La stanza del vescovo
di Piero Chiara
Mondadori Editore
Narrativa – romanzo
Pagg. 170
ISBN: 9788804485780
Prezzo: € 7,40
Fra tutte le opere di Piero Chiara
questa è quella che ha più le caratteristiche del romanzo, per completezza nello
sviluppo della vicenda e perché ha un finale che lascia aperte diverse
possibilità.
Vi sono anche altri elementi che
concorrono ad attribuire questa classificazione, non presente in altri lavori
dell'autore, con caratteristiche più di racconti lunghi, cioè di storie
compiute, che iniziano e si concludono senza ulteriori prospettive.
Mi riferisco, in particolare,
all'accuratissima ambientazione storica (siamo nell'immediato dopoguerra), alla
struttura del giallo (presente peraltro anche in altre opere, come per esempio I giovedì della signora Giulia), nonché,
soprattutto, alla rilevante introspezione psicologica dei personaggi, delineati
in modo veramente mirabile. Al riguardo assume uno spessore di grande valore il
ritratto di Matilde, una giovane vedova in cui è sempre presente il rimpianto
per il matrimonio non consumato e la carica erotica, pronta a esplodere da un
momento all'altro. La descrizione di questo status è di alta scuola e rivela un notevole
studio della psicologia femminile.
Chiara però si supera con la figura
dell'Orimbelli, un personaggio enigmatico, dalla
doppia contorta personalità e che è di fatto
l'autentico protagonista del romanzo. Costui è uno che vive di ricordi,
soprattutto della guerra d'Africa, ma è sostanzialmente un frustrato, fallito
come avvocato e che, se ha un po' di soldi, è solo per aver sposato una moglie ricca, ma brutta.
Poi ci sono figure di contorno,
altrettanto ben delineate, fra le quali l'autore stesso che narra in prima
persona, ovviamente non con il suo vero nome; al riguardo, quell'incertezza
della vita, quel desiderio di cambiare, restando comunque se stessi, propri di
Chiara, sono sempre ben presenti.
Ho accennato prima all'ambientazione
e ritengo ora doveroso parlare dell'atmosfera, sonnacchiosa e decadente, in cui
si svolge la vicenda. C'è così un lago Maggiore che alterna
momenti di luce ad altri cupi, c'è un giallo che non è lo scopo della
narrazione, ma è funzionale strettamente alla trama, tanto che si intuisce
subito l'identità del colpevole.
Non è però la ricerca dell'assassino
lo scopo vero dell'opera, ma le motivazioni del delitto, l'analisi profonda
della psicologia del reo, le reazioni dei personaggi di contorno, secondo un
susseguirsi di scene che si ricollegano perfettamente, senza accentuazioni di
ritmo, ma con una logica di inequivocabile validità.
L'insieme di questi elementi mi
portano a concludere che La stanza del
vescovo è una delle migliori opere della letteratura italiana del
novecento.
Piero Chiara nasce a Luino
il 23 marzo 1913, in
una famiglia di origini siciliane.
Studia in vari collegi religiosi, ma
poi abbandona la scuola, completando da autodidatta la propria formazione
culturale.
Dipendente di un'amministrazione
statale, vive, durante gli anni del fascismo, la più chiusa e al tempo stesso
più eccitante vita di provincia: lunghe letture, il gioco e gli intrighi
d'amore.
Data la sua naturale indole al
dissenso, diviene inviso al fascismo, al punto che il Tribunale Speciale emette
una severa condanna nei suoi confronti e che evita unicamente con la fuga in
Svizzera.
Terminata la guerra, ritorna in
Italia con un'aureola di antifascista, che gli sarà di aiuto nel reinserimento
nell'Italia repubblicana.
Inizia un periodo di fervida
creatività che lo porta ad abbandonare il lavoro nell'amministrazione statale
per dedicarsi unicamente alla scrittura.
Nascono così i romanzi Il piatto piange, La spartizione, 1964; Il balordo,
1967, con cui vinse Il Bagutta; Il Pretore di Cuvio, 1973; La stanza del vescovo, 1976; Il cappotto di astrakan, 1978; Vedrò Singapore?, 1981, oltre a molti altri,
una produzione tutta di notevole livello, dove la capacità dell'autore di
scrivere con equilibrio, di non indulgere mai alla volgarità anche nelle storie
più scabrose, non viene mai meno.
Piero Chiara muore a Varese il 31
dicembre 1986.