La
vita davanti a sé
di
Romain Gary
Neri
Pozza Editore
Narrativa
romanzo
Pagg.
214
ISBN
9788854508347
Prezzo
Euro 9,90
Più
forte di un legame di sangue
Che
cosa abbia spinto Romain Gary a scrivere La
vita davanti a sé (e
non solo questa, ma altri tre romanzi) con lo pseudonimo di Emile
Ajar non è ben chiaro, tanto più che di questa
attribuzione effettiva siamo venuti a conoscenza solo dopo il
suicidio dello scrittore. Infatti, in forza della pubblicazione
postuma di Vita e morte di
Emile Ajar, si venne a sapere
che quell’Emile Ajar vincitore cinque anni prima del
prestigioso Premio Goncourt con La
vita davanti a sé altri
non era se non Romain Gary. A
onor del vero, se pur la psiche di Gary fosse particolarmente
complessa, non è improbabile che la scelta di un altro nome da
dare come paternità della sua produzione fosse anche dovuta al
fatto che, in parte a ragione, si riteneva perseguitato dalla critica
letteraria, che dopo l’attribuzione del Premio Goncourt 1956
con Le radici del cielo
lo incolpava di non essere stato capace di ripetersi con libri di
eguale valore. Per ironia della sorte anche La
vita davanti a sé
ottenne, come ho già scritto, il prestigioso premio Goncourt
e la cosa più strabiliante è che riviste di critica
letteraria che avevano bersagliato Gary si dimostrarono entusiaste
per Ajar. A parziale giustificazione di questo comportamento
incongruente devo dire che per stile e argomenti il romanzo in
questione sembra effettivamente scritto da un autore diverso, anche
se alcuni aspetti tipici di Gary, come per esempio una certa vena
poetica, ogni tanto affiorano, nonostante un linguaggio meno
ricercato e più crudo.
Ciò
premesso, è arrivato il momento di una disamina di quest’opera
che, a onor del vero, alla sua uscita ha suscitato opinioni
contrastanti e anch’io, benché mi sia piaciuta, ho
comunque formulato delle riserve perché in bocca a un bambino
certe frasi e certe riflessioni a volte sembrano artificiose,
trattandosi di discorsi propri di uomini maturi. Però devo
ammettere che il piccolo Momò ha una sua naturale simpatia,
una tenerezza nella sua fanciullesca innocenza che coinvolge
emotivamente. Periferie squallide dove vivono emarginati gli
immigrati, le famose banlieues sono lo scenario, il palcoscenico su
cui si svolge una vicenda tutto sommato semplice ma che è un
grande romanzo d’amore, non dell’amore fra un uomo e una
donna, ma del forte legame affettivo fra il bambino e la donna ebrea
a cui è stato affidato, a dimostrazione che non esistono solo
i vincoli di sangue e che nel bene e nel male l’esistenza può
essere anche motivo di gioia, purché si abbia il desiderio di
vivere, concetto molto bello, ma strano in un uomo che poi si
suiciderà.
Non
era facile da scrivere, era anzi difficile proprio per
l’ambientazione, per i personaggi, rappresentanti di un mondo
di reietti in cui abbondano protettori, drogati, prostitute, e far
uscire da quel letamaio un giglio come Momò per dimostrare che
in qualsiasi circostanza la vita comunque vale pena di essere vissuta
deve avere quasi provocato nell’autore un’ossessiva
ricerca del suo originario e ormai trascorso spirito infantile.
La
vita davanti a sé
non è un capolavoro come Educazione
europea, benché toccato
dalla grazia, incline però un po’ troppo, nonostante la
rudezza dell’esposizione, a un sentimentalismo neppure tanto
velato; è però quel che si dice un romanzo eccellente,
dalla gradevole lettura e che lascia un’intensa commozione,
facendo nascere un istintivo desiderio di protezione, la voglia di
stendere una mano per carezzare il viso piangente di Momò.
Romain
Gary
(Pseudonimo di Romain Kacev) nacque nel 1914. Lituano di nascita, nel
1928 si trasferì a Parigi. A trent'anni, Gary è un eroe
di guerra (gli viene conferita la Legion d'honneur) e scrive il suo
primo romanzo, Formiche
a Stalingrado (1945),
ispirato alla resistenza polacca contro i tedeschi, e che Sartre
giudica il miglior testo sulla resistenza; comincia a lavorare
come diplomatico per la Francia. Nel 1956 vince il Gouncourt
con Le
radici del cielo,
ambientato in Africa, sulla lotta generosa di pochi volonterosi
contro la decimazione degli elefanti, cui seguono, tra gli altri: La
promessa dell’alba (1959),
dedicato alla memoria della madre; Cane
bianco (1970),
di contenuto antirazzista; La
vita davanti a sé (con
lo pseudonimo di Émile Ajar, 1975, Premio Goncourt); Gli
aquiloni (1980).
Fu
il marito della scrittrice Lesley Blanch e dell'attrice americana
Jean Seberg, dalla quale divorziò. Poco più di un anno
dopo il suicidio di questa (settembre 1979, per ingestione di
barbiturici), si diede la morte nella sua casa a Parigi. In Italia i
suoi romanzi sono pubblicati da Neri Pozza.
Renzo
Montagnoli
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