Il quinto stato
di Ferdinando Camon
Prefazione di Pier Paolo
Pasolini
Postfazione di Gianfranco
Bettin
Premessa dell'autore
Edizioni TEA
Narrativa romanzo
Pagg. 163
ISBN 9788878185081
Prezzo € 7,23
Com'era la civiltà
contadina
“ Nei campi dei Frati si trova il cimitero
col quale comincia il paese di San Marco, e il cimitero consiste in un quarto
di campo che per ora non è coltivato ma è lasciato lì
per le tombe, e le tombe si distinguono per i piccoli rialzi di terra smossa
nella quale son piantati dei fiori da morto. Il cimitero non è recintato e così
i morti è come se non avessero una sede obbligata, e infatti
la loro presenza la si sente massiccia e ingombrante un po' dovunque, tanto che
mio padre ci raccontava al focolare che uno dei nostri antenati passando di
notte davanti al cimitero sentì qualcuno piangere e disperarsi ma guardando
bene non vide nessuno anche se c'era luna grande, e poiché il pianto gli
s'avvicinava tanto che ormai gli era a un passo, per lo spavento si fece il
segno della croce per arrestarlo e disse:<< Anema
del Purgatorio, dime chi te sì, che te fo dir na messa>>. Ma ormai era troppo tardi, il pianto gli
era addosso anzi era come se glielo versassero dentro le orecchie, e allora
l'antenato buttò via il tabarro e scappò saltando i fossi
e le siepi, piombò in casa, sprangò la porta, e subito sentì come un tonfo
contro di essa: certo doveva trattarsi di un'anima del purgatorio o
dell'Inferno, comunque arsa nel fuoco, perché al mattino dopo aprendo la porta
vi scoprì l'impronta bruciacchiata di due ossa incrociate.”
Il quinto
stato è il primo romanzo pubblicato da Ferdinando Camon,
lo è in assoluto, ma anche quale primo scritto di un ciclo, da lui definito Ciclo degli Ultimi (gli altri sono La vita eterna e Un altare per la madre), destinato a quello che era una civiltà da non molto tempo scomparsa, quella contadina.
La
sua è una testimonianza diretta in quanto figlio di
contadini, cresciuto in quell'ambiente, da cui poi è emigrato, grazie agli
studi, prima che tutto finisse, prima che una società immobile da secoli fosse
spazzata via, quasi in un lampo, sostituita da una vera e propria industria
della terra, in cui la presenza, precedentemente pressoché totale del lavoro
manuale, è stata cancellata dal ricorso alle macchine, da sistemi di produzione
ben diversi da quelli in passato
utilizzati per millenni. È un po' ciò che è avvenuto con il passaggio
dall'attività artigiana a quella industriale, dalla produzione singola o quasi
a quella in grande serie, ma nel caso della campagna si è verificato un
cambiamento più radicale del modo di vivere e di essere di colui
che coltiva la terra, perché, a differenza dell'artigiano che poteva
trarre beneficio da continue innovazioni tecnologiche, il sistema produttivo
era rimasto pressoché inalterato nei secoli. Per quanto io
- ma ero ancora bambino - abbia potuto vedere questo mondo oggi estinto, ho
ritratto più che altro impressioni, poiché non ne ero parte, provenendo dalla
città. Nel leggere questo libro mi sono
reso conto di quanto inesatte fossero le mie conclusioni fondate su queste
sensazioni, di quanto apparisse ridicolo un mio certo senso di superiorità con
cui relegavo i contadini, benché parenti anche stretti, al rango di esseri alla
periferia di un mondo, il mio, che appariva moderno, privo
di pregiudizi, fondato su calcoli razionali e su una materialità che sembravano
destinare l'umanità a un futuro paradisiaco. Insomma, sentivo lontani i
contadini, quasi parti di un'altra società che non era cresciuta e si era
evoluta come la mia. Il quinto stato mi ha aperto gli
occhi, ha squarciato un velo di pregiudizio di cui dovrei provar vergogna,
perché non mi è più possibile riparare, perché quelle genti non esistono più,
morte e sepolte a causa dell'avanzata età, oppure letteralmente trasformate, e
spesso con un processo assai rapido, in netto contrasto con l'immobilismo di
secoli.
Camon
sa ben descrivere quel mondo, con un linguaggio, che senza scendere al loro,
non è il nostro corrente, ma un abile artificio in cui il ricorso alla parola,
anche dialettale, consente al lettore di calarsi meglio nell'
ambiente, in un'atmosfera unica e irripetibile.
