Dicono di Clelia
di Remo Bassini
Ugo Mursia
Editore
Narrativa romanzo
Pagg. 180
ISBN: 88-425-3566-4
Prezzo: € 14,00
Difficile definire questo libro. Non è un giallo, non è un romanzo
d'amore, è una ricerca esistenziale di sé nella voce narrante dei protagonisti.
Fili si intersecano in mille trame che conducono e riportano tutte ad un'unica
persona: Clelia. Chi è Clelia?
” Clelia
chi sei? Chi sei
veramente? Sono confuso, perché non riesco a darmi una spiegazione, non ci
capisco più nulla… Oggi invece hanno cercato di convincermi che tu non sei più
la stessa…”
Tutto ruota in un contesto di vita quotidiana, dove tutti i protagonisti
sognano e hanno il desiderio di un grande amore che li possa catapultare fuori
dal grigiore di un quotidiano che, in certi momenti, sembra calzare troppo
aderente e soffocante, ma nessuno di loro ha il coraggio di osare oltre i
sogni, solo Clelia osa e
rischia fino a compromettere parte della sua vita, pagandone tutte le
conseguenze che ne derivano.
Un quarantenne in crisi matrimoniale che vorrebbe
ritrovare intatto un passato ormai perso.
Un padre carogna che per leggerezza rischia di rovinare per sempre il rapporto
con la sua unica figlia, luce dei suoi occhi, ma che ha ferito e deluso
profondamente. In proposito sono meravigliose le lettere inviate da
quest'ultimo.
Un maresciallo dei carabinieri che si lascia avvinghiare e coinvolgere da due gambe stupefacenti fino ad appassionarsi profondamente
alla storia di un certo Romolo Rappelli: scaverà nella sua vita e arriverà a
toccare con mano un amore tanto profondo quando devastante.
Con maestria Bassini descrive la fragilità di donne
graffiate dalla vita e costrette ad annaspare pur di andare avanti cercando di
fottere quelle stessa vita che un tempo le aveva fottute.
” Fra due ore ho
appuntamento con l'avvocato. Posso stare ancora un po' qui, chiusa in macchina, a guardare
l'acqua del fiume che scorre ascoltando la radio. Ci vengo spesso qui. A
quest'ora i pescatori e quelli che portano i cani a correre sono andati a casa
a mangiare mentre per le coppiette c'è ancora troppa luce.
Ci sto bene qui: questi alberi che ogni
tanto il fiume inghiotte mi ricordano chi sono.
A 17 anni, il sabato sera ci venivo con quella che, ora, è la
crema di questa città. Un bel gruppo, gente che ha fatto strada: medici,
architetti, avvocati, un prete anche. Io ero bella, povera e soprattutto scema:
sono andata con tutti, tutti poi mi hanno scaricata. Ora qualcuno di loro mi
cerca, vuole qualche mia ragazza. Si fottano quei bastardi, sopporto solo
Gianni, che è diventato un povero alcolizzato dopo quella notte che, ubriaco,
ha investito e ammazzato una ragazzina in motorino. Pure lui mi ha scopata,
però almeno adesso si vergogna del suo passato.
Bastardi, avevano dieci anni più di me,
avevano tutti le fidanzate, però si era sparsa la voce che Aldina era
disponibile. “Aldina scopatina” ero stata
soprannominata, ma questo l'ho saputo solo anni dopo, da Gianni. Allora ero
disposta a tutto pur di trovare marito perché non volevo restare con i miei
genitori e i miei tre fratelli maschi, in una casa umida dove la sera mio
padre, appena finito di mangiare, si metteva davanti alla televisione con un
bottiglione di vino, poi beveva, ruttava, si ubriacava e la mamma lì, a
stirare, a cucire, a togliergli le scarpe quando lo sentiva russare. Ero stufa
della puzza dei calzini di mio padre e delle sue sberle ed ero certa che non
sarei diventata una donna delle pulizie come mia madre. Ho cominciato a vivere
quando sono scappata di casa per fare la puttana. Quelli ricchi mi avevano
presa in giro, quelli poveri come i miei fratelli non li volevo: ero
terrorizzata di fare la fine di mia madre che a 40 anni, grassa e sfatta,
sembrava già da ricovero.
Sono brava io a far l'amore. Ho 52 anni
ma credo che continuerò a essere appetibile per altri dieci. Sono brava a far
l'amore e piaccio: certo, col passare del tempo sono stata costretta ad andare due
volte dal chirurgo, che però mi ha solo tolto un po' di doppiomento
una volta, e ritoccato il naso, tre mesi fa. Sono brava con gli uomini. La mia
pelle è ancora giovane, liscia, forse perché faccio attenzione a cosa mangio,
forse perché fumo solo cinque sigarette al giorno, forse perché dormo tanto e
bevo acqua in continuazione. Ho imparato a farli impazzire gli uomini, anche
perché produco tanto liquido: loro, quando fanno l'amore con me, pensano di
essere bravi dal momento che io mi bagno così tanto. Stronzata: mi è sempre
successo così, anche andando con qualche cesso.
Con quel ciccione dell'avvocato per
esempio: è venuto da me diversi anni fa, perché non sapeva dove sbattere la
testa. Sposato da anni, aveva perso la testa per la sua segretaria, poi però,
dopo settimane e settimane di tentativi, non era mica riuscito a far l'amore
con lei. Sono fragili gli uomini, fragili e stronzi. Anche
Mario lo è: licenziò la segretaria e tornò dalla moglie: meglio fottere senza
troppo entusiasmo che non fottere per nulla. Solo che il problema gli è
rimasto e, allora, disperato si è rivolto a me. Quando ci siamo incontrati la
prima volta mi ha raccontato tutto, ma tutto tutto: ero l'ultima spiaggia. Ero anche il suo
confessore. Aveva già provato con l'ipnosi, con la respirazione yoga, con vari
specialisti. Per non parlare dei soldi che aveva dilapidato nei night, anche in
Svizzera. Non gli era servito a niente: l'ansia da prestazione, la paura di non
riuscire a fare l'amore li paralizza gli uomini. Sudano freddo, sono disposti a
tutto pur di tornare normali. Io con Mario ci sono riuscita. E' facile. Le
prime volte c'è bisogno di tanto tempo. Loro sono lì, incapaci di avere
un'erezione solo perché inchiodati dalla paura. Occorre essere brave con le
mani: meglio accarezzarli sulle spalle, sulla schiena, sulla testa; guai a
toccarli lì, dove loro, stupidamente, sono concentrati. Quello che non funziona
è la loro testa: perché è imprigionata nelle loro mutande. Per sbloccarli
bisogna parlare, dire cose che possano eccitarli, ma la maggior parte delle
volte è meglio parlare di un argomento qualsiasi mentre li
si bacia e li si accarezza ripetutamente, con calma, magari ai piedi oppure nel
sedere; poi succede che, improvvisamente, dimenticano di essere paralizzati
dalla paura e tornano a correre, tornano stronzi appena vedono che il coso
funziona ancora. Prima almeno, quando hanno il terrore negli occhi, capisci che
stanno toccando con mano cosa vuol dire stare male, maledettamente male.
No avvocato, questa sera non ti racconterò
nulla di Clelia. Dì un po' avvocato, la tua
segretaria perché l'hai licenziata? Perché sei come loro, come quelli che
trentacinque anni fa se la sono spassata con me, là dietro quegli alberi. Di Clelia meno si sa e meglio è.”
Descrizioni lineare e senza fronzoli, una scrittura semplice che arriva a coinvolgere
e intrigare il lettore fino alla fine.
Katia Ciarrocchi