Vita di Henry Brulard
di Stendhal
Introduzione di Mario Lavagetto
Prefazione, traduzione e note di Nunzia
Palmieri.
Garzanti Libri
Narrativa romanzo autobiografico
Pagg. XLIV + 506
ISBN 9788811365884
Prezzo
€ 11,00
L'autobiografia di Heni
Beyle
Non si può certo negare che fra le
caratteristiche di Stendhal ci fosse la passione per gli pseudonimi, e del
resto Stendhal stesso è un nome di fantasia, sotto cui si cela Henry Beyle. Non c'è da stupirsi, quindi, se alla propria
autobiografia, che poteva essere benissimo intitolata Vita di me medesimo, oppure più direttamente Vita di Henri Beyle, l'autore abbia
preferito ricorrere ancora una volta a un innocente stratagemma ed è così che
ai posteri è stata tramandata la Vita di Henri Brulard,
dove, guarda caso, le iniziali del nome e del cognome sono le stesse di quelle
dello scrittore francese.
Una domanda che però ci si pone è il perché
di questa autobiografia, la cui stesura iniziò nell'ottobre del 1835, allorché
aveva cinquantadue anni; sarebbe una risposta troppo semplice individuarne il
motivo nella necessità di fare un punto della situazione, di tracciare,
lasciando un segno a futura memoria, un'esistenza, magari più avventurosa e
meno canonica di altre. In realtà, pur
non escludendo questa ipotesi, per come è scritta, per le domande che vengono
poste (Chi sono io? Sono buono,
intelligente, cattivo, stupido?), assume le caratteristiche di una ricerca
interiore, di una esplorazione fin dalla nascita del proprio “io” per cercare
di arrivare a delineare un ritratto di se stesso. Lo stile non è diverso dal
solito di Stendhal: diretto, immediato, con ben pochi fronzoli, votato
unicamente al fine per cui il lavoro è stato intrapreso. E se i ricordi non
seguono un preciso ordine temporale e le digressioni, peraltro sempre ben
pertinenti, sono frequenti, è un piacere immergersi in questa narrazione, fatta
in prima persona, non senza aver ben valutato pregi e difetti di parlare con un
Je o con un moi, che
ripugna un po' all'autore, timoroso di porre troppo in risalto se stesso,
nonostante che l'opera verta su di lui.
Sintetico e mai greve, apprendiamo così cose
che ignoravamo, come l'autentica passione per la madre, persa quando era ancora
un bambino; l'avversione per un padre, avido, ma non intelligente, e che finirà
con il rovinarsi; la deliziosa e rapida descrizione del nonno materno, visto
come un personaggio di cui non si può che avere rimpianto.
C'é tutta la sua vita, da scapolo sempre
dietro alle sottane, le campagne napoleoniche, la penosa delusione per la restaurazione,
i suoi viaggi, la disistima dei nobili, perfino il suo ateismo, insomma una
confessione a tutto campo, spesso di un candore fanciullesco che induce a
tenerezza.
Sembra un romanzo, il frutto di un'idea
creativa, ma non lo è; è invece un quadro che si viene formando pagina dopo
pagina e che ci aiuta a comprendere meglio, attraverso l'Henri Beyle uomo lo Stendhal scrittore, in fondo un incompreso
alla sua epoca, troppo avveniristico, e del resto le sue qualità e gli
estimatori emersero assai più tardi, nel secolo scorso.
A volte la narrazione diventa anche
imbarazzante, come quando stila l'elenco selle sue donne: non poche, ma più
insuccessi che successi, e forse sarebbe il caso di dire che non amò chi lo
amava veramente, accendendosi invece di passione con quelle che giocavano
all'amore. Si ritrova in questo un certo
infantilismo, ma che non stupisce più di tanto, perché la prima donna che amò
veramente fu proprio la madre, che un crudele destino gli portò via quando
ancora ne era invaghito da bimbo che si stava affacciando alla vita.
Psicologicamente si potrebbe dire che la sua
vita amorosa fu la continua ricerca di una seconda immagine di madre, che però
non trovò e che comunque non avrebbe mai trovato.
Non credevo che, leggendo queste pagine, avrei
provato un senso di pietà per uno scrittore che è fra i miei preferiti, e
invece, nonostante una sua continua autoironia, trapela un patimento di fondo,
un senso d'incompiutezza per un'infanzia troppo presto finita e la rincorsa
accelerata verso un'età adulta, che lasciarono un vuoto che mai riuscì a
colmare.
Vita di Henry Brulard è uno di quei libri che inizi a leggere per
curiosità, ma che poi ti avvince tanto da non poter far meno, una volta
ultimato, di riprenderlo in mano ogni tanto, per rivedere questa o quella
pagina, per scoprire in fondo che nella vita di ognuno di noi gli aspetti
comuni non sono poi così rari.
Potrei dire che è bello perché stato scritto
da Stendhal, e sarebbe vero, ma forse il
giudizio più aderente a una simile opera è assai più sintetico: è un
capolavoro.
Stendhal, pseudonimo di Henri Beyle, nasce a Grenoble il 23 gennaio 1783 e muore a
Parigi il 23 marzo 1842. Convinto sostenitore della rivoluzione, alla caduta di
Napoleone assume un atteggiamento di condiscendenza con la restaurazione
intervenuta, in contrasto con le sue idee,
ma indispensabile per poter vivere; preferisce
soggiornare lontano dalla Francia, in Italia, dove svolge l'attività di
Console, di scarso interesse, ma abbastanza remunerativa per consentirgli di
dedicare la maggior parte del suo tempo alla narrativa. Fra le sue opere
ricordiamo Lucien Leuwen, Cronache
italiane, La badessa di Castro, Dell'amore, la
Certosa di Parma e la sua migliore Il rosso e il nero.
Renzo
Montagnoli