Dalla
tristezza alla malinconia:
un percorso a ritroso nella poetica di
Davide Vaccino
di Renzo Montagnoli
Davide Vaccino, poeta vercellese, recentemente scomparso non
ancora quarantunenne, ha accompagnato il decorso progressivo della sua malattia
con versi dapprima intrisi di acuta malinconia, divenuta via via tristezza e
pietà per la propria condizione. Ora c'è da chiedersi se un autore in buona
salute sarebbe riuscito a dare un'impronta positiva alla propria poesia e come
sarebbe stata, una domanda alla quale è impossibile dare una risposta, perché
tutti, nessuno escluso, siamo come siamo nati e come abbiamo vissuto, e quindi
se la nostra salute è cagionevole i riflessi saranno inevitabili sui nostri
comportamenti e di conseguenza su ciò che facciamo e quel che scriviamo.
Forse la malinconia già c'era alla base di Davide Vaccino e forse
no, ma resta comunque il fatto che la stessa è emersa per cause
contingenti. Dell'ultima raccolta che lo letto
(Opera
settima – L'Equinozio del Tempo) mi aveva detto che era
l'impersonificazione della tristezza e in effetti è così, permeata da un
profondo pessimismo che, come ho avuto occasione di scrivere nella relativa
recensione, muove da una visione del tutto malinconica della vita, come se
l'autore si chiedesse di continuo che logica ci può essere nel condurre
un'esistenza fra le poche, quasi sparute gioie e i molti, troppi dolori, per
concluderla poi inderogabilmente con il passaggio di quell'oscura porta oltre
la quale finiscono le certezze, in un cammino che al massimo riserva non
verificabili speranze e quindi mere illusioni. Come ogni essere umano, Davide
Vaccino nei versi dominati dall'angoscia non rifugge dall'ancora di salvezza
rappresentata proprio dall'illusione (…/ché il Paradiso / può aprirsi a chiunque,
/ si dice, / e, dunque, io, mi ergo / a Cristo in croce).
Eppure, fondamentalmente, il poeta è legato alla vita, certamente
insoddisfacente, pessima, incongruente, irreale nella sua realtà, non rispondente
al suo anelito, ma per lui è motivo di confronto, è occasione per analisi
interiore, è passaggio nel deserto, ma è ciò che si trova per le mani e che se
non riesce ad assaporare, è comunque tutto ciò che possiede, unico bene, unico
dolore (…/si capisce d'essere vivi / quando viene la Sera.) (…/Seppellitemi
con una poesia / scritta in momenti gioiosi / che narri di giorni felici / che
narri di giorni felici /…).
Precedente a questa silloge un'altra, dall'emblematico titolo Presenze
e Assenze, un lavoro dai toni un po' meno pessimistici e che ha il
pregio di individuare quelle che in una vita sono appunto le presenze e le
assenze. Le prime sono i capisaldi, gli elementi fondanti su cui si può
contare, come gli ideali sociali e politici, l'amore per chi ci è accanto; le
seconde sono tutte le perdite, i rimpianti, le persone care che ci hanno
lasciato definitivamente.
In questo gioco, se così si può chiamarlo, di presenze e di
assenze il poeta è testimone di un dipanarsi di grovigli che si linearizzano nel
verso, mantenendo l'originaria curvatura, gomitoli di pensiero che s'infrangono
sullo scoglio del tempo schiumando dimensioni cerebrali di una spinta
interiore.
ANIMA
Anima,
fin che tu puoi,
resta.
Le parole
non contano:
passano.
Le idee
non bastano:
cambiano.
Le illusioni
non servono:
ingannano.
Anima,
fin che tu puoi,
resta.
Come il profumo
dei fiori.
L'anima, una presenza silente, una compagna fedele che dona
all'uomo la capacità di sentirsi vivo, di sublimare concetti trascendendo la
pura materialità dell'esistenza, accogliendo in sé le nostre sensazioni, le
emozioni, trasformandole in un patrimonio inalienabile.
In queste liriche l'aspetto figurativo ha la
funzione non tanto di stupire, ma di esteriorizzare il concetto, di
trasformare lo spirito in materia fruibile.
LE
FARFALLE
Palpiti di Vita
in lembi di cielo,
simili a fiori
che sanno volare.
Come i sogni,
le farfalle,
sono i sospiri
dell'Infinito.
Ma in queste presenze e assenze non c'è solo l'intelletto creativo
di Davide Vaccino.
Comunque si leggano queste poesie si ritrova un po' del mondo di
ognuno di noi, perché universali sono questi punti fermi, come ciò che abbiamo
perso, e in questo sta il grande pregio della silloge, nel richiamare alla
nostra attenzione ciò che abbiamo e ciò che non teniamo più, elementi che nella
frenetica corsa del mondo troppo presto dimentichiamo.
