Perché
il Sud è rimasto indietro
di
Emanuele Felice
Il
Mulino Editore
Storia
economica
Pagg.
258
ISBN
9788815266101
Prezzo
Euro 13,00
I
veri motivi del divario Nord-Sud
Da
un po’ di tempo è in atto un revisionismo storico del
nostro Risorgimento relativamente all’annessione del Meridione
al Regno d’Italia, con il quale si vuole dimostrare come il
Mezzogiorno, prima prospero e florido, sia stato sistematicamente
spogliato delle sue risorse, tutto a beneficio del Nord, determinando
quell’arretratezza economica che tuttora, purtroppo, lo
caratterizza. I dati su cui si basano queste asserzioni sono del
tutto inattendibili e per così dire campati in aria, tanto che
è possibile affermare che coloro che portano avanti questa
storiella, chiamati anche neo-borbonici, nulla fanno per determinare
gli autentici motivi della debolezza del nostro Sud, impedendo così
di fatto la ricerca delle indispensabili soluzioni. La materia deve
essere ovviamente oggetto di studi seri che solo gli storici
economici possono fare; al riguardo, proprio un meridionale, Emanuele
Felice ha scritto un saggio di estremo interesse, intitolato Perchè
il Sud è rimasto indietro. Nelle sue ricerche,
ampiamente documentate, è dovuto a ricorrere a
sperimentazioni, anche statistiche, di cui ha riportato il metodo;
ciò è stato tanto più necessario ove si
consideri che certi dati economici oggi di uso corrente all’epoca
erano ignorati, ma soprattutto si è basato sulle correlazioni
per verificarne o meno l’attendibilità. Così in
epoca preunitaria, con riferimento all’anno 1861, possiamo
vedere come il prodotto interno lordo del Sud differisse di poco (in
meno) rispetto a quello del Nord (c’è da dire peraltro
che entrambi gli indicatori sono piuttosto bassi rispetto a quelli di
altri paesi europei, perché lo sviluppo industriale in Italia
non era ancora arrivato, anche se il Nord aveva tutto il substrato
necessario per parteciparvi a pieno titolo, a differenza di un
meridione intrinsecamente debole). Se si vanno a vedere gli altri
indicatori, però, è possibile determinare senza ombra
di dubbio come il divario Nord-Sud sia sicuramente anteriore
all’Unità d’Italia; infatti, strutturalmente si
tratta di due entità agli antipodi, con il Nord che può
contare su un regime più moderno, cioè una monarchia
costituzionale, e il Regno delle Due Sicilie invece ingloriosamente
racchiuso in una struttura istituzionale del tipo antecedente la
rivoluzione francese; non sono nemmeno paragonabili le indispensabili
infrastrutture, con le ferrovie che al Sud arrivavano a malapena a 99
Km., mentre Liguri e Piemontesi ne avevano per 850 Km.e il
Lombardo-Veneto per 522 Km.; inoltre il supporto finanziario si
basava nel Mezzogiorno su solo due banche, contro le decine che vi
erano in Settentrione, e la circolazione monetaria era al Sud basata
sulle antiquate monete, peraltro nelle mani di pochi; per quanto
concerne l’analfabetismo in Piemonte era il 49% e in Lombardia
il 51%, in Meridione l’86%; anche il grado di povertà
era ampiamente diverso, tanto che al Centro-Nord chi viveva al di
sotto della soglia di povertà era il 37%, mentre al Sud ben il
52%. Quindi, altro che paese felice come certe teste vanno
predicando, anzi era un regno prossimo al disfacimento, su cui
avevano messo gli occhi, per il dominio nel Mediterraneo, Francesi e
Inglesi, con questi ultimi che ritennero che il male minore fosse che
subentrassero gli italiani.
Ci
sarebbero da scrivere pagine e pagine di questo libro di piacevole
lettura, ma che esige delle indispensabili nozioni di Scienze
Economiche e pertanto mi limiterò alle conclusioni, secondo le
quali chi ha soffocato il Mezzogiorno sono state state le sue stesse
classi dirigenti, peraltro poche in una società che vedeva un
ristretto numero di detentori di ricchezza e una massa proletaria,
con una sparuta percentuale borghese, per lo più di carattere
burocratico; insomma non c’era il tanto indispensabile ceto
medio e così chi era ricco, anziché rischiare capitali
in nuove attività, preferiva una rendita di posizione.
Di
conseguenza ecco il risultato che emerge nel saggio:
Questa
interpretazione della differenza di sviluppo del Sud rispetto al
Nord-Ovest e al Nord-Est-Centro consente di intravedere gli elementi
portanti di una strategia di superamento della differenza di
sviluppo. Una strategia che non si basa più sulla richiesta di
nuove leggi speciali o di nuovi trasferimenti aggiuntivi di risorse
come risarcimento di un’inferiorità che si presume
procurata dall’esterno o a saldo di nuovi strumenti di
perequazione, ma una strategia che «dovrebbe puntare invece a
modificare radicalmente la società meridionale, spezzando le
catene socio-istituzionali che condannano la maggioranza dei suoi
abitanti a una vita peggiore di quella dei loro concittadini del
Nord: annientare la criminalità organizzata, eliminare il
clientelismo, rompere il giogo dei privilegi e delle rendite.
Riconvertire cioè le istituzioni del Mezzogiorno da estrattive
a inclusive, passando per la trasformazione delle strutture
sottostanti». Al
riguardo ritengo opportuno chiarire il significato di due termini:
poichè le istituzioni politiche ed economiche sono aspetti
prioritari per lo sviluppo di un paese, queste possono essere
inclusive se favoriscono il coinvolgimento dei cittadini e quindi,
grazie anche alla crescita economica, lo sviluppo civile e umano,
mentre sono estrattive qualora finalizzate ad estrarre rendite
destinate a una minoranza di privilegiati.
Il
libro di Felice è senz’altro di notevole
interesse.
Emanuele
Felice insegna
Economia applicata nell’Università D’Annunzio di
Pescara. Con il Mulino ha pubblicato «Divari regionali e
intervento pubblico. Per una rilettura dello sviluppo in Italia»
(2007) e «Ascesa e declino. Storia economica d’Italia»
(2015).
Renzo
Montagnoli
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