Lo
scialo
di
Vasco Pratolini
Edizioni
BUR Biblioteca Universale Rizzoli
Narrativa
romanzo
Pagg.
XXVIII-1215
ISBN
9788817078399
Prezzo
Euro 20,00
Borghesia
e fascismo
Si
deve riconoscere a Vasco Pratolini il grande merito di aver narrato
la storia d’Italia della prima metà dello scorso secolo,
creando trame e personaggi che ben riescono a rappresentare ciò
che sono stati quegli anni. Non è un osservatore degli
accadimenti di un’epoca che possa essere definito imparziale,
perché l’idea politica comunista che lo anima finisce
con il dare corso alle sue storie, ma se il punto di vista è
marxista c’è anche una grande correttezza e sensibilità
nel non esacerbare le vicende, nel descrivere i personaggi con quella
punta d’affetto propria di ogni grande autore, indipendentente
dalla loro positività o negatività. Lo scialo è
il secondo romanzo di una trilogia intitolata Una storia italiana
e viene dopo lo stupendo Metello (il terzo è Allegoria
e derisione); narra di Firenze fra le due grandi guerre e
potrebbe essere definito come la parabola della piccola e media
borghesia di quella città, estensibile però senza
particolari problemi a quella di tutta l’Italia. E’ nata
così un’opera che forse non era per corposità
nelle intenzioni dell’autore, ma che lui ha sentito come
necessaria, per non dire indispensabile, per descrivere, attraverso i
tanti personaggi, protagonisti di vita quotidiana, dei rapporti fra
il fascismo e appunto la borghesia. Ho detto che si tratta di un
lavoro di consistente mole e forse sarebbe meno faticosa la lettura
se l’autore avesse provveduto, in sede di stesura definitiva, a
qualche opportuna sforbiciata, ma ciò non toglie che, superato
lo sgomento iniziale quando ci si accorge delle tante pagine da
leggere, il risultato alla fine risulta appagante.
Per
quanto, a mio avviso, non si possa parlare di un capolavoro, ma di un
romanzo che presenta un livello di eccellenza, occorre riconoscere
che l’indagine storico sociologica di Pratolini ha consentito
di ben delineare i rapporti fra una borghesia cristallizzata, ma con
più ampie aspirazioni, e l’arrembante regime fascista. E
non si tratta di una relazione conflittuale, bensì vede questa
classe intermedia cercare di cogliere l’occasione per assurgere
a più alti livelli. Si tratta di gente che non esita a
sporcarsi le mani, a rinnegare le sue origini, in passato proletarie,
per lasciarsi trascinare in un folle arrivismo che non scuote le loro
coscienze, perché lo scopo è solo uno: emergere, anche
a scapito degli altri. Potrei dire che questa classe sociale non ha
idee politiche e non è nemmeno fascista, eppure con una
leggerezza imperdonabile salta in groppa al cavallo del fascismo,
senza pudore e anche senza nessuna convinzione. Mussolini e i suoi
fedeli sono soltanto l’occasione e nulla di più, ma se
questo può essere la naturale conclusione di un un erudito
saggio sociologico, così non si può dire per l’opera
letteraria che di certo ha impegnato moltissimo Pratolini, che riesce
a generare una trama, densa di personaggi che ruotano incontro a
quattro protagonisti principali, e riconoscendo a tutti, nessuno
escluso, una dignità che si estrinseca nella loro credibilità,
perché mai, e ripeto mai, si ingenera nel lettore il dubbio
che gli stessi siano frutto d’invenzione, come in effetti sono.
Certo
che Lo scialo finisce con l’apparire un’opera
ambiziosa e che talora si perde per strada, complice l’inusitata
lunghezza, ma poi alla fine quel fil rouge che appariva
incredibilmente aggrovigliato si scioglie e si dipana, recuperando
quella logica continuità che, se pur temporaneamente, pareva
essersi persa.
Da
leggere, senza il benchè minimo dubbio.
Vasco
Pratolini (Firenze, 19 ottobre 1913 – Roma,
12 gennaio 1991).
Di famiglia operaia, è costretto a interrompere gli studi e
svolge mestieri diversi per potersi mantenere.
Autodidatta,
entra in contatto con l’ambiente degli artisti e degli
scrittori che gravitano attorno al pittore Ottone Rosai,
frequentandone la casa.
Pratolini
comincia a collaborare al periodico «Il Bargello» e
diviene redattore con Alfonso Gatto, nel 1938, della rivista «Campo
di Marte». Nel 1951 si trasferisce a Roma, città nella
quale vivrà da allora in poi.
Le sue prime esperienze
narrative ("Il tappeto verde", 1941; "Via de’
magazzini", 1941; "Le amiche", 1943; "Cronaca
familiare", 1947) compongono il ritratto di un'infanzia e di una
giovinezza piuttosto picaresche.
Il
registro adottato, sin da quelle prime prove, si pone a mezza via fra
il realistico e il lirico.
"Il quartiere" (1943) è
un affresco corale che narra della presa di coscienza del
sottoproletariato urbano.
Gli stessi temi sono riproposti,
con tono appena più svagatamente satirico, ne "Le ragazze
di San Frediano" (1949), e trasposti poi in una più
approfondita lettura psicologica in "Cronache di poveri amanti"
(1947).
Pratolini
svolge con successo, in questi anni, anche un'attività di
sceneggiatore e soggettista cinematografico, e intraprenderà
in seguito una carriera di autore di testi teatrali ("La
domenica della povera gente", 1952; "Lungo viaggio di
Natale", 1954).
Nel
1955 pubblica Metello (premio Viareggio), primo romanzo di quella che
diverrà la trilogia "Una storia italiana", essendo
completata da "Lo scialo" (1960) e da "Allegoria e
derisione" (1966).
Nella trilogia, la vita dei fiorentini,
descritta attraverso la caratterizzazione di personaggi emblematici
del proletariato e della borghesia, diviene il microcosmo in cui
analizzare lo svolgimento di dinamiche sentimentali e
politico-sociali.
Alla
città e al mondo dell’adolescenza sono dedicati ancora
un romanzo, "La costanza della ragione" (1963), e le poesie
raccolte in "La mia città ha trent’anni"
(1967). Alcune «cronache in versi e in prosa», scritte
dal 1930 al 1980, sono riunite nel volume "Il mannello di
Natascia" (1984, premio Viareggio).
Renzo
Montagnoli
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