Vita
e destino
di
Vasilij Grossman
Traduzione
di Claudia Zonghetti
Edizioni
Adelphi
Narrativa
romanzo
Pagg.
750
ISBN
9788845927805
Prezzo
Euro 18,00
Viaggio
nel profondo dell’animo umano
“E
dove la violenza cerca di cancellare varietà e differenze, la
vita si spegne.”
Non
è stato un caso, ma una scelta quasi obbligata riportare
questa fra le tante riflessioni dell’autore di Vita e
destino, un aspetto non trascurabile di un’opera
impegnata e impegnativa sul tema del bene e del male, trattato
ricorrendo a un grandioso affresco storico in cui sono stati dipinti
alcuni anni della seconda guerra mondiale, l’ultima del secolo
scorso, caratterizzato dall’ascesa e caduta di due grandi
totalitarismi, dall’orrore dei lager e dei gulag.
Ma
c’è qualcosa che va anche oltre questo orrore ed è
una Stalingrado dilaniata dalla guerra in cui il confine fra la vita
e la morte è labile, tanto che i vivi sembrano ombre di quello
che sarà il loro imminente futuro, un corpo esanime che è
già tanto se è rimasto intero. La descrizione di questa
lunga e quasi interminabile battaglia è una prova di bravura
che rasenta l’inverosimile, tanto che sembra di udire,
leggendo, il crepitio delle mitragliatrici, il sibilo dei proiettili
in arrivo e infine lo scoppio degli stessi. Se questo è il
palcoscenico la recita ha per oggetto le due grandi tragedie di quel
secolo, il nazismo e lo stalinismo, mostrate in modo non
tecnicistico, ma ricorrendo all’indubbio potere della
letteratura.
Nella
miriade di personaggi che affollano quest’opera, alcuni
realmente esistiti, altri inventati, c’è un comune
denominatore, nel senso che ognuno di loro, o per essere carnefice, o
per essere vittima, oppure per restare indifferente, è parte
indispensabile dell’assurdità dei totalitarismi, in cui
l’ideologia distorta soffoca sempre la verità, in cui si
tende a rendere gli esseri umani delle copie precise, capaci di
interpretare l’orrore di ogni giorno sia attivamente che
passivamente, e al riguardo mi vengono in mente certi processi
staliniani in cui gli imputati, quasi sempre accusati ingiustamente,
si autoaccusavano quasi con letizia, desiderosi di dare il loro
contributo, se pur passivo, al continuo falò dell’orrore.
E’ impossibile parlare dei protagonisti di questo libro, tanti
sono da sembrare essi stessi il libro, ma è appunto attraverso
le loro storie, vere e proprie testimonianze, che Grossman dà
voce al suo pensiero. Tuttavia, un’eccezione la faccio, se non
altro perché è in grado di spiegare meglio di me i
concetti di questo romanzo; mi riferisco al bolscevico Mostovskoj
e soprattutto al colloquio notturno in un lager nazista in cui il
comandante, un SS di nome Liss, gli dice: “
.../ Quando
io e lei ci guardiamo in faccia, non vediamo solo un viso che odiamo.
È come se ci guardassimo allo specchio. È questa la
tragedia della nostra epoca. Come potete non riconoscervi in noi, non
vedere in noi la vostra stessa volontà? /...”.
E’ la simmetria del male, perché il male è male,
qualunque sia l’ideologia alla sua base. Sono tentato di andare
oltre, di parlare più compiutamente di altri protagonisti di
questo romanzo che accanto a pagine che fanno rabbrividire ne
presenta altre a dir poco struggenti, come per esempio la lettera,
l’ultima, al figlio di una madre ebrea rinchiusa in un ghetto e
in procinto di affrontare il viaggio verso la morte. Fra tante
verità, sommessamente pronunciate, fra le quali colpisce come
una stilettata la bontà di chi non ha nulla, il suo altruismo
insospettabile, c’è una vena poetica capace di far
palpitare nel cuore del lettore il sentimento materno.
Su
tutto, però, fiorisce l’anelito per la libertà,
il desiderio di ognuno di avere un destino non imposto da altri,
tanto più forte, quanto più è assente quella
libertà che la violenza sopprime per tacere la verità.
Non a caso Grossman scrive. “ .../
Il desiderio congenito di libertà non può essere
amputato; lo si può soffocare, ma non distruggere. Il
totalitarismo non può fare a meno della violenza. Se vi
rinunciasse, cesserebbe di esistere. Il fondamento del totalitarismo
è la violenza: esasperata, eterna, infinita, diretta o
mascherata. L’uomo non rinuncia mai volontariamente alla
libertà. E questa conclusione è il faro della nostra
epoca, un faro acceso su tutto il nostro futuro. /...”.
Il
romanzo è ovviamente molto bello, probabilmente uno dei
capolavori dello scorso secolo; gli nuoce solo una certa
discontinuità dovuta a una lunghezza non indifferente, ma cosa
possono essere 750 pagine di fronte al piacere di scoprire che la
lettura è un viaggio nel più profondo dell’animo
umano?
Se
ne potrà uscire sconvolti, oppure rapiti da un senso di
serenità, ma in ogni caso c’è la convinzione che
questo viaggio doveva essere fatto e che noi che l’abbiamo
compiuto siamo un po’ cambiati, ora guardiamo la vita con occhi
diversi.
Vasilij
Grossman (Berdyciv,
12 dicembre 1905 – Mosca, 14 settembre 1964) è stato un
giornalista e scrittore sovietico di origine ebraica.
Diventò
ingegnere e dopo essere cresciuto a Ginevra e aver studiato a Kiev,
all'epoca dei piani quinquennali credette talmente nella costruzione
dell' "uomo nuovo" da abbandonare i cantieri minerari del
Donbuss, dove lavorava, per mettersi a raccontare l'epopea
dell'Unione Sovietica.
Fu
corrispondente di guerra per il quotidiano dell'esercito "Stella
rossa" e
seguì il fronte fino alla Germania.
In
quel periodo cominciò a comporre una grande opera sulla
guerra, incentrata sulla Battaglia di Stalingrado, e diede alle
stampe "Il
popolo è immortale" (1943),
esaltazione dei sacrifici sofferti dai popoli dell'Unione Sovietica
durante l'invasione tedesca del 1941.
Tra
il 1944 e il 1945 lavorò a un'opera che documentava i crimini
di guerra nazisti nei territori sovietici contro gli ebrei ("Il
libro nero").
Grossman,
ebreo sovietico, scrittore e giornalista, conobbe perciò
direttamente le devastazioni della seconda guerra mondiale, la lotta
contro i nazisti, la sconfitta di Hitler quindi l’ascesa di
Stalin.
Dopo
aver assistito alla campagna antisemita (fra il 1949 e il 1953) si
trovò in dissidio con il regime e cadde in disgrazia.
Così
la stesura finale della sua grande opera, Vita
e Destino,
venne sequestrata e non avrebbe mai visto la luce se qualcuno non
avesse conservato e fatto pervenire clandestinamente una o due copie
a Losanna, dove fu stampato nel 1980.
Renzo
Montagnoli
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