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  Recensioni  »  Vita e destino, di Vasilij Grossman, edito da Adelphi 27/03/2019
 
Vita e destino

di Vasilij Grossman

Traduzione di Claudia Zonghetti

Edizioni Adelphi

Narrativa romanzo

Pagg. 750

ISBN 9788845927805

Prezzo Euro 18,00



Viaggio nel profondo dell’animo umano



E dove la violenza cerca di cancellare varietà e differenze, la vita si spegne.”

Non è stato un caso, ma una scelta quasi obbligata riportare questa fra le tante riflessioni dell’autore di Vita e destino, un aspetto non trascurabile di un’opera impegnata e impegnativa sul tema del bene e del male, trattato ricorrendo a un grandioso affresco storico in cui sono stati dipinti alcuni anni della seconda guerra mondiale, l’ultima del secolo scorso, caratterizzato dall’ascesa e caduta di due grandi totalitarismi, dall’orrore dei lager e dei gulag.

Ma c’è qualcosa che va anche oltre questo orrore ed è una Stalingrado dilaniata dalla guerra in cui il confine fra la vita e la morte è labile, tanto che i vivi sembrano ombre di quello che sarà il loro imminente futuro, un corpo esanime che è già tanto se è rimasto intero. La descrizione di questa lunga e quasi interminabile battaglia è una prova di bravura che rasenta l’inverosimile, tanto che sembra di udire, leggendo, il crepitio delle mitragliatrici, il sibilo dei proiettili in arrivo e infine lo scoppio degli stessi. Se questo è il palcoscenico la recita ha per oggetto le due grandi tragedie di quel secolo, il nazismo e lo stalinismo, mostrate in modo non tecnicistico, ma ricorrendo all’indubbio potere della letteratura.

Nella miriade di personaggi che affollano quest’opera, alcuni realmente esistiti, altri inventati, c’è un comune denominatore, nel senso che ognuno di loro, o per essere carnefice, o per essere vittima, oppure per restare indifferente, è parte indispensabile dell’assurdità dei totalitarismi, in cui l’ideologia distorta soffoca sempre la verità, in cui si tende a rendere gli esseri umani delle copie precise, capaci di interpretare l’orrore di ogni giorno sia attivamente che passivamente, e al riguardo mi vengono in mente certi processi staliniani in cui gli imputati, quasi sempre accusati ingiustamente, si autoaccusavano quasi con letizia, desiderosi di dare il loro contributo, se pur passivo, al continuo falò dell’orrore. E’ impossibile parlare dei protagonisti di questo libro, tanti sono da sembrare essi stessi il libro, ma è appunto attraverso le loro storie, vere e proprie testimonianze, che Grossman dà voce al suo pensiero. Tuttavia, un’eccezione la faccio, se non altro perché è in grado di spiegare meglio di me i concetti di questo romanzo; mi riferisco al bolscevico Mostovskoj e soprattutto al colloquio notturno in un lager nazista in cui il comandante, un SS di nome Liss, gli dice: “ .../ Quando io e lei ci guardiamo in faccia, non vediamo solo un viso che odiamo. È come se ci guardassimo allo specchio. È questa la tragedia della nostra epoca. Come potete non riconoscervi in noi, non vedere in noi la vostra stessa volontà? /...”. E’ la simmetria del male, perché il male è male, qualunque sia l’ideologia alla sua base. Sono tentato di andare oltre, di parlare più compiutamente di altri protagonisti di questo romanzo che accanto a pagine che fanno rabbrividire ne presenta altre a dir poco struggenti, come per esempio la lettera, l’ultima, al figlio di una madre ebrea rinchiusa in un ghetto e in procinto di affrontare il viaggio verso la morte. Fra tante verità, sommessamente pronunciate, fra le quali colpisce come una stilettata la bontà di chi non ha nulla, il suo altruismo insospettabile, c’è una vena poetica capace di far palpitare nel cuore del lettore il sentimento materno.

Su tutto, però, fiorisce l’anelito per la libertà, il desiderio di ognuno di avere un destino non imposto da altri, tanto più forte, quanto più è assente quella libertà che la violenza sopprime per tacere la verità. Non a caso Grossman scrive. “ .../ Il desiderio congenito di libertà non può essere amputato; lo si può soffocare, ma non distruggere. Il totalitarismo non può fare a meno della violenza. Se vi rinunciasse, cesserebbe di esistere. Il fondamento del totalitarismo è la violenza: esasperata, eterna, infinita, diretta o mascherata. L’uomo non rinuncia mai volontariamente alla libertà. E questa conclusione è il faro della nostra epoca, un faro acceso su tutto il nostro futuro. /...”.

Il romanzo è ovviamente molto bello, probabilmente uno dei capolavori dello scorso secolo; gli nuoce solo una certa discontinuità dovuta a una lunghezza non indifferente, ma cosa possono essere 750 pagine di fronte al piacere di scoprire che la lettura è un viaggio nel più profondo dell’animo umano?

Se ne potrà uscire sconvolti, oppure rapiti da un senso di serenità, ma in ogni caso c’è la convinzione che questo viaggio doveva essere fatto e che noi che l’abbiamo compiuto siamo un po’ cambiati, ora guardiamo la vita con occhi diversi.


Vasilij Grossman (Berdyciv, 12 dicembre 1905 – Mosca, 14 settembre 1964) è stato un giornalista e scrittore sovietico di origine ebraica.
Diventò ingegnere e dopo essere cresciuto a Ginevra e aver studiato a Kiev, all'epoca dei piani quinquennali credette talmente nella costruzione dell' "uomo nuovo" da abbandonare i cantieri minerari del Donbuss, dove lavorava, per mettersi a raccontare l'epopea dell'Unione Sovietica. 
Fu corrispondente di guerra per il quotidiano dell'esercito "Stella rossa" e seguì il fronte fino alla Germania. 
In quel periodo cominciò a comporre una grande opera sulla guerra, incentrata sulla Battaglia di Stalingrado, e diede alle stampe "Il popolo è immortale" (1943), esaltazione dei sacrifici sofferti dai popoli dell'Unione Sovietica durante l'invasione tedesca del 1941. 
Tra il 1944 e il 1945 lavorò a un'opera che documentava i crimini di guerra nazisti nei territori sovietici contro gli ebrei ("Il libro nero"). 
Grossman, ebreo sovietico, scrittore e giornalista, conobbe perciò direttamente le devastazioni della seconda guerra mondiale, la lotta contro i nazisti, la sconfitta di Hitler quindi l’ascesa di Stalin. 
Dopo aver assistito alla campagna antisemita (fra il 1949 e il 1953) si trovò in dissidio con il regime e cadde in disgrazia. 
Così la stesura finale della sua grande opera, Vita e Destino, venne sequestrata e non avrebbe mai visto la luce se qualcuno non avesse conservato e fatto pervenire clandestinamente una o due copie a Losanna, dove fu stampato nel 1980.


Renzo Montagnoli

 
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