Nonostante
(1999 – 2004) - Luciano Luisi – Passigli –
Pagg. 89 – ISBN 978-8836808861
– Euro 19,99
Perché
un titolo insolito, Nonostante, per la pluripremiata
raccolta poetica di Luciano Luisi edita da Passigli nel 2004? La
risposta è già nella poesia introduttiva “Anima”,
che contiene questa congiunzione concessiva fin dal primo verso :
“Anima
che mi guardi, nonostante | io sia già sulla soglia, non
andartene | verso i lidi nebbiosi che ogni istante | m’appaiono.
Che importa? Le mie vene || frementi sanno che il passo è
distante | se ogni speranza ad illudermi viene | e desidero ancora...
|| ... Anima non andartene, ma scaccia | pietosa ogni ombra che
all’ombra conduce: | resta con me sulla terra, nel vento.”
Un
forte attaccamento alla vita, tratto essenziale della personalità
dell’autore, è dunque il nucleo tematico centrale della
raccolta: settanta sonetti divisi in due parti, la prima di tono più
introspettivo e intimistico, la seconda più aperta alla realtà
e al sociale. Un libretto di novanta pagine che diviene un ‘vademecum
dell’anima’, attingendo e ricongiungendosi alla ricerca
filosofica, allo spirito religioso, alla grande poesia classica,
rinascimentale e moderna, trattando con delicatezza e intensità
uno di più grandi temi dell’esistenza umana: la sua
inevitabile fine, quell’”appuntamento” con
l’”ombra” di cui ignoriamo il ‘quando’
e il ‘dove’, ma non il “se”.
“Non
chiedere, non è lecito saperlo, quale fine a me e quale a te
abbiano dato gli dei” scriveva Orazio nel I secolo a.C. (e dopo
duemila anni l’uomo cibernetico non sa dare una risposta),
mentre Shakespeare nel monologo dell’”Amleto” si
interrogava sulla ‘underscovered land’, la terra
sconosciuta da cui ‘no traveller returns’. Liberare
l’umanità dalla paura della morte era stato l’obiettivo
di Epicuro e Lucrezio, mentre Giuseppe Ungaretti chiuse la poesia
“Veglia”, scritta in trincea nel 1916 accanto al compagno
massacrato, con i versi “non sono mai stato | tanto attaccato
alla vita”.
Questo
attaccamento alla vita, nonostante tutto ciò che risulta
difficile, doloroso, incerto, nonostante il determinismo della
materia e lo scorrere degli anni, l’alternarsi di ricordi e
rimpianti, nonostante le domande irrisolte sull’al di là,
è il motore del libro di Luisi. La parola chiave, la più
ricorrente nei componimenti, è proprio “vita”: la
vita come dono, come luce che ogni giorno si riaccende con “tutti
i doni della terra”, la vita che, come il poeta scrive in “Ad
un amico depresso”, è un fiume “sempre in piena”:
La
vita è fatta di giorni, ricordalo, | e ogni giorno è la
vita. Ogni giorno | che ha un’alba e un tramonto, che accorda |
l’ombra e la luce che nasce, che è adorno || di tutti i
doni della terra, | è corda | che lega il passato e il futuro,
e ha intorno | le speranze e i ricordi. Vivi, scordalo | ciò
che fa nebbia al cuore, ogni giorno || la vita ricomincia...”
Luisi
è un uomo, come lui stesso afferma, “ingordo della
vita”, ha una “febbre di vita”, non si rassegna a
quel varco inesplorato, al distacco dagli affetti e anche dagli
oggetti, – come l’amata Olivetti, il cui ticchettio era
per lui a quindici anni “quasi l’ala | d’una
sublime musica” – dalle amate cose “conservate
negli anni” e non riesce “senza pena imparare a
lasciarle” (Le cose, p. 19)... Il ‘viaggio”
da affrontare è non solo un strappo doloroso come un esilio,
ma oscuro, incerto: “Saperlo? Ma a chi rivolgersi’, a
chi | chiederlo? Poter guardare in faccia uno, | uno soltanto che è
tornato qui | dal viaggio a raccontarlo...”(Il viaggio, p.
23) Così scrive Luisi, riecheggiando l’interrogativo
amletico.
Eppure
il poeta cerca di fare i conti con se stesso, di trovare una
consolazione, un senso a questo ultimo volo, immaginandosi “in
un’eterna danza”: “E non avrà il mio
corpo il camposanto, | ma il vento, e sarà polvere cha spazia
| nell’infinito, e che non chiede pianto | né fiori. Via
dall’artiglio che strazia || la carne arresa che conobbe il
canto | della vita... | Forse così ritroverò l’incanto
| della luce, dell’aria, e quale grazia || sarà d’essere
cielo, d’essere nuvola | eternamente... | Forse vedrò
come l’anima vola..” (Essere cielo, p. 35).
Così
alla parola poetica è affidato da Luisi il compito che le è
proprio, quello di farsi specchio e voce del suo e nostro tormento,
di una resistenza civile ed etica, laica e religiosa insieme, che
vince sul tempo, perché il poeta – è questo il
suo compito – mettendosi a nudo, rompe il silenzio, disvela
anche i piccoli e grandi drammi che il pudore ci blocca di esprimere,
facendo sì che ci riconosciamo nei suoi versi. Indagine
impietosa e insieme ardente, secondo il detto di Giorgio Caproni:
“Chi legge un vero poeta legge se stesso”.
