Il castello di Gradara
di Renzo Montagnoli
La costa
adriatica non è costituita solo da stabilimenti balneari o da centri di
villeggiatura assai conosciuti, ma presenta anche un entroterra di notevole
valore paesaggistico, storico e artistico. Al riguardo, ho voluto sperimentare
di persona nel corso di un breve soggiorno a Riccione e così ho deciso di
visitare Gradara, che non si trova in Emilia, bensì nelle Marche, per quanto
quasi a cavallo con il confine romagnolo.
Gradara
dista da Riccione una ventina di chilometri di una strada statale abbastanza
ampia, ma assai trafficata, l'Adriatica, che si percorre fin quasi dopo Gabicce, quando sulla destra c'è uno svincolo con
l'indicazione della nostra meta. La carreggiata si restringe un po', ma
diminuiscono anche i veicoli che vi transitano e in pochissimo tempo si arriva
al paese, ben dotato di parcheggi, di cui quelli più vicini alla Rocca sono a
pagamento con il classico parchimetro. Io e mia moglie, non per tirchieria, ma
per fare una sana passeggiata, ci siamo fermati in uno dei primi e da lì a
piedi, lungo una strada prima in leggera ascesa, poi più ripida, siamo arrivati
alla porta d'ingresso di Gradara.
Al riguardo
ricordo che il borgo antico è interamente circondato da mura, con i percorsi di
ronda ancora fruibili, previo pagamento di un biglietto.
La strada
principale interna conduce direttamente, dopo un breve percorso su cui si
affacciano ristoranti caratteristici e negozi di oggetto ricordo, al terrapieno
antistante il Castello di Gradara. Lì c'è la
biglietteria ove si paga il diritto di accesso al monumento, ben conservato (e
si capirà più avanti il perché) e famoso soprattutto per la tragica vicenda di
Paolo e Francesca.
Ritengo ora
necessaria un po' di storia, anche per inquadrare bene le caratteristiche di
questa vera e propria fortezza.
La
costruzione iniziò con una torre intorno al XII secolo per volontà di Pietro e Ridolfo De Grifo, che sottrassero la zona al comune di
Pesaro. Nella prima metà del secolo successivo, Malatesta da Verrucchio, detto il Centenario, con l'aiuto del papa si impossessò della torre dei De Grifo e ne fece il proprio
mastio intorno al quale venne costruito il castello, caratterizzato da tre
torri poligonali coperte e da ben tre ponti levatoi, in un disegno difensivo di
grande accuratezza che rese l'opera pressoché inespugnabile.
E' di quel
periodo la vicenda, vera, di Paolo e Francesca. Infatti, nel 1275 Guido da
Polenta decise di dare in sposa la figlia Francesca, che si dice fosse dolce e bellissima, a Giovanni Malatesta, detto Giangiotto,
giovane di pessimo carattere e per di più zoppo. Il motivo di tale sposalizio
sta nella riconoscenza del padre della fanciulla per
essere stato aiutato appunto dal futuro genero a cacciare i Traversari,
una famiglia che era nemica del suo casato.
Il decano,
Malatesta di Verrucchio, appunto il Centenario,
acconsentì, ma si aveva il fondato timore che Francesca rifiutasse di legarsi a
Gianciotto, perché bello non era, aveva un pessimo
carattere e inoltre presentava quel difetto fisico indubbiamente ben poco
gradito a una dama.
Per evitare
un eventuale rifiuto i Signori di Rimini e Ravenna
studiarono un inganno. Infatti inviarono a Ravenna
Paolo il Bello, fratello di Gianciotto, e tutto
all'opposto di questi. Per farla breve, Francesca, alla vista di quel bel
giovane, andò in estasi, tanto anche da non accorgersi, durante il rito
nuziale, che Paolo la sposava, ma in forza di procura, cioè a nome e per conto
del fratello che, si narra, s'infilò nottetempo sotto le coltri, così che la
povera sposina al risveglio quasi venne presa da un
colpo.
Ma come si
conviene nelle famiglie nobili fece buon viso a
cattiva sorte e accettò serenamente, almeno in apparenza, il suo destino, al
punto che ebbe dal marito una figlia.
Tuttavia,
capitava con una certa frequenza che il bel Paolo, proprietario di terre
prossime a Gradara, si recasse a visitare la cognata in gran segreto. Di ciò si
accorse un altro fratello, Malatestino dell'Occhio,
detto così perché aveva un occhio solo, ma che probabilmente vedeva bene e
intuiva anche meglio. Questi ne parlò a Gianciotto
che, un giorno di settembre del 1289, lasciata la camera da
letto, certo della presenza all'interno del castello di Paolo, fece
finta di andare con la sua scorta a Pesaro, come faceva sempre per esercitare
le sue funzioni di podestà, e invece ritornò sui suoi passi, utilizzò per
rientrare un percorso segreto, raggiunse la camera della sposa, aprì di colpo
la porta….
