Plotone
di esecuzione.
I
processi della prima guerra mondiale
di
Enzo Forcella e Alberto Monticone
Editori
Laterza
Storia
Pagg.
394
ISBN
9788858111406
Prezzo
Euro 13,00
La
disciplina con il terrore
Non
fossero bastate le tragedie di ogni giorno, gli attacchi scriteriati
che consentivano di avanzare di qualche centinaio di metri a prezzo
di perdite spaventose, i nostri soldati della Grande Guerra dovevano
temere anche il regime di ferrea disciplina imposto e che prevedeva
per ogni mancanza, anche la più lieve, pene severissime.
Eppure l’orrore era talmente imperante che molti ricorrevano
all’autolesionismo per fuggire da quell’inferno; c’era
gente che si sparava a un dito, altri che si provocavano infezioni,
altri ancora che con metodi empirici si accecavano, ma il comando era
vigile, per principio non credeva a una ferita accidentale o avvenuta
nel corso di uno scontro, e così in tanti andavano al
Tribunale militare in processi che raramente si concludevano con
un’assoluzione, ma che sovente terminavano con pene detentive
di non poco conto e in taluni casi anche con la morte per
fucilazione; a maggior ragione venivano punite con la massima
severità le frequenti diserzioni, lo sbandamento davanti al
nemico, e non mancavano i reati di opinione, sia di tipo politico che
di semplice sfogo individuale, tutti sanzionati con una fermezza
raramente riscontrabile. Il Codice militare che si applicava in tempo
di guerra era ancora quello albertino, rivisto dopo l’unità
d’Italia, e già di per sé severo, considerando la
truppa niente di più che bestiame votato al macello. Poi, nel
corso del conflitto, le ordinanze di Cadorna furono sempre tese a
instaurare un regime di terrore, con l’espresso invito ai
giudici di non andar tanto per il sottile e fu così che
l’esercito italiano fu quello che, raffrontato alla sua entità,
ebbe in percentuale il maggior numero di denunce, il maggior numero
di processi e il maggior numero di condanne a morte. Nel computo poi
non rientrano le crudeli decimazioni, quasi sempre ingiustificate, e
le diffusissime renitenze alla leva. Insomma, per dirla breve Cadorna
alla vigilia di Caporetto si trovò a comandare truppe
stanchissime e impaurite per la severità dei metodi imperanti,
e forse anche questo contribuì alla disfatta.
Nella
prima parte di “Plotone di esecuzione”
troviamo due introduzioni storiche degli autori che aiutano a
comprendere il perverso meccanismo della disciplina militare
dell’epoca e a leggere le sentenze, che vengono riportate nel
corposo seguito, dal punto di vista dei giudici che le hanno scritte.
Per
comprendere di che si tratta riporto una di queste decisioni della
magistratura militare, scelta non a caso, per dimostrare che un
comportamento che oggi sarebbe del tutto normale invece all’epoca
e nelle circostanze della guerra si configurò come reato, con
una sanzione peraltro pesantissima. Da notare che Forcella e
Monticone hanno riportato i testi integrali senza correzioni quindi e
con un italiano non proprio da accademia della crusca, ma anche
allora gli italiani, almeno il popolo, non brillava di certo per
conoscenze linguistiche.
Sentenza
N° 22 «Se non si muore oggi si muore domani … »
R. V., anni 23, carrettiere, celibe, soldato nell’83°
fanteria; condannato a 1 anno e 6 mesi di reclusione militare per
lettera denigratoria, Tribunale militare di guerra del XVIII corpo
d’armata. Feltre, 31 agosto 1916. (TS, Trib. Guerra, b. 113, f.
175, sent. 139). IL R. V. spediva dalla zona di guerra il 18 luglio
1916, una lettera a tale F. C., in cui, fra le altre, si leggono le
frasi seguenti: «Non so se avrai ricevuto le lettere perché
le censurano, e le scassano tutti gli scritti: per non far sapere i
disagi e le perdite che si fanno nelle file e gli errori che
commettono i nostri superiori… Nella mia compagnia eravamo 250
uomini. Dopo essere stato rinforzata 6 o 7 volte di venti, trenta,
quaranta e fino cento per compagnia, il giorno 6 luglio eravamo
rimasti appena ottanta persone, e dei venti partiti da Pistoia, nel
mio plotone che erano tempo fa 65 soldati, oggi compresi i caporali e
caporalmaggiore siamo rimasti in quattordici. Dunque immaginati che è
successo in questi giorni – sono stato due giorni in aspra
lotta, ove avemmo decimato il secondo battaglione del mio reggimento…
Ma la guerra è ancora lunga e si deve concludere la pace sul
nostro fronte e quello Russo, allora certo che la pace non verrà
mai e si deve venire ancora a lungo tanto da non sospirare e se non
si muore oggi si muore domani, perché cara mia scamparla in
questa, scamparla in questa altra e dagli un mese e dagli due, dagli
cinque dagli dieci e dagli dodici e quattordici, poi un giorno
bisogna cadere e non si puote sfuggire, perché la storia e
troppo lunga e mi è venuta a noia, io non sento più
nulla e qualche giorno vado nel carcere e finisco di tribolare e di
far guerra … Non credevo mai che questa guerra volesse essere
così lunga e così sanguinosa e neanche disgraziata.
Così se non era questa maledetta guerra, avevo quasi terminato
il mio servizio … ».
E’
appena il caso di far notare che né i nostri politici né
i capi militari si posero mai il problema di convincere i soldati
della necessità della guerra, illustrandone le ragioni e le
finalità; si preferì invece avere, anziché dei
collaboratori coscienti, degli uomini che non capivano il perché
di tutte quelle sofferenze, asserviti come schiavi e trattati come le
bestie.
Il
libro è estremamente interessante, anche perché
affronta un tema non frequentemente trattato, e pertanto la lettura è
senz’altro consigliata.
Enzo
Forcella
(1921-1999),
noto giornalista e scrittore, è stato redattore del «Mondo»,
corrispondente romano della «Stampa», editorialista del
«Giorno» e della «Repubblica». È stato
presidente dell’Istituto romano per la storia d’Italia
dal fascismo alla Resistenza. Autore di numerosi programmi
televisivi, ha pubblicato, tra l'altro, Millecinquecento
lettori (1959), Celebrazione
di un trentennio (premio
Bagutta 1974), Un
altro dopoguerra (1976).
Alberto
Monticone
ha insegnato Storia moderna presso la Facoltà di Scienze
politiche dell’Università La Sapienza di Roma. È
autore, tra l'altro, del volume Fascismo
al microfono. 1924-1945 (Roma
1975) e curatore dell'antologia La
storia dei poveri (Roma
1978).
Renzo
Montagnoli
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