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  Letteratura  »  Dalla tristezza alla malinconia: un percorso a ritroso nella poetica di Davide Vaccino, di Renzo Montagnoli 11/08/2011
 

Dalla tristezza alla malinconia:

un percorso a ritroso nella poetica di Davide Vaccino

di Renzo Montagnoli

 

 

 

 

 

Davide Vaccino, poeta vercellese, recentemente scomparso non ancora quarantunenne, ha accompagnato il decorso progressivo della sua malattia con versi dapprima intrisi di acuta malinconia, divenuta via via tristezza e pietà per la propria condizione. Ora c'è da chiedersi se un autore in buona salute sarebbe riuscito a dare un'impronta positiva alla propria poesia e come sarebbe stata, una domanda alla quale è impossibile dare una risposta, perché tutti, nessuno escluso, siamo come siamo nati e come abbiamo vissuto, e quindi se la nostra salute è cagionevole i riflessi saranno inevitabili sui nostri comportamenti e di conseguenza su ciò che facciamo e quel che scriviamo.

Forse la malinconia già c'era alla base di Davide Vaccino e forse no, ma resta comunque il fatto che la stessa è emersa per cause contingenti. Dell'ultima raccolta che lo letto (Opera settima – L'Equinozio del Tempo) mi aveva detto che era l'impersonificazione della tristezza e in effetti è così, permeata da un profondo pessimismo che, come ho avuto occasione di scrivere nella relativa recensione, muove da una visione del tutto malinconica della vita, come se l'autore si chiedesse di continuo che logica ci può essere nel condurre un'esistenza fra le poche, quasi sparute gioie e i molti, troppi dolori, per concluderla poi inderogabilmente con il passaggio di quell'oscura porta oltre la quale finiscono le certezze, in un cammino che al massimo riserva non verificabili speranze e quindi mere illusioni. Come ogni essere umano, Davide Vaccino nei versi dominati dall'angoscia non rifugge dall'ancora di salvezza rappresentata proprio dall'illusione (…/ché il Paradiso / può aprirsi a chiunque, / si dice, / e, dunque, io, mi ergo / a Cristo in croce).

Eppure, fondamentalmente, il poeta è legato alla vita, certamente insoddisfacente, pessima, incongruente, irreale nella sua realtà, non rispondente al suo anelito, ma per lui è motivo di confronto, è occasione per analisi interiore, è passaggio nel deserto, ma è ciò che si trova per le mani e che se non riesce ad assaporare, è comunque tutto ciò che possiede, unico bene, unico dolore (…/si capisce d'essere vivi / quando viene la Sera.) (…/Seppellitemi con una poesia / scritta in momenti gioiosi / che narri di giorni felici / che narri di giorni felici /…).

Precedente a questa silloge un'altra, dall'emblematico titolo Presenze e Assenze, un lavoro dai toni un po' meno pessimistici e che ha il pregio di individuare quelle che in una vita sono appunto le presenze e le assenze. Le prime sono i capisaldi, gli elementi fondanti su cui si può contare, come gli ideali sociali e politici, l'amore per chi ci è accanto; le seconde sono tutte le perdite, i rimpianti, le persone care che ci hanno lasciato definitivamente.

In questo gioco, se così si può chiamarlo, di presenze e di assenze il poeta è testimone di un dipanarsi di grovigli che si linearizzano nel verso, mantenendo l'originaria curvatura, gomitoli di pensiero che s'infrangono sullo scoglio del tempo schiumando dimensioni cerebrali di una spinta interiore.

 

ANIMA

 

Anima,

fin che tu puoi,

resta.

 

Le parole

non contano:

passano.

 

Le idee

non bastano:

cambiano.

 

Le illusioni

non servono:

ingannano.

 

Anima,

fin che tu puoi,

resta.

 

Come il profumo

dei fiori.

 

L'anima, una presenza silente, una compagna fedele che dona all'uomo la capacità di sentirsi vivo, di sublimare concetti trascendendo la pura materialità dell'esistenza, accogliendo in sé le nostre sensazioni, le emozioni, trasformandole in un patrimonio inalienabile.

 

In queste liriche l'aspetto figurativo ha la funzione non tanto di stupire, ma di esteriorizzare il concetto, di trasformare lo spirito in materia fruibile.

 

 

LE FARFALLE

 

Palpiti di Vita

in lembi di cielo,

simili a fiori

che sanno volare.

 

Come i sogni,

le farfalle,

sono i sospiri

dell'Infinito.

 

Ma in queste presenze e assenze non c'è solo l'intelletto creativo di Davide Vaccino.

