Neve
di
Renzo Montagnoli
Quand’ero
bambino sognavo la neve
nei
giorni d’autunno che andava a finire
guardavo
su in cielo quel grigio uniforme
sperando
di scorgere bianche farfalle
pronte
a cadere sopra ogni cosa.
Mai
quel sognare ebbe riscontro
e
invece accadeva più avanti nei giorni
magari
a Natale o anche più tardi
che
al risveglio al mattino udissi
suoni
ovattati, forse vicini
ma
che parevan lontani.
Era
il segnale,
scendevo
dal letto
andavo
alla finestra per goder
lo
stupore del bianco uniforme
dei
fiocchi che svolazzavan nell’aria
pronti
a posarsi perfino sui fili
e
io tornavo a sognare così
che
le case e le strade si dissolvevan
nel
nulla e prima sfocata e poi sempre
più
nitida vedevo una steppa
da
renne solcata, abetaie ricamate d’argento,
torrenti
ghiacciati in cui riflettere il viso.
Era
tutto un mondo diverso una vera magia
che
la mente creava a mio piacimento
ma
ogni sogno non dura in eterno
e
la mamma o il babbo che mi chiamavano
mi
strappavano da quel limbo di pace
e
il paesaggio cambiava con di nuovo le case
e
le strade dove la neve inquinata
aveva
il colore del grigio del cielo.
Restava
il ricordo di quel bianco
da
tanto tempo agognato
e
ogni tanto tornava nei giorni del gelo
per
sfumare sempre più in una tenue
e
fugace sensazione al primo tepore del sole
all’annuncio
dell’imminente arrivo
di
quella primavera che in tripudio
di
colori l’inverno caccia via.
Da
Lungo il cammino
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