L’alta
fantasia. Il viaggio di Boccaccio
alla scoperta di Dante – Pupi Avati – Solferino –
Pagg. 176 – ISBN 9788828207467
– Euro 16,50
Ho
finito di leggere, nell’arco di una notte insonne, l’ultimo
romanzo di Pupi Avati, “L’ALTA FANTASIA – Il
viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante”, pubblicato circa
due mesi addietro da Solferino Editore: quando una storia ti
prende non c’è sonno che tenga e rimani avvinto alle
pagine che scorrono mosse dalle tue mani febbrili, ansioso di
inoltrarti in essa, sempre avanti, sempre avanti, col rammarico che
arriverai alla fine e con essa alla fine dell’incanto.
Qual
è questa storia meravigliosa? E’ la vita di Dante
Alighieri narrata in modo inedito da un poeta che ha la capacità
rara di scandagliare l’animo umano e, in questo caso, a
diradare con la fantasia le nebbie del tempo per calarsi in un’epoca
remota, quella medievale di Dante.
Quanta
bellezza e dolcezza, quanto amore per il sommo Poeta che fa sì
da rimbalzarlo nei tempi attuali, rendendolo vivo, presente, tanto
che anche noi lo amiamo più di quanto la nostra conoscenza
fino a questo momento ci permettesse.
Ma
questo amore è senz’altro paragonabile a quello di un
altro grande quasi contemporaneo del Poeta, Giovanni Boccaccio,
autore del Trattatello in laude di Dante, che ha ispirato il
romanzo. Quindi, Dante, Boccaccio, Avati; e non è esagerato
l’accostamento perché questo sentimento vivificante
nella storia dell’Uomo travalica il tempo e amalgama tutti gli
esseri che da esso sono avvinti.
Tanto
gentile e tanto onesta pare la donna mia… Versi sublimi
che accarezzano la nostra memoria, impressi negli anni della scuola
ma che qui acquistano un significato struggente: Beatrice, vestita da
sposa, si avvia verso il luogo della cerimonia, circondata da
bambini che la toccano come buon augurio e che lei accarezza e bacia
sorridente. Dante, nascosto tra la folla dei curiosi, pur nel dolore
straziante che la sua donna è perduta per sempre, traccia
nella mente quei versi. Ultimo palpito: Beatrice, prima di varcare la
soglia della chiesa, si volge indietro, lo cerca con gli occhi, lo
trova e gli sorride, quasi a volersi far perdonare per aver dovuto
sposare un altro uomo.
Un
aspetto molto essenziale ed emozionante che pervade la narrazione è
anche quello dell’amicizia, soprattutto con Guido Cavalcanti.
Quale trepidazione del Poeta ancora ragazzo nel consegnare dei versi
a Cavalcanti, già versificatore famoso a Firenze, a lui
dedicati! E quale sorpresa e gioia quando Cavalcanti gli dà a
sua volta dei versi, in risposta!
La
cesura del tempo non esiste più, tanti secoli vengono
azzerati: rimane nell’aria solo il bagliore eterno dell’Amore,
dell’Amicizia, con cui Avati avvolge amorevolmente i
suoi personaggi.
La
vita del Poeta si evolve in modo convulso a seguito della sua
elezione a Priore della città di Firenze. Furiose lotte
intestine lo contrappongo anche all’amico del cuore Cavalcanti,
che è costretto ad andare in esilio. La stessa sorte tocca
anche a lui, dopo la sconfitta del suo partito e il tradimento di
Bonifacio VIII.
Come
sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scendere e il
salir l’altrui scale... Anni difficili, a volte disperati,
durante i quali è testimone sbigottito della morte di Beatrice
venticinquenne e dell’amico-nemico, che lo portano a riflettere
sconsolato sulla miseria delle vicende umane.
La
conclusione del romanzo tocca vertici mirabili, di una delicatezza
unica. Giovanni Boccaccio arriva finalmente a Ravenna, dopo un
viaggio estenuante e pericoloso su di un carro trainato da un
cavallo. Qui, in convento, si era rifugiata la figlia di Dante,
monaca con il nome di suor Beatrice, alla quale su incarico della
Signoria di Firenze deve consegnare un risarcimento in denaro per
l’esilio ingiustamente subito da suo padre. Beatrice si rifiuta
di incontrarlo, per il solo fatto che viene da Firenze, città
da lei odiata per le tante sofferenze patite: la ripulsa è più
forte di lei, anche se sa che lo muove la venerazione che ha per il
padre.
Disperato,
deluso, Boccaccio si inginocchia, nel buio della stanza, pregando
sottovoce e piangendo per il suo fallimento, quando un fruscio lo
avverte di una presenza. Intuisce che è Beatrice che lo spia.
In uno stato di profonda emozione scrutava l’impenetrabile
oscurità: “ Io a vostro padre debbo la scoperta della
poesia… la sola gioia vera della mia esistenza…”.
La
mano di suor Beatrice, ormai vecchia, raggiunse la mano bendata di
lui che ora piangeva liberando l’emozione: “… di
sfiorare in voi la carne della sua carne”.
La
vecchia sorrise, intenerita.
“Sono
infinite le cose che volevo chiedervi… “ le confidò
lui stringendole la mano al petto “ma ora mi basta questo…
so che mi basta questo… voi siete sua figlia e io sono qui per
voi…”
Quale
incontro più intimo e insieme grandioso di questo!
La
cornice del romanzo è quella di un Medioevo sporco, duro
e desolante. Quando penso a un Boccaccio stanco, ammalato, in balia
di mille pericoli a cui è esposto durante il suo viaggio per
raggiungere Ravenna, la mia visione di un grande personaggio, del
letterato che la Storia ci ha tramandato, viene tristemente
modificata. E mi spiace per lui, come se il suo Decamerone che
ho amato tanto possa essere minacciato e il suo splendore offuscato.
Nel
concludere questa mia breve riflessione, non posso non dire che a
breve uscirà nelle sale di tutta Italia il film tratto da
questo libro meraviglioso.
Aurelio
Caliri
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