La catastròfa
Marcinelle 8 agosto 1956
di Paolo Di Stefano
Sellerio editore Palermo
www.sellerio.it
Narrativa romanzo
Collana La memoria
Pagg. 249
ISBN 9788838925511
Prezzo € 13,00
Una tragedia da non dimenticare
«Ma
alla fine abbiamo mandato giù papà al cimitero, mentre noi abbiamo rimasto qui
in Belgio e non ce l'ho mai domandato alla mamma, che
ora ha novantasei anni, perché ha voluto prendere questa decisione di non
muoversi più dal Belgio».
È l'8 agosto 1956 a Marcinelle,
nei pressi di Charleroi, il turno di giorno è da poco
iniziato alla miniera di carbone del Bois du Cazier; in profondità c'è poca
luce che stranamente invece non manca in superficie, perché la giornata non è,
come quasi sempre, grigia, ma c'è un bel cielo
azzurro. All'improvviso dense volute di fumo si sprigionano all'uscita del
pozzo numero 1: è da poco iniziato un disastro che condurrà alla morte 262 dei
274 uomini impegnati al lavoro e di questi 262 ben 136 sono immigrati italiani.
È la catastròfa, una parola metà
dialetto e metà francese, con cui verrà ricordata questa tragedia e di essa
parla Paolo Di Stefano in questo libro, frutto di ricerche, di interviste ad
alcuni dei pochi superstiti e ai familiari delle vittime, un coro di voci che,
se non reclama più giustizia, però si leva affinché non si dimentichi, non cada
nell'oblio, come del resto stava accadendo, a tanti altri fatti luttuosi
accaduti e che hanno riguardato nostri connazionali all'estero e in patria.
Non dimentichiamo questi poveri
emigranti, partiti dai loro paesi dove facevano la fame, per avere un futuro meno nero e che
invece non ebbero futuro.
Fra l'altro, non andarono
all'avventura, ma in base a un accordo italo-belga che prevedeva l'invio di lavoratori in cambio di
carbone, di braccia, di cui il Belgio aveva disperatamente bisogno, contro una fonte di energia indispensabile a
un‘Italia che cercava di risorgere dalle rovine della guerra.
Come sempre accade in caso di disastri
in ambienti di lavoro le cause non furono mai esattamente determinate, anzi
quasi tutto venne messo a tacere, con un processo
farsa che punì, moderatamente, forse il meno colpevole. Sta di fatto che,
indipendentemente da chi e come provocò l'incidente,
questo avvenne in una miniera vecchia, dotata di scarse misure di sicurezza, e
per di più ci fu anche disorganizzazione nei soccorsi, insomma un insieme di
concause che si tradusse in una vera e propria strage. Le interviste sono state
semplicemente trascritte da Di Stefano, salvo una sua breve introduzione, e nel
loro italiano scorretto e stentato hanno la forza della verità, trasmettono al
lettore un senso di dolore che a distanza di tanti anni non si è placato. Sono
donne ormai anziane, quelle stesse che hanno affollato
per giorni e giorni l'area antistante la miniera, chiusa da cancelli, che hanno
pianto, che si sono disperate, che a volte si sono rifugiate in una temporanea
speranza, che hanno vissuto la tragedia con l'angoscia di non poter rivedere,
come poi accadde, i propri cari.
Ma ci sono anche uomini, alcuni
superstiti, minati spesso dalla silicosi, che con un filo di voce gridano la
loro tristezza per gli amici scomparsi e per una verità che non è venuta e non
arriverà mai.
E poi ci sono gli orfani e tutti in pratica lo
divennero, anche le mogli e i pochi superstiti, orfani di uno stato, quello
italiano, che si disinteressò completamente della loro sorte, che non fu mai
presente, nemmeno con un ministro, nei giorni angosciosi che seguirono
l'incidente. Lo stato fu loro distante come lo fu sempre, anche quando quasi benedisse che il numero dei nostri emigranti
era in crescita. Non una grande e affiatata famiglia, quindi,
bensì un padre dispotico pronto sempre a fuggire dai propri doveri, allora come
anche oggi.
A fronte di questa
umanità dolente troviamo i freddi verbali, le perizie, le parole vuote, pregne
di retorica, dei nostri politici, fra i
quali Giuseppe Saragat e Giovanni Leone.
Braccia contro carbone, schiavi contro
l'energia per le fabbriche dei nostri industriali, gente che partiva dal paese
senza aver nemmeno nulla da mangiare durante il viaggio, in fuga dalla miseria
verso le fauci della miniera.
Dobbiamo ricordarci di questi nostri
emigranti, l'Italia deve a loro molto di più di quanto - in pratica nulla -ha
fino ad ora loro dato; con il loro duro lavoro, con il loro sacrificio, hanno
fatto ritrovare alla loro nazione quella dignità che una guerra insensata aveva
cancellato.
Da leggere, per riflettere, ma
soprattutto per non dimenticare.
Paolo Di
Stefano, nato ad Avola (Siracusa) nel 1956, inviato del "Corriere
della Sera" è stato capo delle pagine culturali. Laureato con Cesare Segre all'Università di Pavia, ha
debuttato nel giornalismo come responsabile del ‟Corriere del Ticino” di
Lugano. Ha lavorato per l'Einaudi, e per il quotidiano ‟La Repubblica”. Attualmente è giornalista culturale del "Corriere della
Sera".
Ha scritto,
fra l'altro:
Minuti contati (Scheiwiller, Milano 1990, Premio Sinisgalli), Baci da non ripetere (Feltrinelli 1994,
Premio Comisso); Azzurro troppo azzurro
(Feltrinelli 1996, Premio Grinzane Cavour); Tutti
contenti (Feltrinelli 2003, Superpremio Vittorini, Superpremio Flaiano,
Premio Letterario Chianti), Aiutami tu (Feltrinelli 2005, SuperMondello), Nel cuore che ti cerca (Rizzoli 2008,
Premio Campiello e Premio Brancati), Per più amore
(Manni Editore), La catastròfa
(Sellerio 2011, Premio Volponi), Giallo d'Avola (Sellerio 2013, Premio Viareggio-Rèpaci 2013).
Renzo Montagnoli