Canti celtici
di Renzo Montagnoli
Prefazione
di Patrizia Garofalo
Immagine
di copertina e fotografie
all'interno
di Renzo Montagnoli
Elaborazione Grafica di Elena Migliorini
Edizioni
Il Foglio
http://www.ilfoglioletterario.it/
ilfoglio@infol.it
Collana Autori Contemporanei Poesia
Diretta
da Fabrizio Manini
Poesia
– poema
Pagg. 90
ISBN: 978-88-7606-162-2
Prezzo:
€ 10,00
Il ritmo dei grigi
Scalpitio di cavalli.
Colpi di zoccoli che si perdono.
Lontano.
Fra nebbie e vapori.
Svanite le eco, niente più
rimane.
Solo grigi indistinti, silenzio e quella pausa dei sensi
prossima alla morte. Prossima anche alla vita.
Nuova, segreta vita.
Leggere un libro
di poesie non è come leggere un romanzo.
No.
Prendere in mano un libro di poesie non è come prendere
in mano un romanzo.
Niente a che vedere.
Per leggere un libro di poesie c'è bisogno di tempo. O
meglio, c'è bisogno di “rarefare” il Tempo. Trovare quel momento magico in cui
la realtà – intorno a noi, dentro di noi – possa iniziare a sciogliersi.
Fondere come neve che l'invisibile calore della primavera trasforma in acqua.
Con lentezza, divina lentezza.
Con la stessa lentezza, dobbiamo trovare il tempo noi per
sgretolare il Tempo. Sgretolarlo. Rarefarlo. Farlo sciogliere. E, in quel luogo
spazio–temporale, tuffarsi.
Tutto, allora – se tutto è stato creato da un poeta –
diventa vero, presente. Anche un passato ormai morto, fatto rivivere su una
delle materie più fragili e sensibili che esistono: la carta. Carta che
incorpora e trattiene le tracce nere dell'inchiostro, come tatuaggi indelebili.
Carta che sa trattenere riproduzioni di foto in bianco e nero: riflessi.
Riflessi di reali paesaggi.
E se tutto intorno a noi, finanche nella nostra memoria,
non fosse che un magico e potentissimo gioco di riflessi?
Questo sembra dirsi a ogni riga, a ogni scatto il poeta–fotografo Renzo Montagnoli.
Gioco di riflessi e d'illusioni.
Divine illusioni in cui il Tutto si fa fluido, amniotico,
lontano e presente allo stesso tempo. Quel Tempo che, inesorabilmente, ad ogni
istante ci sfugge.
Le tracce nere delle parole possono render vivo un
passato che ci è sfuggito fra le dita, come la chioma bella d'una ninfa. Una
ninfa che ancora ci sorride.
Ancora e sempre.
Anche dietro quel velo di grigie trasparenze che mai
riusciranno a cancellare ciò che è stato.
L'eterna casa della realtà è il ricordo.
E se la realtà può sbiadire, i ricordi non sbiadiscono
mai.
Con l'andare del tempo diventano sempre più vivi e veri.
Più veri di ciò che ci circonda.
Ciò che ci circonda è fuori di noi, i ricordi sono
mescolati al nostro sangue, alla carne. Vivono, respirano con noi.
E se, uno dei segreti dello scrivere, soprattutto
scrivere poesie, fosse dar voce alle risonanze sempre
vive dei ricordi?
E se, avvicinarsi alla poesia – alla bella poesia, quella
che ci riscalda il cuore – non fosse nient'altro che
il tentativo di glissarsi, senza far rumore, in quel magico gioco di
chiaroscuri e trasparenze?
Chiudo il libro di Renzo e, in caratteri bianchi su nero
“Canti Celtici” mi balza allo sguardo poi, in un'aerea, aperta prospettiva, un
cielo luminoso di bianchi, grigi, celeste e sospetti
di viola mi conducono lontano.
Intanto, come per magia, ancora, distintamente sento,
vivi, presenti, colpi di zoccoli che s'allontanano e svaniscono in un agitarsi
d'ombre.
Ma io so che non sono immaginari cavalli e cavalieri che
s'allontanano fra castelli di blocchi di pietra e sterminate paludi.
No.
Questo pulsare è il riecheggiare in me del ritmo dei
versi di questi “Canti Celtici” che hanno saputo dar vita, battito, cardiaco a
ciò che non è più. Ciò che mai più sarà.
Eppure resta.
Giovanni Buzi