Comunque si leggano queste poesie si ritrova un po' del mondo di ognuno di noi, perché universali sono questi punti fermi, come ciò che abbiamo perso, e in questo sta il grande pregio della silloge, nel richiamare alla nostra attenzione ciò che abbiamo e ciò che non teniamo più, elementi che nella frenetica corsa del mondo troppo presto dimentichiamo.

Davide Vaccino sembra invitarci a soffermarci, a riflettere, per accorgerci che, nonostante tutto, il nostro percorso è lastricato da presenze ed assenze, un patrimonio solo nostro e che ci dà la misura di vivere.

Se il poeta è permeato di pessimismo lascia tuttavia aperta la porta a una speranza, a una consapevolezza di esistenza che sta solo a noi cogliere affinché il tempo non trascorra invano.

In questo percorso a ritroso della produzione poetica di Davide Vaccino si trova il mio primo incontro con i suoi versi, in una silloge dal titolo piuttosto esplicativo del tenore dei contenuti: Le catacombe dell'anima.

E' indubbio qui che lo scontro fra realtà esterna e aspirazione intima finisca con l'apparire stridente in tutta una serie di sfaccettature che Vaccino è riuscito a cogliere, per poi tradurle in versi.

C'è così l'orrore di Omicidio di stato (….Il sangue ha dipinto / di rosso quel prato: / lo Stato s'è spinto / a perpetrare reato; /…), la rassegnazione di Le voci dei morti (Le sento fra gli scrosci / d'acqua piovana / sulla terra molle / dei camposanti /…), l'indignazione per i profittatori dell'innocenza altrui di Un biglietto per il Paradiso (Agnes aveva un passaporto / e sulla bocca un bel sorriso: / un battello l'aspettava nel porto, / con un biglietto per il Paradiso. /….).

Non mancano riflessioni esistenziali come nell'eccellente Il buio o anche escursioni dialettali come in Masnà.

L'impressione che se ne ritrae è effettivamente quella di uno sconforto profondo, una macerazione di ideali in evidente contrasto con la realtà, insieme di elementi che condiziona e determina il percorso poetico dell'autore piemontese. Il suo è un mondo non solo ingiusto, ma anche senza speranza, una sorta di riflusso negativo di cui è spettatore e vittima contemporaneamente. Uno status, quindi, che si riflette in ogni verso che finisce con l'apparire una confessione a se stesso, ma che attrae, pungola, per arrivare poi a compenetrare anche il lettore. E' originale poi il ricorso indifferente alla metrica e al verso libero, e addirittura  al sonetto, una poliedricità che Vaccino sfrutta abilmente a seconda delle circostanze, magari alleggerendo lo svolgimento di più forte impatto, come in Un biglietto per il Paradiso, oppure qualificando maggiormente  riflessioni di particolare complessità, come ne Il cieco.

Aggiungo, anche, che al di fuori di questa tematica, ma pur presente nella silloge c'è un acrostico e le iniziali di ogni verso finiscono con il comporre il nome e il cognome della destinataria di un sogno notturno, una brevissima parentesi d'amore, un raro momento di serenità.

Purtroppo non ho avuto modo di leggere le opere precedenti, in cui forse l'assetto malinconico riusciva più stemperato, o magari c'era più spazio per un visione meno pessimistica dell'esistenza, come Alba Priméva (Il Foglio), Passaggi (Chiais), Benvenuti nel crepuscolo (La Conca), tutte sillogi poetiche, mentre alla narrativa aveva rivolto meno attenzione, per quanto autore di un romanzo gotico (Frammenti di pazzia – Edizioni Chiais) e di una raccolta di racconti (Tristitia) edita in e-book da La Tela Nera.

Resta indubbio che la vocazione poetica è predominante e che le parentesi di prosa assumono carattere solo di occasionalità; del resto l'indole lirica è ben presente e marcata in tutta la sua produzione, venata com'è, da una struggente, ma mai enfatica malinconia.

Credo che proprio con Opera Settima – L'Equinozio del tempo – Davide Vaccino sia riusciuto a compendiare in modo definitivo ed esauriente la sua filosofia dell'esistenza e non è proprio un caso, quindi,  se le liriche sono precedute dall'aforisma di un altro autore, che dalla vita ebbe ben poco se non la soddisfazioni di esprimersi in poesia a livelli eccelsi;  sono dell'opinione che queste poche parole siano idonee,  molto di più delle mie, a delineare, in breve e con precisione, la poetica di Vaccino. Giovanni Pascoli, uno dei miei poeti preferiti, infatti scrive: Confessa, / che è mai la vita? / E' l'ombra / d'un sogno fuggente.

 

Fonti:

-         Opera settima – L'Equinozio del tempo – (Enigma Divì);

-         Presenze e Assenze (Edizioni Il Foglio);

-         Le catacombe dell'anima (Edizioni Il Foglio);

-         Il sito di Davide Vaccino.

 

 

 

 

 
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