Il piatto piange
di Piero Chiara
Edizioni Mondadori
Narrativa romanzo
Pagg. 190
ISBN: 8804307870
Prezzo: € 7,80
Sono trascorsi ormai
oltre 40 anni dall'uscita di questo romanzo (era il 1962) e in quest'arco di tempo
ho avuto l'occasione di leggerlo più volte, ritraendone sempre un gradimento
crescente.
E' stata la prima fatica,
nella narrativa, di
Piero Chiara, a cui ne seguirono diverse altre dall'esito egualmente fortunato
(La spartizione, 1964; Il balordo, 1967, con cui vinse Il Bagutta;
Il Pretore di Cuvio, 1973; La stanza del vescovo,
1976; Il cappotto di astrakan, 1978; Vedrò Singapore ?, 1981).
Benché abbia letto tutti
questi romanzi, apprezzandoli, Il piatto piange mi è rimasto dentro con
un'emozione che si rinnova a ogni lettura. Non so spiegarmene esattamente il
motivo, ma penso che a questa mia preferenza non poco
contribuisca l'aver scoperto tanti anni fa come sia possibile scrivere di
eventi, del tutto normali, in modo semplice, ma efficace. Sì, perché lo stile
di Piero Chiara è del tutto particolare, nel senso che, senza ricorrere a
magistrali descrizioni, ha un'immediatezza che consente al lettore di vedere
trasformarsi le parole in immagini. Un pregio, quindi, rilevante che, unito
all'originalità delle trame, ha decretato il successo di questo grande
scrittore che ha visto poi molte delle sue opere trasposte sul grande schermo.
In questo senso, Il
piatto piange assume caratteristiche proprie del neorealismo, con
un'ambientazione della vita di paese, nell'arco fra le due guerre, di rilevante
interesse, non solo letterario, ma anche sociologico.
E' un mondo chiuso, quasi
addormentato, dove la vita scorre ancor più monotona per effetto del regime
fascista che tende a impedire ogni novità. In quest'atmosfera di un ozio quasi
logorante, gli accaniti giocatori di poker o chemin
de fer trovano nelle carte un'evasione quasi
surreale, una forma di innocua primordiale ribellione. Gli unici eventi,
quindi, che si staccano dal grigiore quotidiano sono le interminabili partite,
con i lazzi nei confronti dei perdenti, oppure le avventure boccaccesche, anche
queste una sorta di gioco per rivendicare la propria essenza di uomini
fondamentalmente liberi.
In un clima ovattato, fra
le montagne e il lago, si delineano, più che una serie di storie, una varietà
di personaggi, ognuno con pregi e difetti, ma soprattutto con caratteristiche
del tutto proprie.
Troviamo così il
biscazziere Sberzi, disposto perfino a giocare se
stesso, Mammarosa, la tenutaria del bordello del paese,
descritta con senso di tenerezza come una delle istituzioni del luogo, l'anonimo Camola, se pur nell'intimo misterioso, e il tombeur des femmes
Tolini.
E' tutto un mondo proprio
di un'epoca e che verrà spazzato via dalla seconda
guerra mondiale e dalla Resistenza, tanto che i due personaggi più tipici e
anche più forti, il Camola e il Tolini, moriranno in
circostanze diverse, ma in seguito a una zuffa con i tedeschi.
Assicuro che leggere
queste pagine è di un'estrema piacevolezza, quasi a riscoprire una diversa
civiltà, ora perduta, una sorta di archeologia letteraria che Piero Chiara ha
saputo e voluto farci conoscere.
Piero Chiara nasce a Luino il 23 marzo 1913, in una famiglia di origini siciliane.
Studia in vari collegi religiosi, ma
poi abbandona la scuola, completando da autodidatta la propria formazione
culturale.
Dipendente di un'amministrazione
statale, vive, durante gli anni del fascismo, la più chiusa e al tempo stesso
più eccitante vita di provincia: lunghe letture, il gioco e gli intrighi
d'amore.
Data la sua naturale indole al
dissenso, diviene inviso al fascismo, al punto che il Tribunale Speciale emette
una severa condanna nei suoi confronti e che evita unicamente con la fuga in
Svizzera.
Terminata la guerra, ritorna in Italia
con un'aureola di antifascista, che gli sarà di aiuto nel reinserimento
nell'Italia repubblicana.
Inizia un periodo di fervida
creatività che lo porta ad abbandonare il lavoro nell'amministrazione statale
per dedicarsi unicamente alla scrittura.
Nascono così i romanzi che ho citato,
oltre a molti altri, una produzione tutta di notevole livello, dove la capacità
dell'autore di scrivere con equilibrio, di non indulgere mai alla volgarità
anche nelle storie più scabrose, non viene mai meno.
Piero Chiara muore a Varese il 31
dicembre 1986.