L'uomo che guardava passare i treni
di Georges Simenon
Traduzione di Paola Zallio Messori
In copertina: Léon Spilliaert, Plage 1909
Adelphi Edizioni
www.adelphi.it
Narrativa romanzo
Collana Gli Adelphi
Pagg. 211
ISBN 9788845908361
Prezzo
€ 10,00
L'altro Io
L'uomo che
guardava passare i treni, scritto nel 1938, ha tutte le parvenze
di un noir, anche se lo scopo di Simenon non era tanto quello di narrare una
vicenda criminale, bensì di analizzare la psiche di un individuo, piccolo
borghese, che a un certo punta della sua vita si
ribella a un'esistenza calma e agiata, scoprendo in se stesso una personalità
latente intollerante nei confronti di quel mondo in cui ha sempre vissuto.
La sua presa
di posizione, il cambiamento radicale che la caratterizza, non è un frutto di
un calcolo maturato lungamente, ma è un'improvvisa scelta quasi inconsapevole.
E così Kees Popinga, così si chiama il
protagonista, abbandona per sempre quell'immagine di onesto, corretto,
meticoloso impiegato e buon padre di famiglia per cercare di cancellare, in uno
con il suo passato, anche quelle caratteristiche di appartenenza a un ceto
borghese, fatte di consuetudini e apparenze anche stucchevoli.
In questa
ribellione, che lo porterà anche all'omicidio, c'è una lunga fuga dal mondo in
cui è sempre stato, che finisce però con il diventare anche una fuga da se
stesso, da quell'inconscia personalità per anni celata e repressa da una
parvenza di perbenismo a cui, altrettanto
inconsapevolmente, si era abbandonato.
Entra talmente nel suo nuovo
personaggio da trovare sempre nuove giustificazioni per il suo operato, per la sua furia criminale che tuttavia non
traspare esteriormente se non nei momenti in cui i freni inibitori, totalmente
rimossi, fanno sfociare il suo comportamento in una violenza accompagnata dalla
cieca lucidità di un uomo che ricerca e trova considerazioni auto
giustificatorie al punto di ritenersi un perseguitato dalla polizia.
Il suo è il delirio di un folle che
solo in ultimo, ormai braccato, lascia spazio a qualche momento di lucidità,
che se non gli porta un senso di colpa, pur tuttavia riscopre sprazzi di quella
coscienza borghese, che gli sembra così lontana e irraggiungibile, ma di cui ha
una vaga nostalgia, un ricordo di un mondo in cui tutto quadrava per il meglio,
almeno in apparenza, mentre ora la sua condizione è quella di
una bestia in fuga e senza speranza.
Popinga è tuttavia un fallito e anche la
scorciatoia che cercherà di prendere per risolvere definitivamente il problema
di una nuova esistenza, verso cui prima si sentiva fortemente attratto e che
ora invece mostra tutti i suoi limiti, finirà miseramente e chiuderà così il
suo ciclo vitale in una clinica psichiatrica, in cui, rassicurato dalle mura
che impediscono un confronto con la realtà esterna, riuscirà a realizzare
perfettamente se stesso, un mondo tutto suo, una specie di limbo in cui i
medici non potranno capire nulla di lui, e, soprattutto, altrettanto lui di se
stesso.
In fin dei conti, come tanti personaggi
di Simenon, il protagonista è un uomo all'apparenza normale, fino a quando è
inserito nel tessuto sociale in cui ha sempre vissuto,
ma poi scatta qualche cosa, a volte anche un'inezia, e l'uomo si trasforma; non
c'è nulla di più complesso della psiche umana, tanto che a nessuno di noi è
dato il privilegio di conoscerci fino in fondo e Simenon non era dissimile da
noi, anzi in lui erano presenti mediocrità e genialità, quest'ultima riservata
alla sua corposa produzione letteraria. Del Simenon privato forse è meglio non
parlare, non ricordare l'egoismo che lo caratterizzava, la sua ambiguità
durante l'occupazione nazista,
il trattamento umiliante riservato alle
sue amanti, una doppia personalità che peraltro non deve stupire, come se in
noi esistessero due nature, ci fossero due io.
E Kees Popinga è il simbolo di questo doppio che poi Simenon
riuscirà a delineare ancor più mirabilmente in un
altro romanzo, I fantasmi del cappellaio.
Anche il titolo, del resto, ci offre
nella sua sinteticità il vagheggiamento onirico del protagonista che cerca di
immaginare come siano i passeggeri, figure indistinte dietro i finestrini,
inconsapevoli attori della vita, e quelle carrozze che corrono sulle rotaie possono benissimo rappresentare per noi il confuso e
convulso percorso dell'esistenza, ma per Popinga sono
solo un sogno, una fuga da quella realtà che d'improvviso non può più
accettare.
Mi sembra inutile dilungarmi
ulteriormente, se non per un consiglio d'obbligo: leggetelo, non ve ne
pentirete.
Georges Simenon, nato a Liegi
nel 1903, morto a Losanna nel 1989,
ha lasciato centonovantatre romanzi pubblicati sotto il
suo nome e un numero imprecisato di romanzi e racconti pubblicati sotto
pseudonimi, oltre a volumi di «dettature» e memorie. Il commissario Maigret è
protagonista di 75 romanzi e 28 racconti, tutti
pubblicati fra il 1931 e il 1972. Celebre in tutto il mondo, innanzitutto per
le storie di Maigret, Simenon è anche, paradossalmente, un caso di «scrittore
per scrittori». Da Henry Miller a Jean Pauhlan, da
Faulkner a Cocteau, molti e disparati sono infatti gli
autori che hanno riconosciuto in lui un maestro. Tra questi, André Gide:
«Considero Simenon un grande romanziere, forse il più grande e il più autentico
che la letteratura francese abbia oggi»; Walter
Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di Simenon»; Louis-Ferdinand
Céline: «Ci sono scrittori che ammiro moltissimo: il
Simenon dei Pitard, per esempio, bisognerebbe parlarne tutti i
giorni».
Le Centre d'études Georges Simenon et le Fonds Simenon de l'Université de Liège si trovano all'indirizzo: www.ulg.ac.be/libnet/simenon.htm.
Renzo
Montagnoli