Dante, nel
quinto canto dell'inferno, ci dà una versione addolcita della vicenda, quasi
impregnata di romanticismo, ma se Gianciotto si infuriò cosi tanto da trafiggerli entrambi con la spada
non è improbabile che si sia trovato di fronte i due in atteggiamento
eloquente.
Noi leggiavamo un giorno per
diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate li
occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
A legger
Dante sembrerebbe si sia trattato solo di un fugace bacio, ma non è improbabile
che i due fossero andati più in là e che questo acuì il desidero
di vendetta di Gianciotto; questi era notoriamente
brutto, di pessimo carattere, zoppo e per giunta cornuto.
La vicenda attirò l'interesse nei secoli successivi di poeti, narratori e
pittori e ancor oggi è vibrante in questa sua aria di amore e morte, così che
quasi aleggia sul castello lo spirito di questa unione
tormentata, finita poi così tragicamente.
In
seguito al posto dei Malatesta arrivarono gli Sforza e nel 1494 il
castello vide fra le sue mura un'altra femmina fatale, bella, bionda, occhi
cerulei, giovanissima. Era accaduto che, nell'ambito
di una politica di consolidamento di alleanze, Giovanni Sforza aveva avuto la mano di Lucrezia Borgia, figlia del terribile
Papa Alessandro VI. L'unione durò poco,
nonostante l'accordo fra marito e moglie, ma
Alessandro VI, nei suoi continui piani di conquista
aveva bisogno di promettere in sposa la figlia ad altri e, poiché non sarebbe
stato possibile in quanto già coniugata, a Giovanni Sforza fu posta una
possibilità di scegliere: o non opporsi a che il matrimonio venisse annullato
(ma in tal caso sarebbe stato ucciso), oppure sottoscrivere una dichiarazione
di essere impotente. Fra le due secondo voi quale scelse?
Giovanni
salvò la pelle, anche se l'ex cognato Cesare Borgia si impossessò
del feudo di Gradara, ma per poco tempo, perché con la morte di Alessandro VI l'astro dei Borgia declinò rapidamente. A Gradara arrivò così Francesco Maria II della Rovere, nipote del
nuovo pontefice Giulio II.
A seguito del decesso della sua vedova Livia Farnese, la
rocca venne amministrata direttamente dal papato, che la concesse in enfiteusi
al conte Santinelli, poi agli Omodei
di Pesaro, indi agli Albani e infine, nella seconda metà del 1700, al conte
Mosca di Pesaro. Alla sua morte diventò di
proprietà comunale e infine nel 1877 fu ceduta al conte Morandi Bonacossi di Lugo.
Intanto
però tutto andava in rovina e fu provvidenziale nel 1920 l'acquisto, per Lire
tremilioni, da parte dell'Ing. Umberto Zanvettori di
Belluno. Quest'uomo profuse tutte le sue sostanze nel restauro dell'opera che
cedette, poco prima di morire, allo Stato Italiano. La maggior parte dei lavori
furono realizzati dall'ingegnere, mentre oggi ci sono
alcune camere chiuse per le indispensabili opere di conservazione degli
affreschi e fra queste purtroppo quella dove sulla parete è dipinta Lucrezia
Borgia, nonché la famosa camera dei due amanti infelici, Paolo e Francesca.
La visita
comunque consente di apprezzare le strutture murarie, fra le quali al piano
terra la cosiddetta camera delle torture, che invece probabilmente era una
cisterna di raccolta dell'acqua, e il corpo di guardia che conserva alcune
alabarde dalla caratteristica fattura. Ai piani superiori vi sono numerose
camere, la cui funzione si arguisce dall'arredo costituito sempre da un letto,
oltre che da pregevoli mobili, di epoca eterogenea, nonché
l'ampia sala del Consiglio, incastonata dagli scranni alle pareti ove sedevano
i dignitari e i fiduciari del Signore.
La vista da
questo piano da un lato volge alle dolci colline pesaresi e dall'altro al
cortile interno, su cui ci si può affacciare grazie a un loggiato arioso che
dona luce al complesso
residenziale, pressoché perfettamente conservato.
Orari d'apertura: Lunedì: 8,30 – 13; da martedì a domenica: 8,30 –
18,30; chiuso a Natale e Capodanno. All'interno ci sono un punto di
vendita di guide e cartoline, il guardaroba e le toilettes.
In un'ora
circa si visita tutto il castello e assicuro che merita.
Negli
immediati dintorni ci sono altre mete di sicuro interesse, fra le quali il
Montefeltro, la città di Pesaro, quella di Urbino, Gabicce
e il suo monte, insomma c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Gradara
resta un raro esempio di borgo fortificato, ben conservato e facilmente
accessibile al turista che desideri vivere per un po' l'atmosfera di un tempo
ormai lontano.
Nota: le tre fotografie che
seguono, relative a parti del castello, sono state scattate da me.