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  Letteratura  »  I confini dell’acqua. Fotopoesie, di Valentino vitali, Carmen Lama, pubblicato da Youcanprint e recensito da Patrizia Sardisco 10/12/2022
 
I confini dell’acqua. Fotopoesie - Valentino Vitali, Carmen Lama -Youcanprint - Pagg. 134 - ISBN 9791221436594 - Euro 20,00


D’un istante perfetto


Non lumi di memoria né ricordi

ma solo la bellezza dell’istante

che non si perderà

incastonato com’è fra cielo e lago


mentre vagano gli occhi alla ricerca

dello sguardo poetico che ha colto

lo stupore il silenzio l’abbandono



Anche se il lemma non compare nei vocabolari (e non soltanto in quelli italiani), il termine fotopoesia e le sue molteplici varianti – tra tante: fotopoema, fotopoetry, fotoverso, fotograffiti, – vengono ormai da lungo tempo impiegati per designare una forma d'arte in cui poesia e fotografia, poste su un piano di pari dignità, si intrecciano simbioticamente per dar vita a un prodotto artistico nuovo, originale, complesso e unitario al tempo stesso. 


La prima attestazione dell’uso della parola si fa risalire al 1936, e per quanto l’accostamento tra immagini e versi sia già ampiamente praticato, la sua presenza nel titolo di una raccolta (Photopoems: A Group of Interpretations through Photographs  di Constance Phillips) offre al termine una indiscutibile legittimazione.


Sin dalle esperienze pionieristiche delle avanguardie novecentesche, poi riprese con interesse crescente dalla fine degli anni ’50, si osserva come e quanto gli artisti subiscano il fascino dell’interlinguaggio, derivandone sempre nuove posture nei confronti della realtà e raffinando strumenti per operare feconde intersezioni tra le arti. È indubbio che la pratica fertile delle contaminazioni tra discipline artistiche abbia contribuito a sfumarne i contorni, lasciando emergere aspetti di sorprendente continuità al di là degli steccati categoriali.


In generale, gli studi che nel corso del Novecento affrontano le questioni messe in campo da questo genere di fenomeni artistici, anche muovendo da vertici e prospettive diverse, pongono comunque l’accento sull’importanza di non limitarsi a pensare alla ‘con-fusione’ delle arti come a mere sovrapposizioni o giustapposizioni, come esito di una semplice sommatoria, ma di coglierne la costituiva natura di eventi dotati di nuova e diversa dinamicità, interattività, imprevedibilità, ed esortando a pensarle come vere e proprie simultaneità produttive, secondo l’espressione che Adriano Spatola utilizza nel suo celebre saggio Verso la poesia totale (1969).


Non difformemente, del resto, pur non muovendo da interessi estetici quanto piuttosto di ordine conoscitivo, nel campo degli studi sperimentali sulla percezione la Psicologia della Gestalt perveniva già a inizio secolo a conclusioni analoghe, quando affermava che il tutto è più della somma delle parti, sancendo definitivamente un principio che avrebbe mostrato la propria forza investendo ogni ambito culturale e ponendosi come premessa a ogni discorso sulla complessità.


Ed è proprio avendo bene in mente tale stimolante complessità che si offriranno giusto ascolto e aperto sguardo al libro di Valentino Vitali e Carmen Lama, dichiarata e ottimamente compiuta opera di fotopoesia, affascinante simbiosi di luce e parole, di immagini visive e verbali, intreccio originale di immediatezza visiva e condensazione semantica.


Se è vero che nella fotografia come nella poesia il significato non è mai fissato definitivamente e, soprattutto, non è contenuto esclusivamente all’interno dell’opera ma dipende invece (anche) da un fruitore che – ne abbia coscienza o no – lo costruisce e ricostruisce in base a un numero inafferrabile di fattori, tra i quali la propria sensibilità, la cultura, il contesto, lo stato d’animo, etc., nella fotopoesia la natura dell’interazione tra foto e testo poetico dilata ulteriormente il potenziale semantico dell’immagine e quella silenziosa pensosità di cui parla Byung-Chul Han ne La salvezza del bello (2019), ne rivela il nascondiglio, dispiega senza spiegare, e, contemporaneamente, offre enfasi all’istantaneità del testo poetico e alla sua densità.


Esattamente come raccomandato nel «Manifesto di fotopoesia», esito delle interessanti collaborazioni tra Robert Crawford e Norman McBeath, rispettivamente poeta e fotografo britannici, così come le fotografie non dovranno porsi quali illustrazioni dei testi poetici ma opere d’arte che risuonano insieme a essi, le poesie siano ben lungi dall’essere mere descrizioni delle immagini.


Qui, in particolare, la poesia di Carmen Lama, dettato trasparente, eleganza formale ricercata e raggiunta dentro forme chiuse che rivelano un orecchio affinato da letture vaste e lungamente meditate (e che, per inciso, richiamano alla mente la “cornice” fotografica) non è mai ancillare didascalia dell’immagine che, al contrario, con assertiva pacatezza, illumina mentre se ne lascia illuminare.

I temi rappresentati – l’inesausta aspirazione alla bellezza, la cattura dell’istante, l’umanissima tenzone con il tempo, il suo inarrestabile fluire, e, su tutto, il paesaggio, segnatamente quello lacustre, un paesaggio che, zanzottianamente, è anche «orizzonte psichico» – emergono nell’armonico rincorrersi di versi e luce, insieme agli interrogativi fondamentali sulla percezione visiva, sullo scarto irriducibile tra visione e sguardo, tra realtà e immagine. La poesia talora riflette su sé stessa, sul privilegio della meraviglia, sulla propria responsabilità; si arrovella sul rapporto tra parola e cosa: «Scrivo “pozzanghera”/e già si muove un riflesso di luce/nell’acqua fangosa che forma la parola/che “è” la stessa parola». Nel farsi sempre più sfumato dei confini «fra soggetto e oggetto», tra sé e mondo – sono confini d’acqua, del resto, che, già a partire dal titolo della raccolta, ossimoricamente sfuggono alla presa – l’io lirico sembra maturare una nitida visione metapoetica: «La trasparenza della fotografia/è uno sguardo che si spinge lontano/(…)/talvolta con serendipità/scopre angoli nascosti/porta alla luce dei veri tesori», recita un testo particolarmente pregnante.


«Il rapporto tra poesia e fotografia è di rottura e serendipità, appropriazione e scambio, evocazione e metafora», scrive Michael Nott nel suo saggio Photopoetry, 1845 – 2015. A critical history (2016): quella di Lama è dunque una netta dichiarazione di poetica. Mentre i suoi versi e la fotografia evocativa di Vitali portano in scena, appropriandosene, la sensuale bellezza dei luoghi ritratti («sono questi i miei luoghi», scrive la poetessa), si occupano simultaneamente di ciò che è visibile e di quanto non lo è. Le parole che Antonio Prete dedica al saggio di Yves Bonnefoy, Poesia e fotografia (2014) lo spiegano con invidiabile chiarezza: «(…) nell’implacabile rivelazione del caso, della nuda materia, dell’assenza che la fotografia ha introdotto, ci può essere, grazie all’alleanza tra lo sguardo del poeta e lo sguardo del fotografo, una nuova presenza, un nuovo tempo. Un’immagine salvata. Il nulla non avrà trionfato».

 

Patrizia Sardisco



 
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