Lezama Lima e Virgilio Piñera,
due scrittori per un destino
di Gordiano Lupi
Non ci sono due vite più diverse ma al tempo stesso più simili di
quelle vissute da due personaggi della nostra letteratura, nati il primo nel
1910 all'Avana e il secondo nel 1912
a Cárdenas, morti entrambi nella capitale, Lezama nel
1976 e Piñera nel 1979. Lezama passò tutta la vita all'Avana, nella stessa casa
di calle Trocadero, mentre
Piñera si trasferì dalla provincia in una città che definiva la sua Roma
caraibica. El flaco y el gordo,
fisicamente così diversi, ma entrambi profondamente cubani, avaneri, con legami
orientali e creoli, amanti della poesia greca al punto di scrivere le prime
opere ispirandosi a miti e tematiche elleniche (La muerte de Narciso di Lezama, 1937 e Las furias di Virgilio, 1941). Non
potevo non parlare di loro, uomini vulnerabili ma importanti per la mia
formazione e per tutta la letteratura cubana. Lezama e Virgilio erano uniti
dalla loro omosessualità che al tempo stesso li separava: il primo era un
omosessuale attivo, cercava amanti giovani e belli, efebici, che rasentavano la
perfezione; il secondo era passivo, una vera e propria checca, rimorchiava
neri, persone dei bassifondi e semplici marchettari. Virgilio era effeminato e
possedeva un profilo dantesco da italiano del Cinquecento, mentre Lezama era un
uomo virile dal volto rude. Tutti e due fumavano molto, ma il primo soltanto
sigarette mentre il secondo preferiva enormi sigari che spargevano cenere
ovunque. Lezama era grasso, mangiava di tutto, era un famelico divoratore di
carne; Virgilio era magro, quasi scheletrico, vegetariano assoluto, al punto
che rimase sconvolto quando la Rivoluzione chiuse i ristoranti vegetariani
perché mancavano olio d'oliva, legumi e verdure. Lezama visse sempre nella stessa
casa di calle Trocadero che
simboleggia la sua vita e il personaggio. Virgilio visse in piccoli
appartamenti da scapolo, un po' ovunque, da una casa infame tra il Malecón e il
Paseo del Prado, circondato da pederasti, per passare al bungalow sulla spiaggia
di Guanabo e molti altri tuguri. Lezama visse in mezzo ai libri, tra
biblioteche enormi, fogli dattiloscritti, polvere di scartoffie e riviste di
ogni tipo. Virgilio non possedeva libri, non conservava neppure le sue
pubblicazioni, le sue case non sembravano ospitare uno scrittore, se non fosse
stato per una vecchia Remington
adagiata sopra uno scrittoio in un angolo. Lezama e Virgilio si ritrovarono
sulla rivista Origines – vera
e propria creatura di Lima – ma il sodalizio durò poco perché Piñera andò in
esilio volontario per due anni in Argentina. Origines
generò uno stuolo di discepoli del maestro, profeta adulato dai giovani, nato
con la vocazione del caposcuola che detta linee da
seguire per il futuro letterario. Piñera era uno scrittore solitario, nato per
non essere riconosciuto neppure dopo morto, visto che in pochi si ricordano di
lui e lo apprezzano come inventore del teatro dell'assurdo. Falsa alarma di Virgilio è stato
scritto nel 1948, due anni prima della Cantatrice
calva di Eugene Ionesco e molto prima di Aspettando Godot di Samuel Beckett.
Virgilio viveva in maniera picaresca, faceva il traduttore, cercava di sbarcare
il lunario come meglio poteva, si era pure trovato un ricco protettore come
José Rodríguez Feo che pagò la stampa dei suoi Cuentos fríos usciti per Editorial Losada. José Rodríguez
Feo era un altro omosessuale, diverso dai due scrittori, era un playboy
invertito a caccia di fusti da spiaggia e di atletici ragazzi seminudi.
La Rivoluzione colse di sorpresa Lezama e Virgilio.
Non potevano immaginare niente di simile, perché loro parlavano di
disobbedienza estetica e di rivolta letteraria, un verbo poetico che non
contemplava la follia. Lima credo di averlo salvato in tempo da chi lo avrebbe
potuto considerare un seguace di Batista, portandolo nel giornale Revolución e convincendolo a scrivere
che stavamo vivendo un evento aurorale.
Tra l'altro ci credevo, come tutti in quel periodo, non avevamo ancora compreso
quel che sarebbe accaduto intorno a noi. Lezama entrò a far parte dei collaboratori
di Lunes de Revolución, come
Virgilio, che in un primo tempo fu accolto male da una redazione
machista, ma alla fine il suo
valore letterario gli valse il rispetto di tutti e gli permise di ricoprire un
ruolo determinante. Virgilio si intendeva bene con Padilla, forse fu tra coloro
che lo incoraggiarono a scrivere un duro attacco contro Lezama che uscì sulla
rivista; inoltre entrambi provavano una cordiale antipatia per il poeta José
Baragaño, pure lui per niente amico di Lima. Virgilio scrisse un articolo
contro Baragaño come persona, definendolo vagabondo, accattone e opportunista,
ma lo elogiò come poeta. Baragaño non se la prese molto, conservò nella memoria
solo la parte positiva e non fece caso alle offese personali. Lima, nonostante
il selvaggio articolo che pubblicammo, accettò di collaborare con Lunes, scrisse pure un ottimo saggio
sui cibi cubani intriso di tutta la sua grande cultura.
