Il
cantore delle piccole realtà
di
Renzo Montagnoli
Ai
bagliori, ma anche all'anonimato, della grande città, si contrappone
la vita più quieta, non per questo però monotona, della provincia.
Un
ambiente ridotto, dove ci si conosce tutti, offre, all'occhio attento
di uno scrittore, un'indubbia opportunità di osservazione e di
spunti sui vari personaggi che lo popolano. Accade così che vicende
reali diventino il filo conduttore di una narrativa che conserva nel
tempo un fascino del tutto particolare.
Nell'ambito
della letteratura italiana il cantore di questa vita solo
apparentemente scialba è stato soprattutto Piero Chiara.
Nato
nel 1913 a Luino, da padre siciliano, e morto
nel 1986 a Varese, Piero Chiara ci ha lasciato un
patrimonio letterario di notevole qualità. E se oggi sembra che ci
si sia dimenticati di lui è solo perché si è stati indotti a
considerarlo lo scrittore di un particolare periodo. Ma le sue
storie, collocate fra gli anni immediatamente antecedenti e quelli
appena successivi alla seconda guerra mondiale, non hanno tempo,
perché lo spirito di una piccola realtà, nonostante l'avvento della
televisione e di internet, è rimasto sostanzialmente invariato.
Non
è possibile ignorare il talento di un autore che è riuscito a
narrarci così bene quelle piccolezze proprie delle ridotte comunità,
con uno stile inconfondibile, capace di cogliere, nel quotidiano,
l'essenza della vita.
Nello
scorrere le pagine dei suoi romanzi si avverte netta la sensazione di
trovarsi di fronte a personaggi in carne ed ossa, cioè realmente
esistiti, tipologie di individui che possiamo riscontrare anche nella
realtà della nostra provincia, uomini e donne non soggetti anonimi,
non parte della folla della grande città, ma esseri ben
individuabili nel contesto sociale e con un preciso ruolo,
indispensabili per l'esistenza di quel piccolo mondo.
In
loro, i difetti e i pregi sono lo specchio dell'ambiente di cui fan
parte. Conoscete loro e vivrete in quell'ambiente; amateli,
anche i più disprezzabili, e scoprirete il senso della vita;
misuratevi con loro e vi accorgerete di quanto in comune con voi ci
possa essere.
La
provincia diventa così un palcoscenico dove i figuranti finiscono
con l'identificarsi con gli spettatori.
Piero
Chiara, per sua stessa ammissione, non guardò questo mondo
dall'alto, ma lo osservò su un piano orizzontale, facendone parte,
oziando al bar, fra una partita a carte e una a biliardo.
Da
questa esperienza emergono personaggi normalissimi, ma estremamente
rappresentativi, veri emblemi di una realtà che l'occhio troppo
veloce dei giorni nostri non riesce più a scorgere.
Troviamo
così ne "Il
piatto piange" figure
memorabili, come il biscazziere Sberzi, un uomo per cui la vita
è il gioco d'azzardo, al punto che arriva a mettere in
palio se stesso, oppure l'anonimo Camola, disegnato con un'arguzia
tanto sottile da farlo diventare un protagonista di primo piano; e
non è possibile dimenticare il Tolini,
l'immancabile tombeur des femmes, né Mammarosa,
la tenutaria del bordello, una vera e propria istituzione, una donna
dipinta con dolcezza, perché tutti hanno un loro posto nella realtà
del mondo.
In
Chiara il vincolo delle origini, di quelle quattro case in riva al
Lago Maggiore è così forte da considerarle un rifugio sicuro,
l'oasi nel deserto di un mondo di incertezze, la stessa oasi a
cui probabilmente finirà con il ritornare anche il protagonista
di Vedrò
Singapore?, un
altro romanzo con personaggi vivi che sembrano uscire dalle pagine,
figure rassegnate in un'esistenza grigia tuttavia preferibile al non
esserci. Sì, e infatti così scrive dell'aspirante
prostituta Ilde " Era
lei, la Ilde, a quarant'anni, che veniva dall'avvenire, dal
futuro, a dirmi che la vita è quella che è, orribile, ma
sopportabile. ".
