I Celti,
tanto tempo fa
di Renzo Montagnoli
Mi si stringe il
cuore
nel percorrere
questa landa ormai
deserta
un tempo la mia
patria
ove le mie genti
nascevano,
vivevano
e poi arrivavano
all'ultimo tramonto.
Se ci ripenso
come in sogno li
rivedo
Celti,
celti come me,
un popolo libero in
armonia
con la natura di
valli
ch'erano ubertose
solcate da fiumi
di acqua cristallina
a cui si abbeveravano
i cavalli
e m'era dolce la sera
sedermi su una sponda
a osservare il cielo
che lento s'imbruniva
per poi tornare a
casa
al desco familiare
alla donna amata
ai bimbi che allegri
consumavano la cena.
Le notti erano dolci
e fatte per amare
e solo la luce
dell'alba
mi strappava al
tepore
di sogni di cacce
di lunghe cavalcate
di bevute di birra
con gli amici.
E poi il giorno,
a volte radioso
oppure avvolto nella
nebbia,
imbiancato
dall'inverno
o umido di pioggia a
primavera.
C'erano anche le
guerre
e io ero un guerriero
possente e temuto dai
nemici
amato dagli amici
battaglie in cui il
premio
per la vittoria lasciava
l'amaro in bocca
per il tanto sangue
versato.
E infine di nuovo il
tramonto
l'ultimo,
il definitivo calar
del sole
per il nostro mondo.
Sottomessi
romanizzati
non resta che un
ricordo
di un popolo libero e
felice
e con me anche questo
si spegnerà.
Nessuno più saprà chi
eravamo
così i nostri figli
e i figli dei nostri
figli.
Celti eravamo
e celti mai più
saremo.
Il tempo passa
tutto cancella
non resterà che
polvere
e anche questa un
giorno
sarà dispersa dal
vento.
Non c'è gloria
in un popolo che perde
la propria identità
v'è solo l'apatia di
chi ormai
vive senza un domani.
Non sapranno più
d'esser celti
e se gli dei vorranno
questo non vedrò
quando una notte
che sarà più lunga
delle altre
m'involerò in
un'ultima cavalcata.
Sarà come un sogno
nel ricordo di glorie
passate
di un tempo che è
stato
e non sarà più.
Da Canti celtici
II