Virgilio si stava affermando come il più importante drammaturgo cubano vivente,
ma non se ne rendeva conto, o forse faceva parte della sua natura non dare
importanza alle cose. Metteva in scena un'opera immortale come Electra Garrigó, ispirata al teatro
greco, primo lavoro in assoluto ad avere il diritto di essere definito teatro
dell'assurdo. Nonostante tutto quando Virgilio morì non apparve nemmeno una
riga sulla stampa cubana, ma solo El País
di Madrid dedicò poche righe all'evento luttuoso. Virgilio morì anonimo come
quasi invisibile aveva vissuto, odiava i maestri e gli intellettuali, come non
era capace di salire in cattedra, mal sopportava chi si arrogava il diritto di
farlo. Lezama, invece, ha sempre aspirato alla condizione di maestro e in vita
è stato accontentato, ma anche dopo morto viene riconosciuto come tale.
Nonostante tutto entrambi ebbero discepoli e forse chi seguiva Virgilio era
meno ipocrita perché non si attendeva niente da lui. Parlo di persone come
Antón Arrufat e José Triana, entrambi omosessuali e collaboratori di Lunes, che consideravano Virgilio il
loro faro nella tempesta, la loro guida dantesca. Scusatemi se racconto i fatti
miei parlando di Virgilio, ma non posso farne a meno, perché un film di mio
fratello Sabá e del fotografo Orlando Jiménez (P.M.) che celebrava la notte
avanera e la musica cubana fece scoppiare un triste caso di censura. Venne
ritirata un'opera d'arte, considerata sconveniente, immorale, non per motivi
politici ma per il suo contenuto. Noi eravamo colpevoli come gli autori perché
l'avevamo trasmessa nel programma televisivo Lunes
de Revolución en Televisión. Fu durante una sorta
di processo al film e agli intellettuali che Virgilio si alzò e disse: “Voglio
dire che ho molta paura. Non so perché ho questa
paura, ma è tutto quello che ho da dire”. Il film fu proibito,
condannato, messo al rogo. Lunes de
Revolución – rivista odiata e temuta per la sua indipendenza –
venne chiusa. Lunes divenne
un capro espiatorio perfetto e noi fummo costretti a tenere le nostre riunioni
a casa mia sulla Rampa o da Piñera davanti alla spiaggia di Guanabo, dove
mangiavamo esotici piatti di spaghetti. Fidel Castro
pronunciò il famoso discorso: “All'interno della Rivoluzione tutto! Fuori dalla Rivoluzione niente!”. Gli stalinisti erano già
al potere, ma adesso si impadronivano anche della cultura, imponevano nuove
regole moralistiche e mettevano al bando libertini e omosessuali. Virgilio ne
fece le spese durante l'infame Notte delle tre P., operazione moral-marxista
inventata per ripulire L'Avana da prostitute, prosseneti e pederasti. Lo
arrestarono perché qualcuno aveva pensato bene di segnalarlo come pederasta,
proprio lui così discreto nelle sue conquiste, mai sfacciato, attento a non
dare fastidio e a non farsi scoprire. Virgilio era omosessuale, nessuno poteva
dubitarne, ma adesso veniva schedato come frocio
pericoloso e lo mettevano addirittura in galera. Tutto perché
ospitava in casa un amico teatrante insieme al suo amante, forse anche perché
avevano trovato foto oscene in un cassetto. Per lui fu un'esperienza atroce, si
trovò a contatto con prigionieri politici batistiani che lo picchiarono
selvaggiamente, convinti che fosse un collaborazionista. Quando uscì di galera
aveva dipinto in volto il terrore tipico di chi teme di doverci finire ancora,
è un terrore che conosco bene, una paura incredibile che ti prende alla gola e
non ti fa respirare. Virgilio voleva tornare a casa, al suo tugurio sulla
spiaggia di Guanabo, era stremato, distrutto, al punto che un giorno svenne in
casa mia, davanti a mia moglie che si spaventò a morte. Voleva tornare alla
spiaggia e alla sua casa di Guanabo, ma non glielo permettevano. Voleva tornare
a fare teatro, quel teatro dell'assurdo che incolti funzionari di partito
consideravano controrivoluzionario perché non lo capivano. Alla fine Virgilio
si adattò alla situazione. Non era un eroe. Non ne aveva il fisico e la tempra,
così magro e spaurito, così checca da temere anche il
suo respiro. Aveva paura, povero Virgilio, questo sì,
ma è sempre vissuto a Cuba sino alla morte, in compagnia del suo terrore.
