Le
intermittenze della morte – José Saramago
– Feltrinelli – Pagg. 218 – ISBN 9788807723476 –
Euro 9,50
La
porta del labirinto
Partendo
dall'assunto che l’unica certezza che abbiamo, nella nebulosa
che ci avvolge - una trappola come il “labirinto senza porte”
che è la vita - è la morte, Saramago si diletta nel
sospenderla per alcuni mesi, e dopo averne studiato l’effetto,
soprattutto sociologico, nel cosiddetto consorzio umano, a
ripristinarla ma con modalità diverse.
Il
31 dicembre la morte cessa di manifestarsi, lascia nel limbo i
morituri, i malati terminali e gli anziani oltre misura per lo più;
a pensarci, senza ipocrisia, tutto il fardello umano che
faticosamente la società civile riesce a gestire: malattia e
morte con le implicazioni connesse di accettazione, cura, sodalizio,
compassione, benché ci si sforzi, rappresentano ancora eventi
che fanno emergere tutto il limite degli uomini, persi nella sete di
vita che malattia o vecchiaia dei propri cari paiono cristallizzare.
È l'eterno conflitto della vita contro la morte, il risultato
sappiamo tutti qual è. L’egoismo trionfa e apre la pista
alla vera morte, quella dell’anima, per poi lasciare il passo a
“sora nostra morte corporale”.
Questa
prima ipotesi surreale, affascinante quanto le altre di Saramago, una
per tutte la cecità lattea, ha il dono di immergerci in una
serie di riflessioni che ci portano contestualmente a indagare
sull’essenza umana, sul comportamento del singolo e di riflesso
sulle ricadute che esso ha sulla rete di relazioni sociali. Vengono
inscenati diversi quadri consequenziali alla diretta assenza della
morte: l’eutanasia, il sotterfugio, la “maphia”
(ovvero un sistema di gestione della impossibilità di morire
appaltata dallo stato a un non stato), insomma situazioni che non
hanno nulla di surreale, e che al contrario accompagnano l’amara
constatazione che purtroppo ad esse siamo già pervenuti. Una
riflessione quindi sulla difficile coesistenza uomo-morte che passa
dall’assoluta negazione della stessa morte per giungere
all’altrettanto scontata verità che tutto il nostro
sistema sociale è basato su di essa. Si pensi solo alle
religioni: è nota infatti la sensibilità dell’ateo
Saramago verso queste manifestazioni culturali. Insomma, tutta la
prima parte del romanzo merita davvero la lettura.
L’ipotesi
successiva, passati alcuni mesi, è che la morte si manifesti
nuovamente, portatrice ancora una volta di esistenziali
sconvolgimenti, come è nella sua natura, e qui la narrazione
inizia ad arrancare fino a stagnare in una rappresentazione, dai toni
squisitamente teatrali e barocchi, della solitudine della stessa
morte che, nella sua svolta di entità ormai personificata, si
ritrova a gestire un errore procedurale. Non sempre i piani vanno
come si vorrebbe e la soluzione a questa impasse è tutto
tranne che ciò che ti aspetteresti da Saramago! Finale per me
scontato e deludente che forse sarà meglio apprezzato da chi
crede ancora “amor omnia vincit”.
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