Particolarmente
intensa la breve sezione “La porta”, in cui la voce
poetante si fa più sommessa e insieme ardita, in un
immaginario dialogo con Dio, sulla soglia di quella “porta che
è sorgente || di salvezza” e al cui “richiamo”
l’autore è ancora riluttante :
Perdonami,
vorrei, se mi chiamassi | poterTi dire “Sono pronto, vedi |
come senza esitare muovo i passi | più duri per seguirTi”,
ma Tu mi chiedi || che non mi volti, come se lasciassi | non la vita,
la vita che concedi come dono, vorresti che scordassi | le impennate
del sangue... | io posso solo offrirTi | la fidente speranza d’un
ingordo || della vita. Lo so che vorrei dirTi | che al Tuo richiamo
non sarò mai sordo, | ma ho ancora tanta voglia di
tradirTi.” (Il richiamo, p. 40)
La
successiva sezione “Gli amori” riporta in primo piano gli
“spasimi del cuore” e in queste liriche pulsa, come in
tante altre di Luisi, quell’eros mediterraneo che gli viene dal
sangue pugliese del padre e gli fa sentire il sentimento amoroso –
a cui ha dedicato un libro intero (“Poesie d’amore”,
2004) – come un frutto goloso, anche se fuori stagione, e lo
porta a ripercorrere con andamento quasi narrativo momenti e incontri
passati e recenti, vissuti con impeto ed emozione.
Come
la pioggia che batte sui vetri | e ad uno schiaffo del vento
s’arresta | e poi scroscia, è il mio cuore alla festa |
del tuo sguardo. Faccio un passo e arretri | appena un po’: il
desiderio si desta| imperioso. Il tuo fascino è in questa |
naturale malizia..”(L’attesa, p. 60)
La
raccolta si chiude con la sezione “Fatti del giorno”, che
attesta l’avvilito stupore, lo sdegno attonito della coscienza
di fronte a delitti o fatti inquietanti: furti, rapimenti, stupri,
morti violente, “i tanti lutti | dove l’amore tace”,
sintomi di uno smarrimento della mente e del bene assoluto che il
poeta constata e cerca di indagare in versi densi di pathos, come
quelli rivolti al ragazzo matricida:
O
lontana incantata adolescenza | che bussavi alla porta del futuro |
per spiare, per cogliere l’essenza | della vita, in quale
tunnel oscuro || ti sei perduta?... Guardo l’albero verde e
spauro || immaginando il suo fiorire ucciso | dalla folgore. E vedo i
tanti lutti | dove l’amore tace: che malessere ti ha
attraversata e ha spento il tuo sorriso | e il dialogo che dovevamo
tessere | noi? Noi che siamo colpevoli, tutti. (Il
matricida, 2, p. 83).
Nonostante è
nel suo complesso un’opera poetica scritta davvero in punta
d’anima e con grande sapienza compositiva, frutto della lunga e
variegata esperienza di scrittura dell’autore, che dosa con
maestria ogni sfumatura lessicale e metrica. Due brevi annotazioni
stilistiche: la prima è la chiarezza comunicativa, la
fruibilità di queste liriche, come delle precedenti opere
poetiche di Luciano Luisi. Sono poesie a cui tutti possono accostarsi
senza sentirsi a disagio nella comprensione (come accade spesso per
tanta osannata pseudopoesia). Luisi, pur senza rinunciare ad un tono
alto, va verso il lettore e diventa tutt’uno con lui, non si
chiude nella torre d’avorio del letterato armato di preziosismi
linguistici o di sofismi. E in questo ci trova perfettamente
concordi.
L’altra
annotazione riguarda la scelta del sonetto, un ritorno alla grande
tradizione compositiva italiana: nel realizzarlo Luisi rivela, come
già detto, sapienza tecnica ma al tempo stesso libertà
strutturale (basti pensare all’uso ricorrente
dell’’enjambement’). Una scelta in realtà
non solo formale o estetica, ma eticamente controcorrente: tornare al
sonetto significa oggi porre argine allo sperimentalismo, alla poesia
quasi prosa, senza ritmo o musicalità. Una ricerca di
“armonia” che vinca, secondo uno dei versi più
belli dei foscoliani “Sepolcri”, “di mille secoli
il silenzio.”
La
poesia di Luisi, per questa simbiosi armonica di contenuto e forma,
resterà – “nonostante” tutto – nel
cuore e nella mente di chi la legge e di questo gli siamo grati, in
una consonanza di ideali e di tematiche, di amore per la vita e per
la poesia. Chiudiamo questo breve excursus critico con il sonetto “Ad
una ragazza che scrive”, vero inno al miracolo creativo della
parola poetica:
Mi
chiedi, con stupore, cosa sia | che fa nascere i versi, in quale
terra | più docile attecchisca la poesia | e se per coltivarla
c’è una serra. || Non puoi sapere che perduta guerra |
se non s’annunzia per sua cortesia | – con quel profumo
raro che rinserra | nel suo mistero – a indicare la via... Ma
qualche volta, se l’anima vola | alta, il silenzio diventa
parola | e tutto nasce che non era nato.
Patrizia
Fazzi
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