Davide Vaccino sembra invitarci a soffermarci, a riflettere, per
accorgerci che, nonostante tutto, il nostro percorso è lastricato da presenze
ed assenze, un patrimonio solo nostro e che ci dà la misura di vivere.
Se il poeta è permeato di pessimismo lascia tuttavia aperta la
porta a una speranza, a una consapevolezza di esistenza che sta solo a noi
cogliere affinché il tempo non trascorra invano.
In questo
percorso a ritroso della produzione poetica di Davide Vaccino si trova il mio
primo incontro con i suoi versi, in una silloge dal titolo piuttosto
esplicativo del tenore dei contenuti: Le catacombe dell'anima.
E' indubbio
qui che lo scontro fra realtà esterna e aspirazione intima finisca
con l'apparire stridente in tutta una serie di sfaccettature che Vaccino è
riuscito a cogliere, per poi tradurle in versi.
C'è così
l'orrore di Omicidio di stato (….Il sangue ha dipinto / di rosso
quel prato: / lo Stato s'è spinto / a perpetrare reato; /…), la
rassegnazione di Le voci dei morti (Le
sento fra gli scrosci / d'acqua piovana / sulla terra molle / dei camposanti
/…), l'indignazione per i profittatori dell'innocenza altrui di Un biglietto per il Paradiso (Agnes aveva un passaporto / e sulla bocca
un bel sorriso: / un battello l'aspettava nel porto, / con un biglietto per il
Paradiso. /….).
Non mancano
riflessioni esistenziali come nell'eccellente Il buio o anche escursioni dialettali come in Masnà.
L'impressione
che se ne ritrae è effettivamente quella di uno sconforto profondo, una
macerazione di ideali in evidente contrasto con la realtà, insieme di elementi che
condiziona e determina il percorso poetico dell'autore piemontese. Il suo è un
mondo non solo ingiusto, ma anche senza speranza, una sorta di riflusso
negativo di cui è spettatore e vittima contemporaneamente. Uno status, quindi,
che si riflette in ogni verso che finisce con l'apparire una confessione a se
stesso, ma che attrae, pungola, per arrivare poi a compenetrare anche il
lettore. E' originale poi il ricorso indifferente alla metrica e al verso
libero, e addirittura al sonetto, una poliedricità che
Vaccino sfrutta abilmente a seconda delle circostanze, magari alleggerendo lo
svolgimento di più forte impatto, come in Un
biglietto per il Paradiso, oppure qualificando maggiormente riflessioni di particolare complessità, come
ne Il cieco.
Aggiungo, anche,
che al di fuori di questa tematica, ma pur presente nella silloge c'è un
acrostico e le iniziali di ogni verso finiscono con il comporre il nome e il
cognome della destinataria di un sogno notturno, una brevissima parentesi
d'amore, un raro momento di serenità.
Purtroppo non
ho avuto modo di leggere le opere precedenti, in cui forse l'assetto
malinconico riusciva più stemperato, o magari c'era più spazio per un visione meno pessimistica dell'esistenza, come Alba
Priméva (Il Foglio), Passaggi (Chiais), Benvenuti
nel crepuscolo (La Conca), tutte sillogi poetiche, mentre alla
narrativa aveva rivolto meno attenzione, per quanto autore di un romanzo gotico
(Frammenti
di pazzia – Edizioni Chiais) e di una raccolta di racconti (Tristitia)
edita in e-book da La Tela Nera.
Resta
indubbio che la vocazione poetica è predominante e che le parentesi di prosa
assumono carattere solo di occasionalità; del resto l'indole lirica è ben
presente e marcata in tutta la sua produzione, venata com'è, da una struggente,
ma mai enfatica malinconia.
Credo che
proprio con Opera Settima – L'Equinozio del tempo – Davide Vaccino sia
riusciuto a compendiare in modo definitivo ed esauriente la sua filosofia
dell'esistenza e non è proprio un caso, quindi, se le liriche sono precedute dall'aforisma
di un altro autore, che dalla vita ebbe ben poco se non la
soddisfazioni di esprimersi in poesia a livelli eccelsi; sono dell'opinione che queste poche parole
siano idonee, molto di più delle mie, a
delineare, in breve e con precisione, la poetica di Vaccino. Giovanni Pascoli,
uno dei miei poeti preferiti, infatti
scrive: Confessa, / che è mai la vita? / E' l'ombra / d'un sogno fuggente.
Fonti:
-
Opera
settima – L'Equinozio del tempo – (Enigma Divì);
-
Presenze
e Assenze (Edizioni Il Foglio);
-
Le
catacombe dell'anima (Edizioni Il Foglio);
-
Il
sito di Davide Vaccino.