Il
fascino della provincia raggiunge in Chiara il suo apice con La
stanza del vescovo,
un giallo in cui l'analisi psicologica dei protagonisti e l'esame
attento dell'ambiente danno un quadro di una realtà brumosa, di una
vita in cui si crede di sapere tutto di tutti e poi si finisce con
l'ammettere di non sapere niente di se stessi. E' l'opera più
fortunata , quella che avrà anche una felice trasposizione
cinematografica e forse è la sua più riuscita. Qui, più che in
altre, l'autore ci fa percepire l'atmosfera sospesa del
paese, quell'indeterminatezza che regna sovrana ovunque, ma che
nella grande città sfugge, travolta dai tempi accelerati, dalla
corsa vorticosa nella ricerca velleitaria della felicità.
Sì,
la provincia ha un suo fascino particolare perché permette di
essere protagonisti nel ritmo lento di ogni giorno.
Non
citare le altre opere di Chiara sarebbe fargli un torto; tutti lavori
meticolosi, scritti con giusto equilibrio e anche
quando vengono affrontati argomenti di carattere sessuale
la facile volgarità è sempre assente.
Ci
sono le raccolte di racconti, vere e proprie chicche, come L´uovo
al cianuro e altre storie,
con l´esilarante vicenda del comizio di Augusto Turati, segretario
del Partito Nazionale Fascista, le malinconiche prose di Il
capostazione di Casalino,
scritte quando ormai è preda della malattia che lo porterà alla
morte, oppure i due brani di cui il più noto è l´irriverente
Sotto
la Sua mano.
Però,
finché la salute lo assiste, la sua preferenza va ai romanzi, e fra
questi ce ne sono un paio indimenticabili, come i loro protagonisti,
e mi riferisco all´Emerenziano Paronzini di La
spartizione,
un impiegato che si deve dividere fra tre donne, e l´inimitabile
Anselmo Bordigoni di Il
balordo,
soprannominato il Buon Cazzone, un personaggio dalla profonda
umanità. Per quanto forse superfluo anche l´ambientazione di
queste storie è in riva al lago Maggiore e del resto la provincia è
sempre protagonista ne Il
pretore di Cuvio,
un romanzo imperdibile ma che purtroppo non si riesce più
a trovare nelle librerie, oppure in Una
spina nel cuore,
una storia d'amore di una delicatezza unica.
Con Il
cappotto di Astrakan Chiara
lascia il paese per la grande città, addirittura Parigi, dove
tuttavia l'analisi psicologica dei personaggi indugia nel quartiere,
in un esercizio raffinato per una storia di grande respiro.
Fra
tanti romanzi Chiara trovò anche il tempo di scrivere la biografia
di un personaggio che non poteva non destare il suo interesse, e mi
riferisco a Gabriele D´Annunzio, lavoro anche questo assai
riuscito.
Nella
sua produzione è presente pure il genere giallo, e così oltre al
già citato La
stanza del vescovo,
troviamo Saluti
notturni dal Passo della Cisa
e, soprattutto, uno dei thriller più belli mai scritti in Italia,
I giovedì della Signora Giulia.
La trama, per quanto tipica di questo genere, risulta impreziosita
dall'ambientazione provinciale, da un assai ben riuscito ritratto
delle debolezze umane, con personaggi che non potranno non restare
nella memoria del lettore.
La
provincia a Chiara ha dato tanto, il suo fascino ha forgiato la sua
creatività, ma lo scrittore ha saputo contraccambiare con un omaggio
imperituro a una realtà che ogni giorno tende a sfumare sempre di
più in una succursale della grande città, una sorta di periferia
estrema, che nello spirito, tuttavia, si oppone all'essere
inglobata in un anonimo circuito dell'esistenza.