La guerra
di Renzo Montagnoli
Già il grano imbiondiva ,
steli piegati pronti ad accogliere la
falce,
l'oro del pane dei mesi a venire.
La quiete dei meriggi assolati
fra il frinir delle cicale,
un'aria ferma,
le sere appena un po' ventilate,
con il canto dei cani alla luna.
L'aveva detto il vate,
una mattina che all'alba s'era alzato
per guardare il campo.
Ondeggiavano le messi
all'alito di brezza,
ma d'un tratto il cielo a oriente
s'era fatto sangue,
mentre all'orizzonte
s'avanzava una nera signora,
il mantello consunto,
la falce che roteava
e il biondo dei chicchi maturi
svanito in una torba fumante.
Scendevano la valle,
un'orda selvaggia,
le barbe irsute,
gli occhi iniettati di sangue.
Le messi incendiate,
i villaggi distrutti,
le donne violate,
i loro uomini trucidati.
Non era solo conquista,
ma lo sfogo della bestia che è in noi.
Lutti, rovine, non contano niente
quando prepotente è il bisogno
di unirci all'ombra che ci accompagna.
E se guerra doveva essere, che lo fosse.
Ci apprestammo a dar battaglia,
per noi,
per i figli,
per le donne,
Quel giorno,
combattemmo nel grano.
Frecce che s'alzavano a oscurare il sole,
le lunghe aste appuntite ben tese,
i cavalli schiumanti che mietevan le spighe,
cozzi d'armi, grida selvagge,
ovunque sangue a fiotti.
E quando giunse la sera
urlammo per la vittoria,
fra corpi straziati,
sguazzando nel sangue ribollente.
Fu breve gloria,
fu solo gioia d'esser scampati.
Ritornammo alla pace,
alla quiete dei meriggi,
al frinir delle cicale.
Ci abbandonammo esausti fra le braccia delle donne,
ringraziammo gli dei per averci protetti,
ricominciammo a vivere
nella certezza,
fallace,
di un mondo senza guerre.
(da Canti celtici –
Edizioni Il Foglio, 2007)