Conversazione con Primo Levi
di Ferdinando Camon
Presentazione dell'autore
Disegno e grafica di
copertina di Guido Scarabattolo
Guanda Editore
www.guanda.it
Saggistica
Collana Quaderni della
Fenice
Pagg. 75
ISBN 9788882469290
Prezzo € 10,00
Il dilemma di Primo Levi
Due scrittori, assai noti (Primo Levi
aveva già scritto e pubblicato Se questo è un uomo e La
tregua, Ferdinando Camon, benché più giovane, era già
conosciuto per Il Quinto Stato, La
vita eterna, Occidente e Un altare per la madre),
si incontrarono nei primi anni '80, per la precisione il primo contatto diretto
avvenne nel 1982 a
Torino, città in cui Primo Levi era nato e risiedeva; ce ne furono
successivamente degli altri, tanto che l'ultimo fu nel 1986.
Quella che doveva essere un'intervista
di Camon a Levi divenne una vera e propria conversazione, che pur obbedendo a
una scaletta di domande predisposte dal primo e concordate con il secondo, si
rivelò uno scambio di opinioni di grandissimo interesse. Deve essere dato atto
a Ferdinando Camon di aver ben interpretato i desideri dei lettori, più che mai
curiosi di conoscere qualche cosa di più di questo
grande autore, testimone e vittima della Shoa, per sua natura persona assai
umile e che ha sempre cercato di parlare attraverso le sue opere.
Ma cosa spinse Camon a contattare Levi per intervistarlo? Questa è la prima domanda
che ho rivolto allo scrittore padovano che mi ha risposto, come sua
consuetudine, in modo esauriente e senza reticenze. Mi ha detto che era stato
spinto da un complesso di colpa, in quanto figlio di
quella civiltà dell'Europa occidentale che nel tempo ha preso di mira gli
ebrei, con un lavorio di esclusione durato diversi secoli e giunto al suo
culmine con la follia nazista volta al loro sterminio.
Beninteso questo senso di colpa è una
radice che uno si porta appresso per atti compiuti, magari molto tempo prima
che nascesse, dal mondo di cui fa parte, da una civiltà che si crede esemplare
e che invece nasconde in un'atavica avversione per gli ebrei, un nocciolo di inciviltà
ancor oggi difficilmente scalzabile, atteso un serpeggiante dilagare
dell'ostracismo per tutti quelli che non ne sono membri.
Come dice Camon, per lui andare da Levi
era come andare a Canossa, e forse ha avvertito tanto di più questo senso di
colpa in quanto cristiano e anche cattolico, proprio
per la constatazione che il far parte di un credo religioso porta
inconsciamente a vedere gli altri, cioè quelli di fede diversa, come degli
estranei.
E' stato però fortunato, perché Levi sì
era ebreo, ma non praticante, anzi non credente, per quanto in lui ci fosse una
continua ricerca che andava oltre l'umana comprensione dell'Olocausto, ma anche
di una relazione fra questo e un eventuale Entità superiore. Quando a
conclusione della conversazione Levi dice “C'è Auschwitz, quindi non può
esserci Dio,” aggiunge poi a matita sui foglio sui
quali la stessa è trascritta “Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo” è evidente che l'uomo era impegnato in
un logorante, ma anche angosciante tentativo di dare una risposta logica,
razionale, che andasse oltre l'atto di fede, in pratica una certezza che per
lui e per noi è del tutto impossibile.
Questa conversazione, in cui si
misurano due intellettuali di diversa matrice religiosa, è stata ben orientata
in nove temi, svolti con scambio di opinioni, non sempre coincidenti, e che
inducono il lettore a riflettere, magari esponendo un pensiero anche dissimile,
tanto che più di una volta, e questo è accaduto a me, nasce proprio la voglia
di potersi inserire nel colloquio che non risulta di
un asettico accademismo.
Il
diavolo nella storia, La colpa di essere nati, Cos'era il lager, La Germania
allora e ora, Perché scrivere, Lager nazista e lager comunista, La nascita di
Israele, Le opere, L'uomo e la chimica, sono questi gli argomenti su cui si è svolta la conversazione e, se pur
non si è arrivati a conclusioni di verità assolute, lo scambio di pareri, le
osservazioni puntuali e razionali a cui è sempre stata improntata costituiscono
un contributo importante che, senza arrivare a conclusioni certe e definitive,
pur tuttavia rappresentano un arricchimento di cui tutti possono beneficiare.
In fondo ci troviamo di fronte a due
persone che non desiderano imporre le loro idee, ma che vogliono
solo capire, e questo è l'altro aspetto di pregio di questo libro,
perché alla fine non ci sono né vinti, né vincitori, ma si resta consapevoli
che qualche cosa si è fatto, che un altro passo verso la conoscenza si è
compiuto.
Devo dire che mi sarebbe piaciuto poter
intervistare Levi, ma non credo proprio che avrei potuto dare
vita a una conversazione così interessante come invece ha fatto Camon e
l'impressione che alla fine si ritrae é che questi due uomini, di estrazione
diversa, sono più simili di quanto non si possa immaginare e pagina dopo pagina
è piacevole lasciarsi condurre quasi per mano da entrambi in un percorso
altamente gratificante e che porta a una grande sensazione di serenità, la
stessa che si raggiunge quando si è consapevoli di un accrescimento del proprio
patrimonio culturale.
Per quanto ovvio, Conversazione con Primo Levi
è sicuramente e ampiamente raccomandabile.
Ferdinando Camon è nato in provincia di Padova. In una
dozzina di romanzi (tutti pubblicati con Garzanti) ha raccontato la morte della
civiltà contadina (Il quinto stato, La vita eterna, Un altare
per la madre – Premio Strega 1978), il terrorismo (Occidente, Storia
di Sirio), la psicoanalisi (La malattia chiamata uomo, La donna
dei fili), e lo scontro di civiltà, con l'arrivo degli extracomunitari (La
Terra è di tutti). È tradotto in 22 paesi. Il suo
ultimo romanzo è La mia stirpe (2011).
Il suo sito è www.ferdinandocamon.it
Renzo Montagnoli