Virgilio si è adattato allo stalinismo caraibico pur di sopravvivere, ma lo
stalinismo non lo accettò mai fino in fondo, perché era troppo omosessuale per
i tempi. Lasciò la casa di Guanabo e andò a vivere in un palazzo dove abitava
anche il suo amico Rodríguez Feo, proprio accanto al vecchio protettore.
Virgilio e Lezama divennero veri e propri asceti sessuali, quasi moralisti. Non
volevano guai con una Rivoluzione che passava il tempo a condurre un'assurda
guerra contro gli omosessuali. Virgilio divenne sempre più magro e triste, fin
quasi a scomparire, come sparivano le sue opere che non venivano più pubblicate
e rappresentate. Lezama ingrassava a dismisura, vero e proprio bidone di piombo, come veniva
soprannominato. Era figlio unico e alla morte della madre finì per sposarsi per
assecondare un suo desiderio, nonostante la sua omosessualità che cercava di
nascondere. Virgilio visse solo tutta la vita, ancora di più quando il fratello
– professore universitario e intellettuale serio – optò per l'esilio, ma erano
persone così diverse da non aver mai avuto contatti importanti. Virgilio ha
diretto per un po' di tempo le sopravvissute Ediciones R., ma durarono poco
perché i tempi erano tali che non veniva consentito niente fuori dal solco
rivoluzionario. Ero a Bruxelles come addetto culturale quando venni a sapere che
Ernesto Che Guevara aveva fatto gettare nel secchio dell'immondizia il Teatro completo di Virgilio Piñera dopo
averlo visto sugli scaffali dell'ambasciata cubana in Algeria, perché riteneva
che fossero “libri scritti da un frocio”. L'Avana non faceva per lui, ma
Virgilio voleva restare, anche se piangeva spesso e non comprendeva le
incredibili crociate contro gli omosessuali. Ma un nuovo esilio no, quello non
l'avrebbe accettato, sarebbe stato il peggiore di tutti i mali. Virgilio
avrebbe accettato la segregazione, il campo di concentramento, il carcere, ma
non vivere lontano dall'Avana, città alla quale era attaccato come se fosse
stato vittima di un incantesimo. Rividi Virgilio nel 1965, quando tornai
all'Avana per i funerali di mia madre, ma era l'ombra di se stesso, uno zombie
che vagava per le strade della capitale, un fantasma stravolto da un orribile
presente.
In quel tempo Lezama stava scrivendo in silenzio Paradiso, il suo capolavoro riconosciuto, rischioso per
via dei capitoli chiaramente omosessuali, ma tollerato da Castro per lo
scalpore internazionale suscitato da un'opera geniale. Paradiso non fu sequestrato, venne
autorizzata una prima edizione di pochi esemplari, ma non venne ristampato.
Virgilio, invece, non scriveva più e tanto meno pubblicava, passava il tempo
giocando a canasta con vecchie signore in pensione, ex scrittore ribelle,
addomesticato e innocuo al punto di mettere la sua firma sotto un infame
documento contro Neruda. Erano i giorni in cui Padilla confessava pubblicamente
reati mai commessi e si poneva fuori dal
gioco come il suo libro giudicato meritevole del rogo stalinista.
Confessione spontanea in forma di messinscena inconcepibile, ritrattazione
organizzata dal regime. Lezama ebbe il coraggio di non partecipare alla pubblica
esibizione di ridicolo e se ne restò chiuso per tutto il giorno nella sua casa
santuario di calle Trocadero.
La sua vita divenne sempre più difficile, ma lui ne uscì fuori lasciando che la
macchina fidelista usasse il suo Paradiso
come propaganda rivoluzionaria e permise che venissero pubblicate le ermetiche Poesie complete. Dopo il 1971 scese una
coltre di silenzio su Lezama e Virgilio, ma se il secondo era abituato per il
primo fu una punizione dura da sopportare. Lima fu invitato a Roma ma non lo
lasciarono uscire per ritirare un premio importante tributato a Paradiso. Il maestro per antonomasia
morì di crisi polmonare in un ospedale, lontano dalla sua casa, testimone obeso
delle rovine dell'Avana vecchia. Lezama era stato il più grande poeta cubano
del Novecento, uno scrittore immenso capace di scrivere Paradiso mentre pensava alla sua Cuba
come a un paradiso perduto. Virgilio viveva facendo traduzioni per l'Imprenta
Nacional, nascosto e silenzioso, uomo invisibile, come invisibili divennero i
suoi antichi discepoli. Antón Arrufat finì per fare il bibliotecario in una
biblioteca rionale, vivendo tra i libri, ultimo amore d'una vita che si
spengeva lentamente. Lezama morì pochi anni prima di Virgilio, ma non credo che
quest'ultimo sia andato alla veglia funebre del primo. Adesso che è morto anche
lui si è riunito per sempre a Lezama, di cui non fu amico, ma tra i due ci fu
un rapporto di sincera stima. Tra le ultime poesie di Lezama troviamo Virgilio Piñera cumple 60 años. L'eternità li
unisce, ma la vita letteraria li riunisce.
www.liberolibro.it