L’animale
a sei zampe
di
Vincenzo Celano
Edigrafema
edizioni
www.edigrafema.it
Narrativa
romanzo
Pagg.
184
ISBN
978-88-98432-02-8.
Prezzo
Euro 13,00
Una
civiltà scomparsa
E’
indubbio che una civiltà plurisecolare come quella contadina
sia venuta meno nel volgere di pochi anni seguenti la fine della
seconda guerra mondiale. Di questo evento epocale, e francamente
straordinario, ha parlato Ferdinando Camon in una serie di romanzi,
uno più bello dell’altro. Era però logico
aspettarsi che il narratore padovano non dovesse avere il privilegio
dell’esclusiva, relativamente a questo grande tema, e così
altri hanno avvertito la necessità di parlarci, dal loro punto
di vista, della fine di questa civiltà. Fra questi c’è
un narratore lucano che ha fatto in tempo a vedere come era il mondo
contadino, benché da ragazzo (è nato nel 1935),
scrivendo un romanzo in proposito (L’animale
a sei zampe).
Si tratta della storia di una famiglia lucana nella prima metà
del secolo scorso, i cui grandi eventi (La Grande Guerra, l’imporsi
del fascismo e la seconda guerra mondiale) sono visti dal basso, cioè
da chi li ha subiti. E questa è anche la prospettiva migliore
per scoprire i prodromi, i contesti, per avere un’idea
abbastanza precisa di come una famiglia dell’epoca, non ricca,
ma nemmeno povera, conducesse la sua esistenza. Se i personaggi sono
parecchi, i protagonisti principali sono due, il Capitano (è
un appellativo) che conduce una piccola azienda agricola di
proprietà, e la sua giumenta, la cavalla Ida; entrambi sono
complementari l’uno all’altro, in un rapporto di
padronanza e sudditanza che non esclude, anzi prevede, una sorta di
reciproco affetto. Sono loro il filo conduttore dell’opera che
si snoda implacabile, senza liturgie retoriche, nell’arco di
mezzo secolo, sconvolgente per i fatti che lo caratterizzarono, ma
che non lasciava intravvedere o presupporre che a pace raggiunta un
mondo che si credeva eterno sarebbe invece scomparso. Il ritmo è
volutamente lento, come certamente non rapide erano le giornate in
quell’epoca in campagna, e insieme alla storia di questa
famiglia, grazie alle frequenti digressioni, anche altri personaggi
hanno modo di mettersi in luce per le loro caratteristiche, finendo
con il concorrere a formare un grande affresco con al centro loro, il
Capitano e la giumenta, e tutti all’intorno affacciati sul
mondo uomini, donne e anche animali, in un’atmosfera rarefatta,
un po’ polverosa, tipica delle cose antiche, un bianco e nero
virato seppia che infonde una pacata malinconia. Scritto con un
italiano eccellente, anche se un po’ inconsueto ai giorni
nostri, L’animale
a sei zampe,
pur non avvincendo in modo particolare per il suo ritmo, riesce ad
attrarre per le continue scoperte di una realtà che mai a noi
sarà dato di provare e che pare talmente lontana da far
pensare a un parto di fantasia. Ci si chiede se si viveva così,
se la superstizione s’accompagnava, sovente soverchiandola,
alla religione, se erano più felici di adesso, avendo poi poco
o quasi nulla. Sotto questo aspetto Celano non si pronuncia e da
naturalista, forse inconsapevole, si limita a rappresentare vicende,
paesaggi, atmosfere, stati d’animo, il tutto con meticolosa e
certosina precisione. E in questa asetticità dell’autore
sta un altro dei meriti di questo romanzo, certamente riuscito, anche
se lontano dall’essere un capolavoro; bello è bello, è
pure interessante e inoltre le pagine scorrono sì lentamente,
ma anche gradevolmente, insomma mi sembra che sia più che
meritevole di lettura.
Vincenzo
Celano (Castelluccio
Inferiore, 1935) è giornalista e scrittore. Già autore
di racconti, I
pesci non hanno oroscopo per la sera (Manni,
1989 – con un’introduzione di G. Bàrberi
Squarotti), narrativa venatoria, La
beccaccia e il professore (Editoriale
Olimpia, 2006) e pubblicazioni di linguistica, La
pentola dell’esistenza. 1000 e più proverbi e sentenze
castelluccesi (EditricErmes,
2009), è un “narratore passionale e misterioso che
racconta l’uomo e la natura con la veemenza di Verga e
l’erotismo di Lawrence” (R. Nigro). Nel 1981 ha vinto il
Premio di poesia “Città di Legnano Giuseppe Tirinnanzi”
con i versi Non
alghe d’oro, ma frutti di vivissimo fuoco.
Nel 2006, il Museo Civico di Storia Naturale di Jesolo gli ha
conferito la medaglia d’oro con diploma di merito alla carriera
letteraria. Ama definirsi un “navigatore di boschi” e
accarezza l’idea che un giorno la propria lapide riporti incise
le parole di Cesare Pavese: “Fin da ragazzo, mi pareva che
andando per i boschi senza un cane avrei perduto troppa parte della
vita e dell’occulto della terra”.
Renzo
Montagnoli
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