Uomini
e donne che si sfiancano dalla mattina alla sera a
lavorare quella terra che al contempo amano e odiano, arature lunghe
avvalendosi come traino del bue, un paesaggio piatto, assolato d'estate,
brumoso in inverno, i cui abitanti si muovono e si agitano da millenni, con una
ripetitività tale che il futuro si può identificare benissimo con il presente e
con il passato. C'è una religiosità che promana da quel legame con la natura,
in un intreccio con un cristianesimo permeato di superstizioni, di antichi riti
una volta forse condotti da sciamani e più avanti
invece da preti. I concetti stessi di famiglia e di proprietà risultano atavici, anche se non per questo errati, con
curiosità del tutto particolari, come i rituali consentiti per il
corteggiamento, quelli per il
matrimonio, come l'inveterata abitudine di attribuire ai nati i nomi di avi
defunti che con il tempo svilupperanno le stesse malattie di chi han preso il
nome.
E' un
mondo popolato di spiriti, anzi in cui la presenza del diavolo è costante, in
cui pertanto il ricorso all'esorcista è assai frequente, un mondo che a prima
vista potrebbe sembrare quello dell'antica Arcadia, con la quiete dei campi, le
lente processioni per reclamare la pioggia o per evitare la grandine, ma è
anche un mondo di grandi odi e di grandi amori, un
mondo estremo, in cui violenze bestiali si accompagnano a grandi slanci di
solidarietà, una società chiusa in un vago concetto di paese, i cui abitanti
tutti si conoscono, si guardano spesso in cagnesco, ma anche si aiutano.
Ci
sono volute forse la guerra, la seconda, le violenze dell'occupante tedesco, le
distruzioni e poi l'immancabile ricostruzione, con lo sviluppo industriale, a
minare questa immobilità e come un coccio troppo vecchio la civiltà contadina
ha cominciato a incrinarsi, con i giovani attirati irresistibilmente dalla
città, dal lavoro nell'industria, meno pesante di quello dei campi, e poi, più
velocemente di quanto non si pensi, il vaso si è rotto, perché chi è rimasto a
lavorare la terra ha dovuto, in mancanza di braccia,
ricorrere alle macchine, ha dovuto scoprire nuove colture e nuovi metodi di
coltivazione, gli è stato necessario programmare, investire, diventando così un
vero e proprio imprenditore.
La
mentalità poco a poco è cambiata, mantenendo tuttavia qualche tratto di quella
vecchia, tenendo sempre ben in evidenza il diavolo, quell'entità oscura che rappresenta
il male in noi tutti, anche nei santi. Sì, l'esorcista non è sparito, ma ora
contro la grandine si usano i cannoni, contro la siccità l'irrigazione
artificiale e la famiglia, ormai di numero ridotto, non è più legata alla
stretta gerarchia del tempo andato. Gli odi sono diventati inimicizie e la
solidarietà si limita per lo più a poche parole di circostanza.
Com'è
lontano il mondo in cui trascorse la sua giovinezza Camon, ma come appare
vicino leggendo il suo libro, come si avverte la fatica del duro lavoro,
l'emozione che accompagna la narrazione quando si parla di una giovinetta
ospitata a seguito della famosa alluvione del Po del
1951, quel contatto con una cittadina che apriva l'allora giovane scrittore a
un'altra realtà, sconosciuta e pertanto mitizzata. Ecco allora che s'incrina un
modo di vivere immutabile, si sogna una vita diversa e quindi comincia,
dapprima lenta, l'erosione di una civiltà; sono pagine intense di quello che
non si può chiamare romanzo, ma quasi una confessione, il ricordo, con una
punta di rimpianto, di ciò che era e poi sparì.
Il
libro è molto bello, con più di una pagina in cui emerge una vena poetica
sincera senza essere accorata, con tante figure, molte senza un nome, in quanto emblematiche di un certo modo di vivere, ma che
destano curiosità, anche simpatia, immagini indistinte, ombre ormai relegate a
memoria per chi scrive e a esemplari protagonisti di una società scomparsa per
il fortunato lettore che vorrà scoprire radici ormai per sempre sepolte.
Ferdinando Camon è nato in provincia di Padova. In una
dozzina di romanzi (tutti pubblicati con Garzanti) ha raccontato la morte della
civiltà contadina (Il quinto stato, La vita eterna, Un altare
per la madre – Premio Strega 1978), il terrorismo (Occidente, Storia
di Sirio), la psicoanalisi (La malattia chiamata uomo, La donna
dei fili), e lo scontro di civiltà, con l'arrivo degli extracomunitari (La
Terra è di tutti). È tradotto in 22 paesi. Il suo
ultimo romanzo è La mia stirpe (2011).
Il suo sito è www.ferdinandocamon.it
Renzo Montagnoli