Argo il cieco
di Gesualdo Bufalino
Introduzione di Massimo Onofri
Bompiani Editore
Narrativa romanzo
Collana Tascabili narrativa
Pagg. 208
ISBN 9788845246333
Prezzo € 9,00
Memoria e sogno
“…Infine
dai costoni di monte Tabbuto, dalle grotte di Pantalica e d'Ispica, tutta la
terra, miocene e pliocene, schisti, faglie, semenze e tane, vene d'acqua e
crepacci da sisma, tutta la terra del Val di Noto
tremò, socchiuse impercettibilmente le labbra a un sorriso. Uno scorpione fra
due sassi strofinò languido le due chele fra loro, una madamina
lucertola dalla trincea d'un filo d'erba sporse un attimo il muso, lo ritrasse , lo sporse ancora, Don Alvise si tolse le mutande lunghe
di lana e fu primavera.”
È strana la storia di questo grande
autore siciliano che pubblicò il suo primo e fortunato romanzo Diceria dell'untore, e solo in seguito a
un fatto fortuito, nel 1981, quando cioè aveva già 61
anni. Da allora, fu come si fosse scrollato di dosso
una maledizione che lo aveva relegato in una oscura vita di insegnante e così,
nel lasso di tempo che ancora gli restò da vivere (morirà il 14 giugno 1996 in un incidente
d'auto) diede vita a una corposa produzione, peraltro tutta di elevata qualità.
Fra questa figura anche Argo il cieco, che vide la luce nel
1984, un altro romanzo che pone in risalto, oltre alla straordinaria capacità
narrativa, la sua altrettanto stupefacente abilità nell'uso della parola, mai superflua pur
risultando abbondante, una quasi prosa poetica che al tempo stesso affascina e
diverte.
E Argo il cieco è la sua seconda
opera, smentendo così l'idea che non pochi si erano
fatti che Diceria dell'untore fosse
un unicum, un'esperienza di vita
vissuta più volte scritta e riscritta quasi a futura memoria. È proprio la
memoria che si mette in luce nuovamente in questo libro in cui l'autore pare
voler rendere confessione al lettore accompagnandolo per mano fra presente e
passato, con un'epoca in cui un uomo, ormai avanti con gli anni, cerca di fare
i conti con il suo trascorso, ma un trascorso particolare, un anno, il 1951, da
lui vissuto a Modica.
Così, chi non ha più speranze di futuro
e come un cieco non lo vede, cercando anche di oscurare un presente del tutto
insoddisfacente, il ricorso al ricordo è un espediente per rifugiarsi in una
realtà passata, magari in parte arricchita con la fantasia. La ricerca dell'amore in un trentenne che in
quel 1951 si considerava vecchio e che ora a sessant'anni si sforza di pensarsi giovane è l'occasione per una lunga carrellata su
tutta una serie di personaggi, compreso un Gesualdo
così diverso (ma fino a un certo punto) dall'attuale. Quel giovane insegnante,
in quell'estate a Modica di trent'anni prima, più che cercare l'amore, vuole l'amore, come un fatto proprio e unilaterale, il che poi gli
comporterà inevitabili insuccessi. Le varie Maria Venera,
Cecilia, Isolina ritornano alla sua memoria come
sogni di gioventù, desideri di un ardore frenato dall'inconscio limite di non
impegnarsi troppo, e così i suoi innamoramenti non vengono corrisposti,
diventano una sorta di temporanee infatuazioni, che non cerca di concretizzare
e, anche quando, lo fa, è già più che certo dell'inevitabile rifiuto. Si tratta
di un personaggio che arranca fra le donne con l'inconsapevole presupposto che
l'amore, quello vero, e non quindi il convegno carnale, è un attimo fuggente,
una chimera da inseguire per avere poi, più avanti negli anni, un ricordo che,
sbiadito, magari anche in parte inventato, consenta di fare un bilancio non del
tutto in perdita.
Bufalino si dimostra un maestro in questo
difficile compito, intervenendo con sottile ironia, proprio quando può sembrare
che la narrazione gli stia sfuggendo di mano,
miscelando abilmente un'atmosfera e un'ambientazione che sono palpabili, intercalando
qualche sciabolata sui costumi con riflessioni che non sono mai fuori tema.
Inoltre, quello che stupisce e
affascina è lo stile, quasi arabescato, uno sviluppo di parole dotate di
armonia che costituiscono una preziosa cornice – di cui più sopra fornisco un
esempio – a una vicenda di per sé quanto mai avvincente. La cultura di Bufalino era senza dubbio assai elevata, ma l'uso che lui
ne fa in questo libro non è mai fine a se stesso, non è ostentato, anzi appare
più che mai funzionale alla trama, conferendo all'opera un ulteriore
elemento di pregio.
A questo punto mi sembra quasi
superfluo aggiungere che ne caldeggio vivamente la
lettura.
Gesualdo Bufalino (Comiso 1920-1996) è stato
memorabile autore di romanzi (Diceria dell'untore, 1981; Argo il cieco,
1984; Le menzogne della notte, 1988, ecc.), racconti (L'uomo invaso e
altre invenzioni, 1986), poesie (L'amaro miele, 1982), saggi (Cere
perse, 1985; La luce e il lutto, 1988, ecc.), libri di aforismi (Il
malpensante, 1987; Bluff di parole, 1994), traduzioni. Le sue opere
complete, in due volumi, sono edite nei Classici Bompiani.
Renzo Montagnoli