Vedrò
Singapore?
di Piero
Chiara
Mondadori Editore
Gli Oscar – Edizione 1983
Narrativa – romanzo
Pagg. 249
Il destino spesso è strano. Vedrò
Singapore?, probabilmente uno dei romanzi migliori di
Piero Chiara, fu edito nel lontano 1981, ottenendo fin da subito un
considerevole successo di critica e di vendite (in circa un anno si parla di
500.000 copie). Ci furono poi successive ristampe, ma da un po' di tempo il
libro non è più nel catalogo dell'editore, come se avesse esaurito l'originaria
spinta iniziale. Ed è un vero peccato che non sia
reperibile se non su qualche bancarella di libri usati, perché questo romanzo è
il frutto di una maturità, che se aveva fatto gridare al miracolo all'uscita de
Il piatto piange, qui si rivela in tutta la sua complessità che Piero Chiara ha
saputo tradurre in poche e semplici parole: “Era lei, la Ilde, a quarant'anni,
che veniva dall'avvenire, dal futuro, a dirmi che la vita è quella che è,
orribile, ma sopportabile.”
Il senso di rassegnazione alle
vicende umane, quella sorta di impotenza a opporsi al destino, tanto che vale
la pena di lasciar fare, di non angustiarsi, di agire d'impulso, è più che mai
presente in quest'opera, ambientata, per così dire, fuori casa, fra le
solitarie valli di quell'Italia orientale acquisita a
seguito della prima guerra mondiale. Se l'ambiente però non è più quello di Luino e del lago Maggiore i personaggi e le storie
acquisiscono una comune identità, tanto da confermare che ogni mondo è paese, soprattutto quando le realtà sono rappresentate da villaggi
di pochi abitanti, dove tutti si conoscono e dove la familiarità è quasi
d'obbligo.
L'epoca, poi, è la stessa di quella
de Il piatto piange, quegli anni 30
in cui il fascismo sembrava ormai consolidato e la rassegnazione
era la caratteristica comune di chi credeva che la libertà non sarebbe più
tornata. Una vita fatta di circoli chiusi, di spirali, in cui i personaggi si
muovono lasciandosi andare, una ricerca del modo di trascorrere il tempo che
sfocia in continue abitudini: questo è il mondo, inserito in quell'epoca, che così bene Piero Chiara sa descrivere.
Fra l'altro il personaggio principale
è proprio l'io narrante, trasferito in quei lontani posti dalla natia Luino, o meglio dalle onde del Lago Maggiore, come
esordisce lui stesso a un certo punto. E' un uomo che più che vivere
sopravvive, senza interessi (nemmeno quello del lavoro) e che ritrova un po' il
piacere dell'esistenza nelle compagnie.
Se le vicende del romanzo, a corredo
del filone principale, sono numerose, bene articolare e spesso spassose, i
personaggi di contorno sono uno più azzeccato
dell'altro, perfino nei nomi.
Così si incontra il terribile e
temuto Mordace, un caporione fascista che in quelle lontane terre vigila e
dispone per italianizzare e fascistizzare tutti gli
abitanti, oppure il Pretore Merdicchione, l'ex
magistrato Carlo Fohn, ora ridotto a ladro di polli, il tavolarista
Andrea Zciuka che nasconde nei locali della pretura
un'amante da caravanserraglio, il procuratore delle imposte Palateo,
di orribile bruttezza, che va a letto con la bella promessa sposa del
corazziere, l'avvocato Grisella che vive veramente solo nel momento del
suicidio, la conturbante Brunilde, che si nega a tutti, ma che poi si avvia al
meretricio in casa d'appuntamenti.
Un campionario vario di esseri umani,
tutti accomunati dal fatto di essere dei falliti e dalla consapevolezza di
questo loro destino, dona al romanzo, in una serie di incastri, uno spessore di
notevole rilievo.
L'emblematico finale non fa altro che
rafforzare il pessimismo di Chiara: al personaggio principale, a seguito di una
sua disavventura, viene offerta la possibilità di non
pagarne le conseguenze, a patto che accetti di essere allontanato. Ob torto collo acconsente all'essere imbarcato con la
qualifica di scrivano su un bastimento diretto a Singapore. “Vedrò Singapore?”
si chiede allora di fronte alla prospettiva di un cambiamento radicale della
propria vita. Ma, forse portato dal vento, gli arriva un sussurro: “Torna alle
onde del Lago Maggiore”. Il romanzo finisce nell'incertezza: si imbarcherà o
ritornerà a Luino? Sono propenso a credere alla
seconda ipotesi: anche se ci si lascia trasportare dal destino, la vita è meno
orribile se si torna alle origini. E poi una decisione importante non è nella
natura del protagonista che sembra dirci: meglio la certezza di una vita da
poco che l'incertezza di un'altra vita assai probabilmente ancor da poco.
Piero Chiara nasce a Luino il 23 marzo 1913, in una famiglia di origini siciliane.
Studia in vari collegi religiosi, ma
poi abbandona la scuola, completando da autodidatta la propria formazione
culturale.
Dipendente di un'amministrazione
statale, vive, durante gli anni del fascismo, la più chiusa e al tempo stesso
più eccitante vita di provincia: lunghe letture, il gioco e gli intrighi
d'amore.
Data la sua naturale indole al
dissenso, diviene inviso al fascismo, al punto che il Tribunale Speciale emette
una severa condanna nei suoi confronti e che evita unicamente con la fuga in
Svizzera.
Terminata la guerra, ritorna in
Italia con un'aureola di antifascista, che gli sarà di aiuto nel reinserimento
nell'Italia repubblicana.
Inizia un periodo di fervida
creatività che lo porta ad abbandonare il lavoro nell'amministrazione statale
per dedicarsi unicamente alla scrittura.
Nascono così i romanzi Il piatto
piange, La spartizione, 1964; Il balordo, 1967, con
cui vinse Il Bagutta; Il Pretore di Cuvio, 1973; La stanza del vescovo, 1976; Il cappotto di
astrakan, 1978; Vedrò Singapore ?, 1981, oltre
a molti altri, una produzione tutta di notevole livello, dove la capacità
dell'autore di scrivere con equilibrio, di non indulgere mai alla volgarità
anche nelle storie più scabrose, non viene mai meno.
Piero Chiara muore a Varese il 31
dicembre 1986.