L’amore
molesto – Elena Ferrante – E/O –
Pagg. 176 – ISBN 9788866326403
– Euro 9,90
Ammetto,
acquisto questo libro per la bellezza della copertina, per quanto la
Ferrante mi sia piaciuta ne L’amica
geniale, non
sono particolarmente incuriosita nel leggere la sua produzione
letteraria, almeno per il momento.
Elena
Ferrante attraverso Delia racconta il suo amore molesto diretto ad
Amalia, sua madre, e di un passato che torna a galla prepotente con
il corpo della stessa Amalia morta annegata.
La
bugia domina il passato e il presente di Delia e l’autrice
rafforza il messaggio di quanto, le bugie, siano dannose.
L’amore
molesto è un thriller psicologico che affronta il problema
madre-figlia e quello che scaturisce quando c’è amore e
odio, di quello morboso senza nessuna indulgenza. L’autrice
sottolinea il percorso di consapevolezza di Delia, anima ambivalente,
dibattuta tra progresso e tradizione, tra affetto e ostilità,
incertezza e voglia di emergere.
L’amore
molesto è
sicuramente un libro molto intenso, cattura il lettore incuriosendolo
non solo per le vicende, ma soprattutto per la parte psicologica dei
protagonisti. Il valore aggiunto, sono le parole crude, il linguaggio
usato dall’autrice rafforzando la suspense che si cela
intorno ai personaggi.
La
narrazione è intensa e piena di dettagli, permette scenari
possibili catapultato il lettore nelle inquietudini dei
personaggi.
Sicuramente
non è un libro facile, ma costringe in un’attenzione
sempre presente, altrimenti non si riesce a proseguire nella
lettura.
Il
finale non merita l’intera narrazione.
Citazioni
tratte da: L’amore
molesto di Elena Ferrante
Quando
si entra nella casa di una persona morta di recente, è
difficile crederla deserta. Le case non conservano fantasmi ma
trattengono gli effetti degli ultimi gesti di vita.
Provo
pena per quel mondo di vecchi smarriti, confusi tra immagini di sé
che risalivano a epoche andate, ora affiatati ora in rissa con ombre
di cose e persone del tempo passato.
Provai,
all’apparenza immotivatamente, lo stesso gradevole stupore di
quando trovavo in luoghi impensati i doni che Amalia aveva nascosto
fingendo intanto di aver dimenticato per sbadataggine date e
festività. Ci teneva sulle spine fino a che il regalo non
saltava fuori all’improvviso da angoli della vita quotidiana
che non avevano niente a che fare con l’eccezionalità
del dono. A vederci felice era più felice di noi.
Avventato
era esporsi ai rischi dell’esistenza con leggerezza.
«C’è
un momento in cui bisogna mettersi in pace col prossimo»
(…)
Non
lo sapevo ancora ma avrei sperimentato anche io che la vecchiaia è
una brutta bestia feroce.
L’infanzia
è una fabbrica di menzogne che durano all’imperfetto: la
mia almeno era stata così.
Non
mi interessava più la storia tra lui e mia madre: desideravo
solo confessare ad alta voce che, allora e dopo, avevo odiato non
lui, forse nemmeno mio padre: soltanto Amalia. Era a lei che volevo
fare del male. Perché mi aveva lasciata nel mondo a giocare da
sola con le parole della menzogna, senza misura, senza verità.
Katia
Ciarrocchi
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