Stirpe
di
Marcello Fois
Edizioni
Einaudi
Narrativa
romanzo
Pagg.
240
ISBN
9788806157739
Prezzo
Euro 19,00
Il
destino dà, il destino toglie
In
fondo rientra nei desideri di ognuno di noi lasciare un’impronta
della nostra esistenza, perché così ci sembra di essere
vissuti per qualcosa, di non essere stati solo un microscopico
tassello della storia dell’Universo. Potrebbe essere l’idea
base di questo romanzo di Marcello Fois e in parte lo è, ma
non è l’unica chiave di lettura e nemmeno la più
importante. Quel che intendo dire si potrà comprendere meglio
leggendo quel che segue.
Michele
Angelo Chironi e Mercede Lai sono due figli illegittimi, senza
genitori, e che vengono pertanto da una condizione di particolare
disagio sociale che però li accomuna a tal punto che si
legheranno per sempre con il matrimonio. Ci troviamo a Nuoro, alla
fine del XIX secolo, in un’atmosfera che tanto ricorda più
che i romanzi di Grazia Deledda, quelli di Giuseppe Dessì. E’
un mondo rurale, chiuso e spesso silenzioso, quello in cui si muovono
i due protagonisti, con lui, che preso in affido da un fabbro vedovo
e senza figli, diventa il padrone della fucina che ben presto lo
arricchisce. Non sto a spiegare la trama, perché abbraccia un
periodo di tempo che va appunto dalla fine del nostro secolo
risorgimentale alla seconda guerra mondiale, e preferisco delineare
ciò che mi è piaciuto e che non è poco. In
questa vicenda, che è poi la storia di una famiglia, e non a
caso il titolo è Stirpe, ben si può
comprendere il significato di come il destino nella vita dia e come
anche tolga, perché gioie e dolori saranno una costante dei
Chironi. In questo contesto l’autore è bravo nel non
cadere nella tentazione di muovere alle facili lacrime, eppure di
occasioni ce ne sono tante, come la tragica morte dei due gemelli che
avvia una serie di lutti tali da togliere ogni speranza. E invece no,
Fois ci dice che si può perdere tutto, meno che la speranza,
l’unica che consenta di proseguire, nonostante tutto. Ed è
grazie a questo proposito di non cedere le armi che un giorno la vita
opaca dell’ormai vecchio Chironi si illuminerà di
quell’unica luce che possa ancora dare un senso alla vita.
L’autore
sardo, di cui prima non avevo mai letto nulla, è una piacevole
sorpresa, perché in un ambito letterario in cui spesso si
cerca invano di riempire il vuoto questo suo romanzo acquista una
particolare rilevanza; di fatto Fois entra nella scia di un narratore
che ho particolarmente apprezzato, vale a dire Giuseppe Dessì,
purtroppo ai tempi nostri scarsamente conosciuto. Certo, si tratta di
epoche diverse e anche la scrittura, pur avendo nello stile molto in
comune, è differente, come pure la verve creativa, tanto più
che Fois ha aggiunto la straordinaria invenzione di far parlare i
morti con i familiari, facendo dire loro quello che in vita per un
motivo o per l’altro non erano riusciti a comunicare. Per
contro, e questo secondo me è l’unico difetto, non
sempre, ma ogni tanto appare una certa verbosità, un
trascinare un discorso oltre il già detto e che per questo si
nota subito, ma si tratta di cosa da poco, se raffrontata con la
bellezza dell’intera opera, un romanzo che parte lento, che non
avvince da subito, ma che poi va in crescendo, pur in presenza di
parti necessariamente poco veloci. Tanto per dare un’idea, ho
impiegato non poco a leggere le prime venti pagine, ma poi è
come se avessi premuto il piede sull’acceleratore e in poche
ore sono arrivato alla fine, con l’ultima pagina che non può
non commuovere, ma non è una commozione triste, è una
commozione lieta nel vedere che quest’uomo, così provato
duramente dai lutti familiari e che si è sempre battuto contro
la malasorte, trova un motivo per vivere, in un autentico colpo da
maestro che Marcello Fois ha saputo preparare con grande abilità.
E per quanto ovvio, nelle vicissitudini di questa famiglia, c’è
anche un po’ di storia d’Italia, una storia che
nell’isola appare sempre lontana, come se gli avvenimenti del
mondo avvenissero su un altro pianeta e lì ne arrivasse solo
l’eco.
Da
leggere, ovviamente.
Marcello
Fois (Nuoro
1960) vive e lavora a Bologna. Tra i tanti suoi libri
ricordiamo Picta (premio
Calvino 1992), Ferro
Recente, Meglio
morti, Dura
madre, Piccole
storie nere, Sheol, Memoria
del vuoto (premio
Super Grinzane Cavour, Volponi e Alassio 2007), Stirpe (premio
Città di Vigevano e premio Frontino Montefeltro 2010), Nel
tempo di mezzo (finalista
al premio Campiello e al premio Strega 2012), L'importanza
dei luoghi comuni (2013), Luce
perfetta (premio
Asti d'Appello 2016), Manuale
di lettura creativa (2016), Quasi
Grazia (2016), Del
dirsi addio (2017
e 2018), il libro in versi L'infinito
non finire (2018)
e Pietro
e Paolo (2019).
Renzo
Montagnoli
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