Abbiamo sempre vissuto nel
castello
di Shirley Jackson, Adelphi
Arsenico & Nuovi Merletti
«Mi chiamo Mary Katherine Blakwoord.
Ho diciotto anni e abito con mia sorella Constance.
Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro,
perché ho il medio e l'anulare della stessa lunghezza,ma
mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani e il rumore. Le mie
passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di
Leone e l'Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli
altri membri della famiglia sono tutti morti». Così esordisce la protagonista,
voce narrante, nell'incipit del romanzo della
statunitense Shirley Jackson (1916-1965), inedito in Italia, pubblicato negli States nel 1962, intitolato«Abbiamo sempre vissuto nel
castello» (Titolo originale: «We Have
Always Lived in the Castle», pp.182, euro 18) che Adelphi, intento a curare
l'opera omnia dell'autrice, ci propone ben tradotto da Monica Pareschi.
Chi già aveva apprezzato «L'incubo di Hill House» (2004) e «La lotteria»
(2007), annoverati tra i classici del terrore americani, ritrova in queste
nuove pagine tutta l'inquietudine e il diffuso, quasi impalpabile disagio che la Jackson sa instillare
nell'animo del lettore, creando atmosfere sussurrate, perché - come rilevava a
suo tempo Stephen King - «questa scrittrice non ha bisogno di gridare e non ha
mai alzato la voce nei suoi libri».
Mary Katherine (detta Marricat) vive con l'amatissima
sorella Constance e lo zio invalido Julian che ha la testa volta al passato, come se l'avvenire
non gli appartenesse. Recluse in una grande casa, le due
sorelle conducono un'esistenza ripetitiva dove la loro vita si reitera con
l'andamento di un disco inceppato, estranee a un mondo esterno che le odia
temendole e le dileggia con la crudele filastrocca: «Marricat,
disse Connie, tè e biscotti: presto, vieni/Fossi
matta sorellina, se ci vengo m'avveleni».
Sei anni prima la cena servita da Constance nella
grande sala da pranzo della bella casa era stata mortale per tutti gli altri
membri della famiglia. Strage che aveva risparmiato solo le due sorelle e lo
zio invalido. Nessun colpevole. Fu un incidente. I sopravvissuti continuano la
loro solita routine dentro casa, fatta di buoni pranzetti, giardinaggio. Qui
continuano i riti della diciottenne dall'animo infantile che esorcizza il mondo
esterno con incantesimi. Fuori c'è la gente normale che le sorelle si sforzano
di ignorare. Un brutto giorno si fa vivo Charles, un cugino che sembra contaminare
la claustrale vita delle sorelle. Leggendo queste pagine, l'ondata del terrore
sale piano, subdola, oscillando tra fiaba dark e tragedia, presi come siamo
fino all'ultima riga, dal racconto mormorato del mondo incredibile di due
sorelle tanto incantevoli, quanto stravaganti che avrebbero fatto ottima figura
anche nel film di Frank Capra, tanto sono vicine allo spirito e alla levitas di «Arsenico e vecchi merletti».
Impossibile, comunque, riassumere il climax dell'inquietudine che sale lenta di
pagina in pagina, non il terrore dei mostri, dei fantasmi, ma l'angoscia che
convive con gli esseri umani nella loro totalità, il Male tanto più allarmante
in quanto non attribuito soltanto ai conclamati cattivi, ma
volto a permeare la vita stessa, inquinandola quasi dolcemente.
Grazia Giordani
www.graziagiordani.it