LTI
La lingua del Terzo Reich
Taccuino
di un filologo
di
Victor Klemperer
Edizioni
Giuntina
Saggistica
Pagg.
355
ISBN
9788880570721
Prezzo
Euro 20,00
La
forza del linguaggio
I
libri che parlano della Shoah sono, per fortuna, moltissimi e
raccontano di esperienze dirette, sono frutto di approfonditi studi
storici e in genere esaminano questo tragico fenomeno con un
approccio globale, pur cercando di evidenziare motivi che ancor oggi,
oltre che apparire demenziali, non riusciamo del tutto a chiarire. Il
nazismo non è stato solo un caso politico, ma ha voluto
fortemente rappresentare una nuova idea di società basata
sulla violenza non solo fisica, ma anche verbale. Al riguardo, Victor
Klemperer, insegnante al’Università di Dresda, da cui fu
costretto a dimettersi per le leggi razziali, ha scritto fra il 1933
e il 1945 dei diari, frutto di un’osservazione attenta, non
disgiunta da una riflessione approfondita, in cui da catedrattico di
Filologia spiega come sia possibile che la lingua di un regime
totalitario, se sapientemente diffusa, a piccole, ma ripetute dosi,
diventi un veleno devastante in grado di trasformare perfino la
coscienza di un popolo, fosse anche il più evoluto, il più
colto, il meno recettivo. E’ allora che la lingua non diventa
solo uno strumento per comunicare, ma un’arma che consente da
un lato di omologare tutti al pensiero del capo e dall’altro
un’arma altrettanto feroce che rimuove lo spirito critico,
ricaccia nel più profondo il senso individuale di umanità.
E queste parole sono quelle che Klemperer sente mentre lavora, oppure
che pronuncia Goebbels nei suoi istrionici discorsi alla radio, che
si leggono sui giornali nazisti oppure sul Mein Kampf. Per quanto
possa sembrare incredibile, le mutazioni nell’uso del
linguaggio, le parole mutuate da idiomi di altri, perfino la
punteggiatura concorrono a questo sconvolgente risultato. Addirittura
esemplare è il caso delle iniziali, della loro grafica come
nel caso delle SS, dove ci sono due saette che danno l’idea da
un lato della rapidità di azione di chi fa parte di quel corpo
e dall’altro dell’inevitabilità della punizione di
chi cerca di opporsi. Nel teatro di ogni dittatura - un teatrino
grottesco quello dell’epoca mussoliniana, un teatro tragico
wagneriano quello del nazismo - tutto poggia su riti che richiamano
antiche e improbabili virtù e su parole che colgano nel segno,
che dimostrino quell’onnipotenza che in realtà non c’è.
Se questo libro vuole essere una particolare testimonianza, finisce
anche però con il diventare un monito, una raccomandazione di
stare ben attenti a come il linguaggio cambia, come vengano coniate
nuove parole (al riguardo facebook è una miniera inesauribile)
perché dietro c’è sempre un disegno, il tentativo
di classificare la gente in amica e nemica, il disprezzo del pensiero
individuale per arrivare a imporre quello collettivo conforme ai
voleri di chi comanda.
Victor
Klemperer
(1881-1960)
si laurea a Monaco nel 1914. Nel 1935 le leggi razziali lo obbligano
a lasciare la cattedra al Politecnico di Dresda. Sebbene
perseguitato, riesce, in quanto sposato a una «ariana», a
scampare alle deportazioni, e dopo la guerra riprende il suo posto
all'Università di Dresda. Nel 1947 pubblica questo
straordinario diario-saggio sulla lingua del Terzo Reich.
Renzo
Montagnoli
|