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  Letteratura  »  Dicono di Clelia, di Remo Bassini, edito da Mursia e recensito da Katia Ciarrocchi 30/04/2009
 

Dicono di Clelia

di Remo Bassini

Ugo Mursia Editore

Narrativa romanzo

Pagg. 180

ISBN: 88-425-3566-4

Prezzo: € 14,00

 

 

Difficile definire questo libro. Non è un giallo, non è un romanzo d'amore, è una ricerca esistenziale di sé nella voce narrante dei protagonisti. Fili si intersecano in mille trame che conducono e riportano tutte ad un'unica persona: Clelia. Chi è Clelia?
Clelia chi sei? Chi sei veramente? Sono confuso, perché non riesco a darmi una spiegazione, non ci capisco più nulla… Oggi invece hanno cercato di convincermi che tu non sei più la stessa…
Tutto ruota in un contesto di vita quotidiana, dove tutti i protagonisti sognano e hanno il desiderio di un grande amore che li possa catapultare fuori dal grigiore di un quotidiano che, in certi momenti, sembra calzare troppo aderente e soffocante, ma nessuno di loro ha il coraggio di osare oltre i sogni, solo Clelia osa e rischia fino a compromettere parte della sua vita, pagandone tutte le conseguenze che ne derivano.
Un quarantenne in crisi matrimoniale che vorrebbe ritrovare intatto un passato ormai perso.
Un padre carogna che per leggerezza rischia di rovinare per sempre il rapporto con la sua unica figlia, luce dei suoi occhi, ma che ha ferito e deluso profondamente. In proposito sono meravigliose le lettere inviate da quest'ultimo.
Un maresciallo dei carabinieri che si lascia avvinghiare e coinvolgere da due gambe stupefacenti fino ad appassionarsi profondamente alla storia di un certo Romolo Rappelli: scaverà nella sua vita e arriverà a toccare con mano un amore tanto profondo quando devastante.
Con maestria Bassini descrive la fragilità di donne graffiate dalla vita e costrette ad annaspare pur di andare avanti cercando di fottere quelle stessa vita che un tempo le aveva fottute.
” Fra due ore ho appuntamento con l'avvocato. Posso stare ancora un po' qui, chiusa in macchina, a guardare l'acqua del fiume che scorre ascoltando la radio. Ci vengo spesso qui. A quest'ora i pescatori e quelli che portano i cani a correre sono andati a casa a mangiare mentre per le coppiette c'è ancora troppa luce.
Ci sto bene qui: questi alberi che ogni tanto il fiume inghiotte mi ricordano chi sono.

A 17 anni, il sabato sera ci venivo con quella che, ora, è la crema di questa città. Un bel gruppo, gente che ha fatto strada: medici, architetti, avvocati, un prete anche. Io ero bella, povera e soprattutto scema: sono andata con tutti, tutti poi mi hanno scaricata. Ora qualcuno di loro mi cerca, vuole qualche mia ragazza. Si fottano quei bastardi, sopporto solo Gianni, che è diventato un povero alcolizzato dopo quella notte che, ubriaco, ha investito e ammazzato una ragazzina in motorino. Pure lui mi ha scopata, però almeno adesso si vergogna del suo passato.
Bastardi, avevano dieci anni più di me, avevano tutti le fidanzate, però si era sparsa la voce che Aldina era disponibile. “Aldina scopatina” ero stata soprannominata, ma questo l'ho saputo solo anni dopo, da Gianni. Allora ero disposta a tutto pur di trovare marito perché non volevo restare con i miei genitori e i miei tre fratelli maschi, in una casa umida dove la sera mio padre, appena finito di mangiare, si metteva davanti alla televisione con un bottiglione di vino, poi beveva, ruttava, si ubriacava e la mamma lì, a stirare, a cucire, a togliergli le scarpe quando lo sentiva russare. Ero stufa della puzza dei calzini di mio padre e delle sue sberle ed ero certa che non sarei diventata una donna delle pulizie come mia madre. Ho cominciato a vivere quando sono scappata di casa per fare la puttana. Quelli ricchi mi avevano presa in giro, quelli poveri come i miei fratelli non li volevo: ero terrorizzata di fare la fine di mia madre che a 40 anni, grassa e sfatta, sembrava già da ricovero.
Sono brava io a far l'amore. Ho 52 anni ma credo che continuerò a essere appetibile per altri dieci. Sono brava a far l'amore e piaccio: certo, col passare del tempo sono stata costretta ad andare due volte dal chirurgo, che però mi ha solo tolto un po' di doppiomento una volta, e ritoccato il naso, tre mesi fa. Sono brava con gli uomini. La mia pelle è ancora giovane, liscia, forse perché faccio attenzione a cosa mangio, forse perché fumo solo cinque sigarette al giorno, forse perché dormo tanto e bevo acqua in continuazione. Ho imparato a farli impazzire gli uomini, anche perché produco tanto liquido: loro, quando fanno l'amore con me, pensano di essere bravi dal momento che io mi bagno così tanto. Stronzata: mi è sempre successo così, anche andando con qualche cesso.
Con quel ciccione dell'avvocato per esempio: è venuto da me diversi anni fa, perché non sapeva dove sbattere la testa. Sposato da anni, aveva perso la testa per la sua segretaria, poi però, dopo settimane e settimane di tentativi, non era mica riuscito a far l'amore con lei. Sono fragili gli uomini, fragili e stronzi. Anche Mario lo è: licenziò la segretaria e tornò dalla moglie: meglio fottere senza troppo entusiasmo che non fottere per nulla. Solo che il problema gli è rimasto e, allora, disperato si è rivolto a me. Quando ci siamo incontrati la prima volta mi ha raccontato tutto, ma tutto tutto: ero l'ultima spiaggia. Ero anche il suo confessore. Aveva già provato con l'ipnosi, con la respirazione yoga, con vari specialisti. Per non parlare dei soldi che aveva dilapidato nei night, anche in Svizzera. Non gli era servito a niente: l'ansia da prestazione, la paura di non riuscire a fare l'amore li paralizza gli uomini. Sudano freddo, sono disposti a tutto pur di tornare normali. Io con Mario ci sono riuscita. E' facile. Le prime volte c'è bisogno di tanto tempo. Loro sono lì, incapaci di avere un'erezione solo perché inchiodati dalla paura. Occorre essere brave con le mani: meglio accarezzarli sulle spalle, sulla schiena, sulla testa; guai a toccarli lì, dove loro, stupidamente, sono concentrati. Quello che non funziona è la loro testa: perché è imprigionata nelle loro mutande. Per sbloccarli bisogna parlare, dire cose che possano eccitarli, ma la maggior parte delle volte è meglio parlare di un argomento qualsiasi mentre li si bacia e li si accarezza ripetutamente, con calma, magari ai piedi oppure nel sedere; poi succede che, improvvisamente, dimenticano di essere paralizzati dalla paura e tornano a correre, tornano stronzi appena vedono che il coso funziona ancora. Prima almeno, quando hanno il terrore negli occhi, capisci che stanno toccando con mano cosa vuol dire stare male, maledettamente male.
No avvocato, questa sera non ti racconterò nulla di Clelia. Dì un po' avvocato, la tua segretaria perché l'hai licenziata? Perché sei come loro, come quelli che trentacinque anni fa se la sono spassata con me, là dietro quegli alberi. Di Clelia meno si sa e meglio è.”

Descrizioni lineare e senza fronzoli, una scrittura semplice che arriva a coinvolgere e intrigare il lettore fino alla fine.

Katia Ciarrocchi

 

 
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