Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
 

  Recensioni  »  La stanza del vescovo, di Piero Chiara - Edizioni Mondadori 20/04/2007
 

La stanza del vescovo

di Piero Chiara

Mondadori Editore

Narrativa – romanzo

Pagg. 170

ISBN: 9788804485780

Prezzo: € 7,40

 

 

Fra tutte le opere di Piero Chiara questa è quella che ha più le caratteristiche del romanzo, per completezza nello sviluppo della vicenda e perché ha un finale che lascia aperte diverse possibilità.

Vi sono anche altri elementi che concorrono ad attribuire questa classificazione, non presente in altri lavori dell'autore, con caratteristiche più di racconti lunghi, cioè di storie compiute, che iniziano e si concludono senza ulteriori prospettive.

Mi riferisco, in particolare, all'accuratissima ambientazione storica (siamo nell'immediato dopoguerra), alla struttura del giallo (presente peraltro anche in altre opere, come per esempio I giovedì della signora Giulia), nonché, soprattutto, alla rilevante introspezione psicologica dei personaggi, delineati in modo veramente mirabile. Al riguardo assume uno spessore di grande valore il ritratto di Matilde, una giovane vedova in cui è sempre presente il rimpianto per il matrimonio non consumato e la carica erotica, pronta a esplodere da un momento all'altro. La descrizione di questo status  è di alta scuola e rivela un notevole studio della psicologia femminile.

Chiara però si supera con la figura dell'Orimbelli, un personaggio enigmatico, dalla doppia contorta personalità e che è di fatto l'autentico protagonista del romanzo. Costui è uno che vive di ricordi, soprattutto della guerra d'Africa, ma è sostanzialmente un frustrato, fallito come avvocato e che, se ha un po' di soldi, è solo per aver sposato una moglie ricca, ma brutta.

Poi ci sono figure di contorno, altrettanto ben delineate, fra le quali l'autore stesso che narra in prima persona, ovviamente non con il suo vero nome; al riguardo, quell'incertezza della vita, quel desiderio di cambiare, restando comunque se stessi, propri di Chiara, sono sempre ben presenti.

Ho accennato prima all'ambientazione e ritengo ora doveroso parlare dell'atmosfera, sonnacchiosa e decadente, in cui si svolge la vicenda. C'è così un lago Maggiore che alterna momenti di luce ad altri cupi, c'è un giallo che non è lo scopo della narrazione, ma è funzionale strettamente alla trama, tanto che si intuisce subito l'identità del colpevole.

Non è però la ricerca dell'assassino lo scopo vero dell'opera, ma le motivazioni del delitto, l'analisi profonda della psicologia del reo, le reazioni dei personaggi di contorno, secondo un susseguirsi di scene che si ricollegano perfettamente, senza accentuazioni di ritmo, ma con una logica di inequivocabile validità.

L'insieme di questi elementi mi portano a concludere che La stanza del vescovo è una delle migliori opere della letteratura italiana del novecento.

 

 Piero Chiara nasce a Luino il 23 marzo 1913, in una famiglia di origini siciliane.

Studia in vari collegi religiosi, ma poi abbandona la scuola, completando da autodidatta la propria formazione culturale.

Dipendente di un'amministrazione statale, vive, durante gli anni del fascismo, la più chiusa e al tempo stesso più eccitante vita di provincia: lunghe letture, il gioco e gli intrighi d'amore.

Data la sua naturale indole al dissenso, diviene inviso al fascismo, al punto che il Tribunale Speciale emette una severa condanna nei suoi confronti e che evita unicamente con la fuga in Svizzera.

Terminata la guerra, ritorna in Italia con un'aureola di antifascista, che gli sarà di aiuto nel reinserimento nell'Italia repubblicana.

Inizia un periodo di fervida creatività che lo porta ad abbandonare il lavoro nell'amministrazione statale per dedicarsi unicamente alla scrittura.

Nascono così i romanzi Il piatto piange, La spartizione, 1964; Il balordo, 1967, con cui vinse Il Bagutta; Il Pretore di Cuvio, 1973; La stanza del vescovo, 1976; Il cappotto di astrakan, 1978; Vedrò Singapore?, 1981, oltre a molti altri, una produzione tutta di notevole livello, dove la capacità dell'autore di scrivere con equilibrio, di non indulgere mai alla volgarità anche nelle storie più scabrose, non viene mai meno.

Piero Chiara muore a Varese il 31 dicembre 1986.     

 

    

 

 

 

 
©2006 ArteInsieme, « 014038875 »