di
questa vita solo quando le parole ci vengono semplici e naturali come
l’acqua che sgorga da una sorgente. (Etty Hillesum)
Il
volto umano è fatto per riflettere la luce delle stelle.
(Ovidio)
Ci
sono lacrime che si nascondono in un sorriso, e ci sono le ombre di
un sorriso in una lacrima che scende improvvisa lungo un volto
macerato dal dolore.
Cosa
sono mai le parole? Una lacrima sola dice assai di più.
(Roland Barthes)
Il
virtuale, in fondo, è quel che non c’è. È
il non-esistente simulato: in un certo senso, è addirittura il
falso. (Raffaele Simone)
La
malattia come doloroso invito a rientrare in noi stessi, negli abissi
della nostra interiorità, come occasione di riflessione sul
senso del vivere e del morire: come ascolto dell’infinito che è
in noi.
Quando
la malattia non è la malattia fisica ma la malattia psichica,
parlare di essa è cosa ancora più complessa, e
difficile. Non si giunge alla comunicazione con una persona lacerata
dalla sofferenza psichica, dalla malattia dell’anima, se non la
si accoglie nella sua diversa forma di vita, nella sua alterità,
e nella sua ardente umanità: ferita dal dolore, e nondimeno
animata dalle speranze, non identiche alle nostre, ma non di rado più
autentiche delle nostre.
La
responsabilità è considerata come la possibilità
di prevedere gli effetti delle nostre azioni, e di modificarle, di
correggerle, in base a tale previsione.
Le
parole nascono e muoiono senza fine, ed è facile, ed è
così frequente, che sulla scia di leggerezze e di
dimenticanze, di disattenzioni anche involontarie, si parli senza
valutare le conseguenze delle nostre parole.
Il
male si intreccia alla paura: sono gemelli siamesi, e sono due modi
diversi di chiamare una stessa esperienza: il male indica ciò
che si vede, e la paura ciò che si avverte dentro di sé.
Una
sincera lacrima dura più del bronzo: (Emily Dickinson)
Katia
Ciarrocchi
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