UMBERTO SABA
L a c a l d a v i t a
d e l l a
p o e s i a
a cura di Fabrizio Manini
Inizialmente
il titolo dell'opera omnia delle poesie di Saba avrebbe dovuto essere Chiarezza
(poiché, come dirà egli stesso, la poesia è chiara come la verità), ma poi la scelta
cadde più classicamente su Canzoniere. Tuttavia il titolo iniziale, mai
utilizzato, è adattissimo alla sua poetica, in quanto ne sintetizza gli intenti
e le modalità espressive; i suoi versi, in un periodo d'avanguardia e di
sperimentalismo letterario teso ad un profondo rinnovamento della poesia,
sembrano quasi al sevizio delle parole che li
compongono, al fine di poter comunicare, in modo chiaro e senza equivoci, con
tutti gli uomini. Il pubblico di Saba era quindi vasto il più possibile (o
almeno questo era il suo scopo), ma non soltanto: egli, prima ancora che poeta,
voleva far parte di questo pubblico, abbracciarne i sentimenti, condividerne i
gusti, partecipare metaforicamente al suo entusiasmo. E'
infatti questo ciò che afferma nel suo primo testo di poetica, Quello
che resta da fare ai poeti: i letterati del verso (come ama definirli lui)
avrebbero dovuto produrre “la poesia onesta”, cioè non legata alla forma, né ad
una particolare corrente; in altre parole Saba riteneva che un poeta non dovesse
lasciarsi sopraffare dalla propria ispirazione (come accadeva per la scrittura
estetica del d'Annunzio), né perdere la fiducia nelle parole di essere un
tramite di verità e sentimento (come invece sostenevano i futuristi).
Nonostante gli anni Trenta quando l'ermetismo era predominante, sulla scia
delle Occasioni (1939) di Montale o del Sentimento del Tempo (1933)
di Ungaretti e in un periodo di scuole e di tendenze, egli rimase fedele alla
sua poetica personale, che a tutt'oggi lo rende subito riconoscibile. Questa
sua singolare posizione è dovuta in particolare a due motivi: l'essere nato a
Trieste, città culturalmente marginale per le novità dell'italico pensiero
poetico, e gli studi, avvenuti quasi esclusivamente sui classici italiani. Saba
amò fin da piccolo soprattutto Dante, Petrarca, Foscolo, Leopardi e Manzoni
(sul quale espresse anche alcune riserve stilistiche); in un certo senso si può
dire che “saltò” qualche secolo di storia letteraria per andare ad attingere
direttamente alla fonte pura della tradizione, ignorando i richiami alle novità
più trasgressive del suo tempo; propria al contrario degli altri poeti italiani
dell'epoca che intendevano spazzar via quella tradizione. A causa di questo
atteggiamento autonomo e anticonformista, Saba pagò un prezzo alto, almeno nei
primi anni dia attività: pubblicò i primi due libri, Poesie (1911) e Coi
miei occhi (1912), a proprie spese ed entrambi ebbero una fredda
accoglienza dalla critica; per questo motivo la sua notorietà, per diversi
anni, ne risentì parecchio. Soltanto a lungo andare le sue tematiche e la sua
coerenza stilistica furono rivalutate: dalla metà degli anni Quaranta fino alla
morte (1957) iniziò a ricevere importanti riconoscimenti, come la vincita del
prestigioso premio Viareggio nel 1946.
Il primo
vero titolo, Coi miei occhi, sta ad indicare che la poesia di Saba è
autobiografica; tuttavia, a differenza del d'Annunzio
che scrive per un bisogno narcisistico di affermazione personale, i suoi versi
sono “onestamente sentiti”, come una sorta di garanzia di autenticità dei testi
che rispettano la verità e quindi anche i suoi stessi lettori. In molti scritti
divenuti poi celebri, come La capra o Città vecchia, il poeta,
con realismo autobiografico, prende spunto da un fatto o da un'abitudine (come
la passeggiata per i vicoli malfamati di Trieste o l'incontro con una capra)
per descrivere gli aspetti che accomunano gli uomini, o addirittura ogni essere
vivente: le gioie semplici, le speranze quasi sempre deluse, i sentimenti
autentici, le lacrime e, sopra ogni cosa, il dolore, quell'esperienza davvero
livellante e affratellante perché ripetitiva, onnipresente, universale e
riconoscibile in ogni creatura. Ciò che incanta Saba è l'incontro con la “calda
vita” nei suoi aspetti più umili, tanto che nel degrado esistenziale, tra le
prostitute, i vecchi bestemmiatori e le trincee, trova e riconosce la presenza
di Dio.
Nei suoi
tesati Saba dedica grande spazio agli affetti familiari, traducendo in versi
l'amore per la moglie Carolina, per la figlia Linuccia,
per la sua città, Trieste, amata come una donna e fonte della sua stessa vita.
Nelle poesie dedicate a questi tre “personaggi” femminili (A mia moglie,
Ritratto della mia bambina, Trieste ed altre ancora) egli raggiunge il
culmine delle sue capacità retoriche, armonizzando un linguaggio semplice,
quasi parlato, con un lessico elegantemente letterario. Questa fusione,
difficilissima ma perfettamente riuscita, mostra l'autenticità dei sentimenti
che traspare dai suoi versi e, allo stesso tempo, semplifica la complessità
della costruzione stilistica, conferendo all'organicità del testo una
leggerezza e una fluidità uniche nella poesia italiana contemporanea.
Nei testi
che vi propongo appare uno dei tratti più significativi e caratterizzanti della
poesia di Saba: l'accostamento, talvolta anche antitetico, fra vocaboli della
lingua parlata, semplici e poco poetici, con parole raffinate, già utilizzate
da illustri autori e per questo cariche di molte sfumature di significato,
riferibili ognuna ad un particolare aspetto percettivo o emotivo.
Riferimenti:
introduzione a Saba, La malinconia amorosa, ed. Fabbri
TRIESTE
Ho attraversata tutta la città.
Poi ho salita un'erta,
popolosa in
principio, in là deserta,
chiusa da un
muricciolo:
un
cantuccio in cui solo
siedo; e mi
pare che dove esso termina
termini la
città.
Trieste ha una scontrosa
grazia. Se
piace,
è come un
ragazzaccio aspro e vorace,
con gli
occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare
un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua
via
scopro, se mena
all'ingombrata spiaggia,
o alla
collina cui, sulla sassosa
cima, una
casa, l'ultima, s'aggrappa.
Intorno
circola ad ogni
cosa
un'aria
strana, un'aria tormentosa,
l'aria
natia.
La mia città che in ogni parte è
viva,
ha il
cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e
schiva.
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RITRATTO DELLA MIA BAMBINA
La mia bambina con la palla in mano,
con gli
occhi grandi colore del cielo
e
dell'estiva vesticciola: “Babbo
-mi
disse- voglio uscire oggi con te”.
Ed io pensavo: Di tante parvenze
che
s'ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia
bambina assomigliare.
Certo alla schiuma, alla marina
schiuma
che
sull'onde biancheggia, a quella scia
ch'esce
azzurra dai tetti e il vento sperde;
anche alle
nubi, insensibili nubi
che si fanno
e disfanno in chiaro cielo;
e ad altre
cose leggere e vaganti.
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