Nazione indiana
di Renzo Montagnoli
Scendevano possenti
i crini al vento
un rombo di tuono
nel verde fresco di pioggia.
Amici dei giorni di gioventù,
cibo e vestiti più in là,
questi erano i nostri tatanka.
Liberi nella libertà del cielo,
liberi come noi,
soli a calpestare questa terra.
Erano tempi sereni
in cui cantare il levar del sole
correre nel vento della prateria
ascoltare la sera dai vecchi
le saghe di epoche trascorse.
Allora sentivi lo spirito
sempre al tuo fianco
un respiro sommesso
il gorgoglio della fonte
il fruscio dell'erba sotto i piedi.
Questa era la felicità
che ignoravamo
tanto era nei nostri giorni.
Il tempo non esisteva
solo le stagioni
davano la misura
di quanto il mondo cambiasse
ritornando poi sempre uguale.
Ma un giorno vennero uomini
con gli occhi chiari e con pallidi visi
dall'immenso lago che ferma la terra
e tutto non fu più quello.
Nel ricordo di questi occhi stanchi
sono le grida delle donne violate
i pianti degli inermi fanciulli
scannati
i prodi guerrieri immoti nell'erba
un solco di sangue vermiglio
fra il nostro mondo e
quello di sconosciuti barbari.
Portarono la civiltà dell'orrore
sterminarono i bisonti
violarono anche la natura.
E a noi pochi rimasti
diedero un fazzoletto di terra
per seppellirci con i nostri morti.
Non più corse nel verde
non più canti all'alba
non più uomini liberi.
Restò solo il sogno
di un paradiso perduto
di una nazione indiana
che da tanto non c'è più.
Ora il tempo non passa mai
stranieri in patria
schiavi in casa propria
e solo all'imbrunire
rivolto all'occidente in fiamme
ritrovo nel respiro della sera
che lentamente si avvicina
lo spirito che ci aveva abbandonato.
Ieri mi è parso di udir la sua voce
nel mormorio del vento,
o forse era questa mia vecchia mente
che lentamente va spegnendosi
in sogni che mascherano l'atroce
realtà.
Mi ha detto solo:
è la legge del più forte
e un giorno pure l'uomo bianco
la conoscerà.
Nulla che possa lenire
il dolore per la perdita
della propria identità.