Vita,
morte e miracoli di Bonfiglio Liborio - Remo
Rapino - Minimum fax – Narrativa - Pagg. 265 - ISBN
978-88-3389-087-6
- Euro17,00
Un
Candido proletario
Nel
panorama letterario mondiale, e a maggior ragione in quello italiano,
fra i libri che escono ogni anno è sempre più difficile
trovarne uno che presenti una spiccata originalità, quella
originalità che potrebbe all’inizio disorientare il
lettore, ma che poi finirebbe per attrarlo irresistibilmente qualora
fosse stata ben concertata. Al riguardo indubbiamente originale è
Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio,
che anche per questo motivo ha collezionato una
vera e propria messe di premi, e fra questi il prestigioso Campiello.
E pure io, da appassionato, ma anche smaliziato lettore in forza di
una lunga esperienza, se sono rimasto sconcertato all’inizio
dal linguaggio adottato, poco a poco ho convenuto che è
perfettamente funzionale alla vicenda narrata, una storia di
solitudini e di miseria, mai tesa alla facile commozione e che
presenta diversi piani di lettura, fra i quali, non determinante, ma
di rilievo, quello dei fatti del nostro paese dalla seconda guerra
mondiale fino a quasi oggi. Questa storia nella storia è
narrata in prima persona da Bonfiglio Liborio, una cocciamatte, cioè
un matto che non ha mai conosciuto il padre che, dopo aver messo
incinta sua madre, è partito per l’America in cerca di
fortuna senza più dare notizie di sé. Di lui sappiamo
solo, come dice ogni tanto la madre di Liborio, che aveva gli stessi
occhi del figlio, quel figlio bravo a scuola, ma segnato nella psiche
dagli eventi, dalle rappresaglie naziste dopo l’8 settembre
1943, dalla morte del nonno socialista e dalla privazione anzitempo
dell’affetto materno, una serie di segni neri che marcano
l’esistenza. La presenza umile di un semplice che fa qualsiasi
lavoro per sopravvivere scandisce il ritmo che va dal 1926, anno
della sua nascita, al 2010 quando si appresterà a lasciare il
palcoscenico della vita, un semplice che poco a poco, anche per la
solitudine e la mancanza di affetti a cui è relegato, comincia
a dare qualche segno di squilibrio, tanto che per un lungo periodo
finirà al manicomio di Imola. Non è pericoloso, è
solo strano, è un diverso in un mondo di omologati in cui
cerca di entrare per essere poi sempre respinto. Come ho anzidetto,
se all’inizio il linguaggio, una specie di dialetto abruzzese,
sconcerta (in calce comunque c’è un utile glossario) ben
presto si entra in empatia con il personaggio, con la sua naturalezza
di comportamento, con una semplicità che equivale a una franca
schiettezza, a cui da tempo non siamo più abituati,
caratteristiche proprie di un Candido, però proletario.
Liborio sarà una cocciamatte, avrà dei periodi in cui
certi rumori che sono dentro la sua testa lo renderanno instabile, ma
è un personaggio che desta una naturale simpatia e a cui si
desirerebbe tendere la mano per farlo uscire da quella solitudine in
cui è relegato chi vede come è la vita, ma non riesce a
viverla come gli altri. Lavoro, qualche passione politica più
istintiva che convinta, scarse e limitate amicizie, qualche
soddisfazione sessuale di carattere mercenario, la lettura e continua
rilettura del libro Cuore è questa l’esistenza di
Bonfiglio Liborio, il cui periodo migliore, non a caso, è
quello trascorso in manicomio, in cui per la prima volta prova un
sentimento, misto d’amore e d’affetto, per una giovane
ricoverata. E quando si appressa la fine un uomo solo non può
che sognare un colossale pranzo d’addio con tutti quelli che ha
conosciuto, molti dei quali già scomparsi; li invita nella sua
modesta casetta, nella piccola cucina che può contenere solo
poche persone, ma le cui pareti miracolosamente si allargano per
contenerle tutte. Liborio è grato a tutti, tranne a uno che
bussa, ma non viene fatto entrare, è quel padre che se n’è
andato lasciando la moglie e un figlioletto privi di assistenza. Sono
pagine, queste, stupende e che portano a una naturale commozione, un
sogno in cui entra anche il lettore che, oltre a tendere una mano,
desidererebbe anche abbracciare Liborio che in punta di piedi ci
lascerà nell’inverno del 2010.
Il
romanzo è indubbiamente bello e credo che, oltre ad aver
meritato il Campiello, possa meritare il plauso dei lettori.
Remo
Rapino (1951) è
stato insegnante di filosofia nei licei. Vive a Lanciano. Ha
pubblicato i racconti Esercizi
di ribellione (Carabba
2012) e alcune raccolte di poesia, tra cui La
profezia di Kavafis (Moby-dick
2003) e Le
biciclette alle case di ringhiera (Tabula
Fati 2017).
Renzo
Montagnoli
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